Moro, i cattolici e i comunisti: l’originalità del caso italiano.

Come non sentire, specie per quelli della mia generazione, la nostalgia proprio per i pensieri profondi.

Sulla scia del servizio di “Avvenire”, con il quale si dava ieri ampio risalto all’uscita del libro del nostro direttore (Amare il nostro tempo. Appunti sul giovane Moro, Edizioni Il Domani d’Italia), lo storico anconetano Massimo Papini interviene con questo breve commento.

Bisogna riconoscere che è sempre affascinante leggere (e rileggere) Moro.

Apprezzo il tuo lavoro perché non ti accontenti di guardare alla politica, ma ti appassioni per le parole e quelle di Moro sono sempre espressione di pensieri profondi.

Come non sentire, specie per quelli della mia generazione, la nostalgia proprio per i pensieri profondi.

Forse ciò che mancava ai cattolici era un confronto, anche dialettico, con il pensiero liberale, con Croce, che invece era stato preso molto sul serio dai comunisti, Gramsci e Togliatti in primis, anche se avevano l’ossessione di renderlo obsoleto (in questo con qualche assonanza con i pochi intellettuali fascisti…).

Sto lavorando sul Pci e ciò che davvero distingue i comunisti italiani da quelli di tutti gli altri paesi del mondo è proprio il confronto con la cultura liberale e, in parte con quella cattolica.

Quando Togliatti ricorda su “Rinascita” don Giuseppe De Luca afferma: “Avevamo fatto le stesse letture!”. E durante i lavori della Costituente La Pira regala un libro di Maritain a Togliatti.

Insomma la peculiarità italiana è unica anche se la guerra fredda l’ha relegata nelle catacombe.