Medici ospedalieri: pochi, mal pagati e insoddisfatti. Uno su tre è disposto a cambiare lavoro.

Un sondaggio dell’Anaao Assomed mette in risalto le condizioni di malessere e disagio vissuto e percepito da una intera categoria. Il fatto che un medico ospedaliero su tre sia disposto non solo ad emigrare ma persino a cambiare lavoro è il sintomo eloquente e la conseguenza di un fallimento politico lungamente protratto.

Un sondaggio dell’Anaao Assomed – la più importante associazione sindacale dei medici dirigenti ospedalieri- condotto dal 30 gennaio al 10 febbraio u.s. restituisce un fermo immagine decisamente negativo circa il livello di insoddisfazione diffusa che serpeggia nella categoria. E per comprendere che non si tratta di un malcontento vissuto in modo strumentale o corporativo,  poiché è un aspetto di un più ampio disagio professionale, è utile richiamare quanto affermato pochi giorni fa dallo stesso Ministro della salute Orazio Schillaci in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Cattolica di Roma: ”In dieci anni-dal 2005 al 2015 – oltre diecimila medici hanno lasciato l’Italia per lavorare all’estero, un esodo di capitale umano che non possiamo più permetterci”. A rincarare la dose pesano come macigni le parole del Presidente di Fnomceo – la Federazione nazionale degli Ordini dei medici – Filippo Anelli: “Se i giovani medici vanno via la colpa è della scarsa qualità di lavoro e di vita, degli stipendi non adeguati, della mancanza di sicurezza che mette gli operatori a rischio anche di aggressioni”.

Circostanza, questa, più volte rubricata nella cronaca persino in modo esponenzialmente crescente, in danno del personale sanitario in servizio negli Ospedali, in particolare nei Pronto soccorsi. La survey dell’Anaao Assomed è decisamente eloquente anche sotto questo profilo di considerazione: “Possono sembrare risultati scontati, ma oggi più che mai è importante controllare e misurare la temperatura dell’insoddisfazione che serpeggia nelle corsie ospedaliere fra i colleghi riguardo alle condizioni del loro lavoro, anche perchè dal CCNL ai nastri di partenza attendiamo risposte alle necessità e alle aspirazioni dei medici e dirigenti sanitari del nostro Paese. Comprendere i motivi di un disagio diffuso, e prospettare possibili soluzioni, può contribuire a rallentare l’esodo dei medici ospedalieri verso il settore convenzionato o privato o verso l’estero, nonchè a evitare forme di ‘uberizzazione’ dell’attività medica che contribuisce a generare contratti a cottimo tanto ricchi quanto poco chiari sulle norme e sulla sicurezza”.  

Non è affatto venale né strumentale che il primo posto dei cambiamenti attesi risultanti dal sondaggio presso i medici ospedalieri sia occupato – per un netto 63.9% degli intervistati – dall’incremento delle retribuzioni, le più basse d’Europa: in questo sanità e istruzione vanno a braccetto a significare la scarsa e colpevole considerazione ricevuta dai decisori politici verso due ambiti istituzionali così importanti per la qualità dei servizi pubblici offerti ai cittadini e il riconoscimento del know how professionale dei lavoratori impegnati in tali settori.

Il sondaggio dell’Anaao Assomed oltre il dato conoscitivo della realtà basato su evidenze oggettive ha il sapore di una denuncia delle condizioni di malessere e disagio vissuto e percepito da una intera categoria. Subito dopo l’aspetto economico la survey evidenzia il desiderio di fruire di una maggiore flessibilità nel tempo lavorativo in rapporto alle esigenze personali e familiari (per un 55%) e di una più tutelata sicurezza sul posto di lavoro, fattori che incidono in misura più rilevante delle attese riguardo alla progressione di carriera. Il fenomeno del brain drain (fuga di cervelli e di professioni intellettuali) assume dimensioni allarmanti: lo ha notato ed evidenziato il Ministro della Salute e lo confermano i dati dei medici attratti da retribuzioni più elevate e maggior considerazione sociale dei Paesi esteri, a cominciare dal Regno Unito e dall’U.E.

Nel suo documento l’Anaao Assomed non si limita a registrare il malcontento: “La terapia esiste, e non è solo di carattere economico, anche se pesa il fatto che l’Italia spenda solo il 6.1% del Pil per la sanità, la cifra più bassa tra i paesi del G7, ben al di sotto della media europea di 11.3% con il costo della sanità privata pari al 2.3%, poco sopra la media europea. Per recuperare il gap accumulato con le altre nazioni occorrerebbe un incremento annuo del FSN di 10 miliardi di euro. Ma pesano anche questioni di organizzazione e di scelte politiche, se il sistema di cure universalistico non appare in grado, per come oggi è, di reggere l’onda d’urto di nuove patologie infettive o della epidemia delle patologie croniche che accompagnano il sensibile aumento della aspettativa di vita. Occorre immaginare un nuovo modello che tenga nella dovuta attenzione la presa in carico del paziente, sia cronico che in acuzie, aumentando posti letto e personale, e implementando quella medicina di prossimità che appare oggi sempre più teorica, liberando i professionisti dalla medicina di carta che sottrae tempo alla cura”.

Il fatto che un medico ospedaliero su tre sia disposto non solo ad emigrare ma persino a cambiare lavoro è il sintomo eloquente e la conseguenza di un fallimento politico lungamente protratto. Inutile scomodare il Censis per approfondire le cause di un fenomeno così allarmante sul piano sociale e così desolante per chi ha dedicato un lungo periodo di studio al conseguimento della laurea e della specializzazione. Occorre una radicale inversione di rotta, una strategia di medio-lungo periodo delle politiche sanitarie, servono investimenti che incentivino l’eccellenza professionale che si traduce in servizi resi all’utenza in un settore così delicato qual è la salute dei cittadini.
A tre anni dal primo caso di Covid un’evidenza incontrovertibile riguarda la straordinaria abnegazione con cui il personale sanitario dei presidi ospedalieri ha fronteggiato l’emergenza. Rivalutare e premiare le professionalità emerse nella gestione della pandemia è un dovere imprescindibile che si somma con la considerazione che la categoria dei medici ospedalieri merita.