Marini, il Ppi e i Popolari.

L’esempio e l’insegnamento di Franco Marini possono essere, oggi, un riferimento per le nuove sfide che attendono i Popolari e i cattolici sociali. Senza subalternità a chicchessia e, soprattutto, senza rimanere nascosti all’ombra di cartelli elettorali o partiti personali.

Giorgio Merlo

Due anni fa ci lasciava per sempre Franco Marini, uno dei più grandi leader politici del cattolicesimo popolare e sociale nel nostro paese. E poco più di 20 anni fa chiudeva i battenti la breve esperienza politica del Partito Popolare Italiano dopo il tramonto della Democrazia Cristiana e in attesa del decollo della Margherita, il primo partito “plurale” nella storia democratica del nostro paese. E proprio il percorso politico, culturale ed organizzativo di Marini ha attraversato tutte queste fasi. E va pur detto, senza enfasi ma con sano realismo, che Franco Marini ha vissuto queste varie e diverse esperienze politiche ed organizzative sempre da protagonista. Con coraggio, coerenza e determinazione. Come, del resto, era il suo carattere da prima linea senza, però, rinunciare mai a valori e a principi che hanno scandito nel tempo e nelle diverse fasi storiche il cammino del cattolicesimo popolare e sociale nel nostro paese.

Ora, c’è un filo rosso che lega questi periodi, seppur diversi tra di loro, ma accomunati dalla medesima preoccupazione. Ovvero, salvaguardare la specificità e l’originalità della tradizione del cattolicesimo sociale e popolare che aveva, ed ha, sempre la stessa priorità: difendere, salvaguardare e promuovere i ceti popolari nel nostro paese. Detto in altre parole, difendere le loro istanze, le loro esigenze e, soprattutto, farsi carico a livello politico e legislativo delle loro domande. Ed è lungo questo solco che Marini ha proseguito, con autorevolezza e personalità, la storica esperienza della “sinistra sociale” di ispirazione cristiana di Carlo Donat-Cattin e di molti altri esponenti di questo filone ideale. E cioè, far sì “che l’istanza sociale doveva farsi Stato”. E quindi, e di conseguenza, che la “politica sociale” diventi un asset fondamentale dell’intera politica economica del paese e condizioni il progetto politico del partito di riferimento e dello schieramento politico e di governo. E così è stato nel suo lungo e fecondo impegno sindacale; così, soprattutto, nella corrente di Forze Nuove nella Dc con Donat-Cattin, Sandro Fontana, Toros, Faraguti, Vito Napoli, Foschi, Triglia, Vittorino Colombo e moltissimi altri uomini e donne; così nella stagione con Martinazzoli alla guida della Dc dopo l’uragano tangentopoli; così nella straordinaria esperienza del Partito Popolare Italiano e nella Margherita all’inizio degli anni duemila e poi con la prima fase del Partito democratico.

Insomma, nel grande partito interclassista della Dc come nel partito identitario, seppur laico e moderno, come il Ppi; nel soggetto “plurale” della Margherita come nel Pd, sin quando si è impegnato in prima persona, Marini non ha mai rinunciato a quella specificità politica e culturale. Ovvero, l’esperienza dei Popolari e dei cattolici sociali non poteva essere sacrificata sull’altare di nessuna novità politica e per nessuna ragione dettata dal conformismo dominante o dalla modernità del cosiddetto costume. Politico o culturale che fosse non faceva, al riguardo, alcuna differenza.

Ecco perchè, quando si ricorda il vissuto politico di Franco Marini, occorre avere l’onestà intellettuale di evidenziare che il tratto distintivo di Franco è sempre stato quello di accettare sì le sfide e le novità dettate dall’evoluzione della storia e degli accadimenti politici, ma con la consapevolezza, quasi religiosa, che alla propria identità non si poteva e non si può rinunciare. Pena la rinuncia alla propria storia e, soprattutto, ai propri valori di riferimento. E la “sospensione” – questo è il temine esatto – forse troppo frettolosa della esperienza del Ppi e la successiva confluenza nel primo partito “plurale”, cioè la Margherita, ha visto proprio in Marini il baluardo per eccellenza della difesa e della salvaguardia della “ragione Popolare” e cattolico sociale.

Per questi motivi il “magistero” politico e civile di Franco Marini non tramonta. Nel merito e anche nel “metodo”. Perchè Marini, certo, aveva un carattere “d’altri tempi” difficilmente replicabile nella cittadella politica contemporanea caratterizzata da una classe dirigente improvvisata, subalterna ai sondaggi sfornati quotidianamente e ancora, purtroppo, condizionata dai disvalori e dalla sub cultura del populismo grillino che individua nel passato un luogo da criminalizzare e da gettare alle ortiche, ma aveva anche la certezza che un politico è un interlocutore, credibile e rispettato, solo se è interprete di una chiara e netta identità politico e culturale. Senza paure e senza cedimenti di natura trasformistica ed opportunistica.

E proprio l’esempio e l’insegnamento concreti di Franco Marini possono essere, oggi, un riferimento per le nuove sfide che attendono i Popolari e i cattolici sociali. Senza subalternità a chicchessia e, soprattutto, senza presenze politiche al ribasso o nascosti all’ombra di grigi cartelli elettorali o di partiti personali o di soggetti politici che prescindono ormai da quella storia. Marini lo ricordiamo con amicizia, forza e convinzione perchè quelle strade non le ha mai condivise e, nello specifico, le ha sempre combattute a viso aperto. Con coerenza politica, coraggio umano e lungimiranza culturale.