Che piacere caro Prof. Mirabella! La ritrovo nel programma televisivo “TUTTA SALUTE” a qualche anno dall’intervista su ELISIR.
Qual è il mix vincente di programmi come ‘ELISIR’ e ‘TUTTA SALUTE’ ?
Il tema della salute appunto – sempre caro ai telespettatori – il tono garbato e documentato della trasmissione, la competenza scientifica degli esperti o lo stile rassicurante e interlocutorio del suo conduttore, un vero “professore gentiluomo”?

Lei ha elencato puntualmente tutto quello che in molti anni i critici e gli osservatori hanno ritrovato in ELISIR. Quindi escludere uno di questi fattori mi sembrerebbe autolesionistico oltre che scorretto. Nel suo elenco trovo anche le originarie motivazioni che mi avevano spinto a costruire questa trasmissione, ovviamente con la collaborazione di tutti i valenti esperti e agli autori che hanno lavorato con me.
Aggiungerei sommessamente ai fattori da lei proposti anche un po’ di fortuna.
Debbo ammettere che anche TUTTA SALUTE ha molto seguito presso i telespettatori, soprattutto per la competenza professionale dei miei illustri ospiti.
Effettivamente ho un pubblico fedele e interessato ai temi della salute e della medicina, che riguardano tutti: sono due temi che non hanno target sociali predeterminati.
Quanto a me ringrazio per l’apprezzamento: ognuno ha un suo modo di porsi. Spero di contribuire a corrispondere alle aspettative del nostro affezionato pubblico.

Che cosa potrebbe fare la scuola, in tema di sensibilizzazione e di alfabetizzazione primaria, già a partire dall’infanzia e dall’adolescenza, per favorire una cultura e una pratica di modelli esistenziali più salutari?
Possono insieme scuola, istituzioni e famiglie incentivare la “promozione degli stili di vita sani” a partire dai banchi di scuola per radicare già nei bambini e nei giovani abitudini più corrette?
Quali concreti suggerimenti – rispetto alle prassi quotidiane – sarebbe utile dare alle famiglie per acquisire e consolidare una mentalità salutistica? (alimentazione, impiego del tempo libero, attività sportive e ricreative, abitudini dannose e nocive ecc.). Ai programmi di educazione alla salute e a ‘stili di vita’ sani per questa fascia di utenza  televisiva?

La questione è molto complessa e la sua è una domanda in fondo asseverativa, che contiene già implicita la risposta.
Penso che quando la scuola assolve ai suoi compiti e non si cimenta in altro che non le compete, ci ritrova anche ciò che lei ha indicato. Qual è il compito fondamentale della scuola? Certamente quello di educare e questo è bene che sia realizzato in sintonia con le famiglie degli alunni: ciò poteva peraltro concretizzarsi quando le famiglie stesse si ‘accontentavano’ di collaborare sul piano etico con la scuola, riconoscendole indubbiamente un primato culturale.
Adesso invece le famiglie guardano con sospetto la scuola, come un’agenzia di cultura estranea ai reali interessi del cittadino e degli utenti di oggi: difficilmente lei troverà una maggioranza di famiglie disposte a riconoscere alla scuola quel primato e a inchinarsi alla sua disciplina.
Lei troverà più spesso famiglie che sospettano della scuola, la considerano una diramazione dello Stato, scadente e fastidiosa. Non ne condividono (non conoscendoli) e non ne apprezzano i contenuti culturali, anche se spesso a ragione perché la scuola a volte si sottrae ai suoi compiti istituzionali. Quindi trovo che questo sia un problema enorme, complesso.
Che la famiglia dica alla scuola di occuparsi anche dell’educazione alla salute dei propri figli mi sembra quasi ridicolo rispetto alla constatazione di mamme che infarciscono le cartelle dei propri figli di merendine, che li sopportano ore e ore seduti sul tappeto a guardare i cartoni animati o a maneggiare compulsivamente smartphone, tablet e play station, che li esentano dai rigorosi sport in cortile, quelli spontanei (l’acchiapparella, il nascondino, il ‘guardie e ladri’, il pallone, le corse ecc.).
Oggi le famiglie tollerano una concezione vergognosa degli stili di vita, con bambini tendenti alla pinguedine quando non all’obesità, stravaccati sui divani e si occupano con molta più cura di portare il cane a far pipì che non a far giocare il figlio.

