Il 2 giugno 1992 Mario Draghi sulla nave inglese “Britannia”, dinanzi a una pletora di finanzieri e uomini d’affari d’alto profilo politico e istituzionale, dichiarò: “Lasciatemi sottolineare ancora che non dobbiamo fare prima le principali riforme e poi le privatizzazioni. Dovremmo realizzarle insieme. Di certo, non possiamo avere le privatizzazioni senza una politica fiscale credibile, che – ne siamo certi – sarà parte di ogni futuro programma di governo, perché l’aderenza al Trattato di Maastricht sarà parte di ogni programma di governo (…) Poiché le privatizzazioni sono così cruciali nello sforzo riformatore del Paese, i mercati le vedono come il test di credibilità del nostro sforzo di consolidamento fiscale. E i mercati sono pronti a ricompensare l’Italia, come hanno fatto in altre occasioni, per l’azione in questa direzione”.

Ma perché Draghi si trovava in quel luogo, impegnato in quel discorso? Un anno prima, Mario Draghi diventò Direttore generale del ministero del Tesoro, chiamato dall’allora ministro del Tesoro del settimo governo Andreotti, Guido Carli. A suggerire il suo nome fu Carlo Azeglio Ciampi. Iniziava un momento difficile per l’economia del Paese, tanto da rendersi necessaria nel luglio del ’92 una patrimoniale, proposta, pare, dall’allora ministro delle Finanze Giovanni Goria, prelevando lo 0,6% di quanto era depositato sui conti correnti italiani. Il Governo di Giuliano Amato (28 giugno 1992-29 aprile 1993), insediatosi nel ’92, tentò di calmierare la svalutazione (crollo) della Lira. Non bastò: fu l’era delle privatizzazioni. Già ad agosto, il governo decise di trasformare le Ferrovie dello Stato in una Spa. A settembre i conti ancora non tornavano. Vennero decisi nuovi tagli alla pubblica amministrazione, al sistema sanitario, alle pensioni.

La tensione generale portò a scioperi, manifestazioni spontanee, tensioni anche tra i partiti; il 22 aprile 1993 il presidente del Consiglio Giuliano Amato si dimise, succeduto il 20 aprile dal presidente Ciampi, nel primo governo della storia della Repubblica Italiana a essere guidato da un non parlamentare (banchiere). L’attuale nomina di Mario Draghi a presidente del Consiglio affonda dunque in quegli anni “oscuri”, carichi di crisi finanziaria quanto di “trame” ancora non pienamente decifrate.

Dopo le dichiarazioni di Draghi sulla nave Britannia si aprì, di fatto, l’era delle privatizzazioni; un’era molto lunga e completata dal più recente Governo Monti nel 2011. Furono necessarie le privatizzazioni per salvare l’economia italiana? E’ stata una speculazione affaristica, resa necessaria dal braccio politico, oppure una legittima, seppur dolorosa, conseguenza della crisi economica e della svalutazione della Lira? Oltre che da questo quesito, il nome di Draghi pare “appesantito” anche dall’eco di dichiarazioni pubbliche tutt’altro che lusinghiere.

Furono quelle di Francesco Cossiga, che in televisione lo definì “un vile … un vile affarista, liquidatore dell’industria pubblica”. Era il 2008 e Draghi ricopriva allora la carica di governatore della Banca d’Italia, e già si vociferava di una sua possibile ascesa politica. Ospite a Unomattina dal giornalista Luca Giurato, Cossiga dichiarò che non si poteva nominare Draghi non si poteva nominare Draghi presidente del Consiglio dei ministri. “E male, molto male, io feci ad appoggiarne, quasi a imporne la candidatura (alla Banca d’Italia, n.d.a., dal 29 dicembre 2005 al al 31 ottobre 2011) a Silvio Berlusconi” … “è il liquidatore, dopo la famosa crociera sul Britannia, dell’industria pubblica, la svendita dell’industria pubblica italiana, quand’era direttore generale del Tesoro. E immaginati che cosa farebbe” continuava Cossiga rivolgendosi al giornalista “da presidente del Consiglio dei ministri. Svenderebbe quel che rimane: Finmeccanica, l’Enel, l’Eni, e certamente ai suoi ex comparuzzi di Goldman & Sachs”.

Cos’era cambiato dunque nei rapporti fra Cossiga e Draghi tra il 2005 e la telefonata a Unomattina del 24 gennaio 2008? Possibile che, nei 13 anni intercorsi tra il discorso sul Britannia e la nomina alla Banca d’Italia, Cossiga non si fosse accorto di nulla? E’ difficile, forse impossibile, decifrare l’indole del “Picconatore” nelle sue “celebri” telefonate in diretta Tv, come in un altro caso, quello contro Palamara, sempre nel 2008, quella volta su Sky TG24. Fu per il Presidente emerito della Repubblica l’anno degli strali gratuiti, complice l’indole sarda, particolarmente fumantina, oppure c’era del vero? Nel caso del giudice Palamara la storia gli ha dato ragione.

Ed ora? L’ombra di Draghi si è stesa su Palazzo Chigi, sopra Giuseppe Conte, ed ora “l’avvocato del popolo”, i cui rapporti con l’attuale presidente incaricato non sono mai, pare, stati eccezionali, si è rassegnato a lasciare lo spazio istituzionale ad una strana novità. Più che una novità, una peroratio, una nomina che, almeno dal 2008, è sempre stata sospesa.