In un tempo in cui il meridionalismo sembra cancellato dal dibattito politico, leggere il libro di Marco Vitale “il Sud esiste” con la raccolta
di scritti e testimonianze offre spunti di meditazione sulle nuove vie da percorrere.
La pandemia nella sua drammaticità ha unificato il Paese – più di quanto appaia – nella lotta al virus superando retaggi ed egoismi diffusi. Cinquanta anni di impegno professionale nel Mezzogiorno come economista di impresa, offrono una lettura disancorata da pregiudizi ideologici.

L’economista lombardo accompagna il lettore in un lungo viaggio sul modello di Guido Piovene, con il racconto di tante storie vissute in prima persona, nel contesto in cui ha operato. È un libro di storia economica con dentro tante storie vissute, studiate, meditate, ragionate prima di pervenire alla definizione del piano di impresa che si scontra con il contesto socioeconomico di Regioni e di Comuni. Sono storie di agricoltura, di distretti agroalimentari o industriali, di trasporti, di porti e di aeroporti.
Pur partendo da lontano l’economista bresciano nel filo rosso che lega i suoi racconti, si muove con convinzioni profonde maturate nella vita quotidiana, ma ancorate a letture profonde. Così ritroviamo il livornese Leopoldo Franchetti, con le sue considerazioni sulla Sicilia, con le sue lotte all’analfabetismo, il bresciano Giuseppe Zanardelli, primo presidente del Consiglio a scendere di persona in Basilicata, attraversando il fiume Agri su carri agricoli trainati da buoi, l’inglese Norman Douglas con i suoi straordinari racconti sulla Vecchia Calabria. E troviamo anche l’ancoraggio teorico di molte convinzioni ad un libro recente di Daron Acemoglu e James Robinson rispettivamente del Mit e di Harvard sul “Perché le Nazioni falliscono. Alle origini di prosperità , potenza e povertà” .

L’attualità della questione meridionale viene posta nella contrapposizione tra circuito virtuoso e circuito vizioso e tra prosperità e povertà in un gioco di specchi tra élite minacciose e persistenti.
Leopoldo Franchetti fu anche fondatore insieme a Giustino Fortunato dell’Animi, la prestigiosa Associazione ora guidata da Gerardo Bianco, che per prima sollevó la questione meridionale coinvolgendo i maggiori esponenti della cultura da Salvemini a Benedetto Croce, da Zanotti Bianco a Rosario Romeo e Manlio Rossi Doria.
Marco Vitale ci racconta del polo farmaceutico di Latina, Pomezia, Aprilia con gli investimenti di Pzizer e di altre aziende attratti da generosi contributi statali fiscali e finanziari della Cassa per il Mezzogiorno i cui confini si fermavano alle porte di Roma, ma determinarono un fiorire di imprese lungo l’autosole compresa l’area di Cassino e Frosinone. Crearono di certo sviluppo e occupazione e migliori standard di vita.

Erano di certo investimenti americani gestiti da troppo lontano con il supporto di manager pendolari che nella sociologia rurale facevano il paio con gli operai-contadini marchigiani e abruzzesi. Ci racconta delle porcellane tedesche a Teramo con la tedesca Villeroy & Boch che rileva due moderne fabbriche di piastrelle e sanitari con il disinteresse delle autorità locali rispetto all’entusiasmo del governatore di Detroit di fronte ad un investimento di una fabbrica veneta di minore dimensione nel ricco Michigan.

Illuminante è la storia dei 15 faldoni relativi alla operazione terminal container di Gioia Tauro della Contship di Angelo Ravano una storia di successo che si scontrava con le resistenze endemiche fino al punto che un Ministro di sinistra manifestó la sua contrarietà al collegamento ferroviario con il terminal di Gioia Tauro per comprimerne le potenzialità di sviluppo!
Ci racconta del caseificio di Corleone, dell’aeroporto di Comiso del rione sanità e delle catacombe di Napoli e molto altro.

Sullo sfondo emerge con forza il pensiero sturziano sui temi sociali, politici, istituzionali e morali, racchiuso in alcune massime: “servire, non servirsi” come pure “il Mezzogiorno salvi il Mezzogiorno” ovvero “non vale la pena istituire la Regione per fare un copione della inabilità amministrativa dello Stato italiano” .

Marco Vitale non nasconde il suo modello di riferimento in Carlo Cattaneo con la convinzione profonda che lo sviluppo non è frutto del capitale, ma è soprattutto frutto della intelligenza, della conoscenza, della volontà, della autonomia, delle buone istituzioni.