L’informazione è considerata un presidio della democrazia ma può condizionare pesantemente i comportamenti sociali, fino a diventare il potere più forte e persuasivo.
Quanto è avvertita, nei suoi aspetti positivi e negativi, questa consapevolezza nella stesura dei palinsesti televisivi?
Sono davvero tutelate le cosiddette “fasce protette”? Ha ancora senso questa protezione in un mondo così “sovraesposto”?

Anche in questo caso la sua domanda contiene già implicita la risposta. Può darsi che altri considerino discutibili queste affermazioni ma quello che lei ha descritto nella sua domanda è una mia ossessione privata e professionale. E’ evidente che io mi prodigo nella direzione di ciò che lei dice e che trovo sacrosanto e fuori discussione. Non posso non essere d’accordo: se non c’è informazione non c’è democrazia.
Quello che mi sta a cuore, di questi tempi, è anche il correlato di questo pensiero e cioè che se non c’è democrazia non c’è informazione.
La carenza di informazione può portare all’obnubilamento della ragione, al tramonto della democrazia, dopo di che la democrazia non consentirebbe più l’informazione, perché non si permetterebbe più la libera circolazione delle idee.
Ecco perché è cruciale il tema della libera informazione in un libero Stato.

Che cosa manca ai programmi della TV destinata al target dell’utenza giovanile per trasformarla in canale informativo e formativo coerente e complementare rispetto a ai compiti educativi di famiglia e scuola?
Oppure questo è un aspetto obsoleto, che non va considerato?
La TV è prevalentemente informazione o intrattenimento?

La scuola e la famiglia rispetto alle influenze della televisione sui giovani sono disarmate, sono del tutto inoperose.
Quella giovanile non è un’utenza descrivibile con la lettura del palinsesto: le fonti di acquisizione delle informazioni e dei modelli di stili di vita da parte dei giovani sono innumerevoli e non stanno certo a rispettare quello che dice la mamma: “guarda che bello il programma di Mago Zurlì!”.
Ai programmi della TV in realtà oggi non manca niente, perché sanno come arrivare ai giovani, salvo – mi scusi il paradosso – proprio nel palinsesto dei programmi destinati ai giovani: sono stucchevoli, i giovani non li guardano, vanno a cercare i programmi per adulti, ‘anzi’ per adulti malati di mente, ‘anzi’ per adulti malati di mente, corrotti e sporcaccioni.
Se volete attirare un giovane mettete il segnalino rosso che non è un programma adatto a lui e così lui se lo va a cercare: perché, non si sanno forse queste cose?
E’ sempre stato così. Di me bambino ricordo che i primi libri che ho letto nella biblioteca paterna erano quelli conservati in un apposito armadio, di cui avevo scoperto che aveva la stessa chiave del mobile-bar.
Non possiamo più considerare e descrivere la scuola e l’educazione con linguaggi vecchi e inefficaci, distratti, pigri. Gli insegnanti non hanno motivazioni, sono anche bistrattati, maltrattati e malpagati: che cosa potrebbero fare? La televisione è sempre educativa, sia quando diseduca che quando educa, raramente riusciamo a capirne le differenze, ci sono dei programmi che diseducano anche gli stessi adulti, pensi dunque quanto danno possano fare ai giovani.
Però come si può pretendere che uno vada a imparare a memoria il Carducci di San Martino quando, chiuso il libro, ha sette ore di certi programmi osceni e diseducativi, con ben altri valori, con un appeal enorme rispetto alla parola scritta?
Come può esserci competizione? La parola scritta scoraggia perché richiede impegno, decifrazione, comprensione, fatica, quindi si preferiscono le immagini, soprattutto in movimento.
Ai nostri tempi eravamo costretti alla rude disciplina dell’alfabeto, delle parole e della lettura.

