Meroni, l’indimenticabile “farfalla granata”

Gigi Meroni, ad oltre cinquant'anni dalla sua scomparsa, continua ad essere Gigi Meroni.

Il 15 ottobre 1967 moriva tragicamente Gigi Meroni. La mitica “farfalla granata”, il George Best del calcio italiano, l’estro e la fantasia in campo. L’uomo che con le sue gesta umane, sportive, culturali e inconsapevolmente anche politiche, ha anticipato il movimento del ’68 e tutto quello che ha caratterizzato il mondo giovanile, sociale e culturale del nostro paese. A cominciare dal mondo giovanile.

Gigi Meroni, ad oltre cinquant’anni dalla sua scomparsa, continua ad essere Gigi Meroni. E non solo per quella comunità che va sotto il nome di “popolo granata” ma per diverse generazioni che hanno visto in quel funambolico numero 7 un punto di riferimento per come vivere e praticare il calcio nella società. Gigi era amato dal popolo, se così lo vogliamo definire, e quasi disprezzato dalle elite. Da tutte le elite. Sportive, politiche, culturali, religiose – purtroppo – e giornalistiche. Eppure la “farfalla granata” non era solo un punto di riferimento, ma era ed è rimasto il riferimento per milioni di cittadini e di sportivi. Certo, Gigi era coraggioso. Sfidava la sua presenza in Nazionale pur di restare coerente con i suoi principi e con il suo modo d’essere nella società e nella sua comunità. Ha sfidato il contesto religioso e culturale del suo tempo per non rinunciare ai suoi affetti e ai suoi sentimenti. Ma in campo la “farfalla” era anche profondamente rispettoso.

Dalle botte che riceveva – senza mai reagire con cattiveria e rancore – agli insulti che gli rovesciavano in campo i tifosi avversari supportati e incoraggiati dagli organi di informazione dell’epoca. Sferzanti e incattiviti contro il “cappellone” granata. Ma gli stessi stadi restavano ammutoliti di fronte al calcio che praticava Gigi: creativo, poetico, anticonformista, estroverso e fantasioso. Gesta che hanno eccitato non solo il popolo granata ma il calcio italiano quando quell’esile numero 7 schizzava nelle difese avversarie e creava lo scompiglio con i calzettoni sempre abbassati e la maglia troppo larga per il suo esile peso. Certo, la tragedia del 15 ottobre in Corso Re Umberto a Torino dopo l’ormai celebre vittoria contro la Sampdoria e la tripletta del suo grande amico Nestor Combin – che sarà ripetuta la domenica successiva in un altrettanto celebre derby contro la Juventus – ha indubbiamente contribuito a creare il “mito”. Ma il magistero sportivo, umano e valoriale di Gigi Meroni e’ destinato a restare nella storia del calcio italiano, della storia granata e dello sport nazionale. Le sue gesta hanno segnato il suo tempo ma, soprattutto, segnano il presente e il futuro del calcio italiano. Gigi Meroni e’ destinato a restare un’icona. E non solo granata.