Fiction e reality propongono coinvolgimenti emotivi forti su situazioni ad alto contenuto relazionale-conflittuale: davvero “tutto quanto fa spettacolo”?

La televisione dovrebbe lavorare “con “ la cultura, non ci sono più programmi per i giovani.
Inutile fare quel tipo di scelta, tanto i giovani non li guardano.
Tanto vale impegnarsi a fare qualsiasi programma avendo ben presente la certezza che ‘comunque’ anche i giovani lo vedranno.
In effetti ci sono programmi che anziché avvicinare alla conoscenza della realtà muovono sul versante opposto: quello di creare situazioni virtuali e artificiose, contesti diseducativi che i ragazzi apprendono e replicano nella vita fino alla distorsione dei suoi valori più sacri: il rispetto per gli altri, la lealtà, il sacrificio necessario per raggiungere un risultato, lo studio e l’impegno come via obbligata per conseguire il merito.

E’ finita l’epoca della sceneggiatura televisiva dei romanzi e delle opere dei grandi autori?
Quali sono le richieste dell’utenza? Prevalgono il loisir e il disimpegno?
Le trasmissioni a più alto indice di impegno culturale finiscono per essere una TV di nicchia?

Oggi non c’è questa differenza. La qualità della televisione non si valuta più rispetto alla domanda di un palinsesto di genere.
Cos’è la tv? Quella che propone un film, un reality, una partita di calcio?
Il televisore è come un giradischi, dipende da quello che ci metti, anche perché tu hai mille canali: basta scegliere Sky e ti guardi quello che vuoi. Quindi non esiste più uno specifico televisivo, eccetto ciò che è esclusivo della televisione: quello che non puoi vedere al cinema, al teatro o su un campo da gioco.
Temo che lo specifico della Tv stia diventando la pubblicità, il talk show e le conversazioni a più voci che sono una dilatazione pantagruelica del ‘bar dello sport’.

Ma oltre alla TV oggi gioca un ruolo determinante la diffusione delle nuove tecnologie.
Attraverso gli smartphone e i tablet i bambini e gli adolescenti possono correre il rischio di emulare comportamenti scorretti, di entrare in quell’universo sconosciuto e senza reti che è il web, con tutti i pericoli di incontri non certo educativi e spesso affondando in quei buchi neri che sono gli incontri con persone sconosciute, veri e propri professionisti dell’inganno che si aggirano in internet come predatori virtuali.
Come stanno cambiando gli stili di vita dei nostri ragazzi?

Certamente lei evidenzia una realtà che sta dilagando nelle abitudini dei giovanissimi fruitori delle nuove tecnologie. Mi colpisce molto l’uso diretto e puntiforme di questi mezzi: ognuno si apparta con il proprio smartphone e varca la soglia del mondo virtuale dove ogni informazione, conoscenza, simulazione può essere determinante in senso negativo.
E’ una fruizione solipsistica dell’informazione senza filtri e senza controlli che rende paradossalmente più difficile la comunicazione autentica: ci si parla sempre meno, anche in famiglia, poiché ciascuno si isola in un mondo privato e appartato, costruendo realtà immaginifiche.
Quanto ai social oggi stanno diventando strumenti per diffondere sentimenti negativi: emulazione, odio, violenza, derisione, dileggio. La vita come una gara a superarsi.
Da sola la scuola non ce la può fare: occorre un controllo da parte delle istituzioni sui programmi e le immagini che circolano in rete e soprattutto una fiducia e una collaborazione da parte delle famiglie.
Si deve rinnovare un’alleanza antica che un tempo dava risultati: quella tra la scuola e le famiglie.

Prof. Mirabella, una brutta notizia è sempre una grande notizia?
Perché fa più scoop il negativo, il male sul bene?
Si deve sempre sbattere il mostro in prima pagina?
Non Le sembra che un’informazione centrata sulla notizia clamorosa, sull’impatto emotivo e lo sconcerto finisca per alimentare una pedagogia sociale negativa, creando un alone di allarmismo, di rancore e giustizialismo nelle relazioni umane?

Certo, è così. Per capire meglio la rinvio alla lettura del secondo libro del ‘De rerum natura’ di Lucrezio: “come è dolce guardare dalla sicurezza della riva del mare uno che si affanna a nuotare tra i marosi!” ….”Perché? Siamo sadici? – si domanda Lucrezio. “No, perché vediamo quale danno sia stato risparmiato a noi!”. Ed è la sindrome di quello che si ferma a vedere l’incidente d’auto, perché è autoconsolatorio.
Allora ecco che la cattiva notizia arriva prima di quella buona: veda quanto passa in sordina l’avvio della pace a Gaza e come invece non si parlasse d’altro quando era iniziata la guerra.
Del resto è vero anche che quando si fa la pace non ci si ricorda perché si era cominciata la guerra.
Io credo che lei ancora una volta abbia ragione nella sua domanda così logicamente ragionata: il problema generale non è che la televisione è brutta e cattiva, bensì che qualche volta è chi fa la televisione ad essere brutto e cattivo.
Non si deve permettere che un’arma così potente non sia gestita o controllata democraticamente dallo Stato. Vuole sapere la cosa più ridicola? Nel nostro Paese la Commissione di Vigilanza sulla radio-telediffusione esercita la sua vigilanza solo sulla RAI. Si rende conto di quanto ciò sia ridicolo?

Michele Mirabella attore, giornalista e conduttore televisivo: in quale ruolo riconosce la Sua peculiarità professionale?

In un ruolo che non ha detto: regista. Io nasco regista e come tale intenderei restare. Ho fatto molte regie teatrali, anche in radio e televisione, per me questa attività è una grande passione.
Questa è una parte forse meno nota delle mie attitudini, dei miei interessi e anche delle mie inclinazioni : tuttavia ad essa sono intimamente legato.

Pongo anche a Lei – Professor Mirabella – una domanda rituale per tutti gli intervistati.
Perché è più facile che saggezza, armonia e senso della giustizia abitino l’anima di persone semplici piuttosto che l’intelletto di persone colte?

E’ una bella domanda che meriterebbe una risposta più articolata. Non so che cosa abbiano risposto gli altri ma io non sono così sicuro che nella sprovvedutezza ci siano sempre il candore e l’inermità.
Quello del povero Francesco d’Assisi o di Sancho Panza era candore, immediatezza, saggezza profonda.
Però attenzione…. “fatti non fummo a viver come bruti”….cioè mi riempie di meraviglioso stupore anche la ‘concupiscenza del sapere’. Ecco che allora se – volterianamente – Candide si deve accontentare del migliore dei mondi possibili, allora forse in questo mondo migliore la ‘coscienza’ deriva dalla riflessione, dallo studio, dal misurarsi con le altrui idee.
Io non credo quindi che il gesto di bontà o di carità venga sempre e solo dai poveri di spirito a cui peraltro in risarcimento è riservato il regno dei cieli, lo sappiamo.
Prenda Marco Aurelio: era forse povero? Il sempliciotto, il grullo o finto tale, il bertoldo o il cacasenno, non è poi così sprovveduto.
Io azzardo umilmente l’ipotesi che il vero saggio, ovvero colui che ha più saperi a disposizione, “è” semplice, “è” candido, “è” – come direbbe Dante – stupìto: il vero saggio è colui che possiede la vera cultura, che ha il coraggio di ricominciare sempre da capo.
Invece lo stupido, l’ignorante, il presuntuoso, il rozzo generalmente ostenta una cultura che non ha. E’ il caso di citare San Tommaso quando disse: “io ho paura di una sola persona, cioè dell’uomo di un solo libro”. Persino Dio ha sentito il bisogno di consegnarci quattro Vangeli, eppure aveva scritto la Bibbia, non proprio di sua mano ma non gli erano mancati i collaboratori.

Prof. Mirabella come verrà gestita l’informazione del domani?

Ho letto proprio oggi un articolo di Zygmunt Bauman sulla fine delle differenze dei valori culturali: non esistono più ‘culture alte’ e ‘culture basse’.
Io le potrei dire come sarà l’informazione di dopodomani, quella di domani no perché non sarà altro che un prosieguo di quella di oggi.
Trovo che quella del ‘dopodomani’ sarà formidabile perché cambierà la possibilità di ‘accesso’ alle fonti di informazione: quella sarà la vera rivoluzione, perché si realizzerà dovunque.
Perché l’India ha percorso in vent’anni un cammino che le ha fatto riguadagnare due secoli?
Perché sono diventati bravi nei computer e quindi hanno avuto accesso rapidissimo alla comunicazione, allo scambio dei saperi. Io mi ostino a ritenere che quando due persone si scambiano un’idea, alla fine non ne hanno una sola ma due e forse tre.
Platone diceva una cosa singolare ma suggestiva: “una città che conti più di cinquemila abitanti non è degna di essere vissuta, non è adatta alla repubblica”.
Questo perché dimostrava che i suoi abitanti, per parlarsi tra di loro, dovevano essere pochi.
Ma oggi, che abbiamo a disposizione mezzi di comunicazione infiniti, ebbene….la città è sterminata.
Tutto sta a farla vivere in pace.

Un’ultima domanda sulla notizia di cronaca più letta di questi giorni: la diffusione del contagio del “coronavirus” e il rischio della pandemia.
I giornali dedicano pagine e pagine a questo argomento, la Tv propone programmi mirati di approfondimento.
Si tratta – mi pare – di un problema ciclico che si ripropone nella storia più recente ma che ricorda vagamente le pestilenze dei secoli più lontani, quando non c’erano profilassi e terapie.
C’è il problema del rischio di contagio, si evidenziano persino condizionamenti drastici e negativi nello spostamento delle persone, con ricadute di tipo relazionale ed economico.
Si naviga tra l’allarmismo, il dato oggettivo del rapido e diffuso contagio e il rigido controllo sanitario come deterrente alla psicosi del panico.
In questa vicenda una bella notizia che ci riguarda: presso l’Ospedale Spallanzani di Roma, l’equipe diretta dalla Dott.ssa Maria Rosaria Capobianchi nel laboratorio di virologia ha isolato per la prima volta al mondo il virus che causa la patologia.
Cosa pensa di questo grande risultato?

Penso che l’Italia vanti eccellenze scientifiche, mediche e sanitarie che meriterebbero di essere conosciute e valorizzate.
Il servizio sanitario nazionale è uno dei migliori al mondo: il fatto che proprio da noi una equipe di ricercatori abbia isolato il virus è un riconoscimento della preparazione scientifica e professionale dei nostri operatori sanitari.
Ma anche un modo di esprimere una genialità tutta italiana che ha radici nella nostra storia e cultura, fatta di estro e intuizione ma anche di impegno, tenacia, dedizione e sacrificio.
Sono vicende ricche di umanità e competenza che danno una immagine positiva del nostro Paese e delle persone che lavorano con onestà di intenti e forte motivazione professionale per il perseguimento del bene comune.
Mi faccia dire che accanto ad episodi di malasanità – spesso enfatizzati- ci sono eccellenze che meriterebbero altrettanta e ancora maggiore enfasi. La maggioranza dei nostri medici e ricercatori è composta da persone serie che fanno il proprio dovere e questo va rimarcato, per noi comunicatori dell’informazione pubblica diventa persino un dovere morale farlo.