Morte di un anarchico e narcosi di una morte: il caso Cospito.

La conferma del 41 bis apre uno scenario inquirente te. Sceglie di farla finita, l’anarchico Cospito? A furia di parlarne, la sua eventuale morte già gli si è fatta vecchia addosso, ormai in anticipo depotenziata della sua carica di dolore e di energia che giungerà stanca, sfibrata di tutto, sulle pagine dei giornali.

Uno dei temi correnti nella attualità delle cronache è il caso di Alfredo Cospito, l’anarchico che sta scontando al regime del cd. 41 bis la condanna cumulativa per aver gambizzato l’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi, ed aver posto due ordigni fuori una caserma dei Carabinieri. L’esplosione danneggiò il muro ma non fece per fortuna vittime.  In carcere da 10 anni nel regime di carcere ordinario, Cospito si sarebbe industriato per mandare messaggi all’esterno di plauso al prosieguo della lotta.

Mettiamo un po’ di ordine. Il 41 bis è il carcere duro che dovrebbe avere carattere di eccezionalità, non previsto nella nostra Costituzione ed è contrario, a quanto ci ricorda “Il  Riformista”, alle norme del diritto internazionale, tra le quali il “Codice Mandela”, adottato dall’Onu e dunque riconosciuto anche dall’Italia. Almeno nella iniziale ispirazione è nato come esigenza precauzionale, che dispone la impossibilità per il reo di poter avere contatti con l’esterno, limitati ad una volta al mese per il massimo di 1 ora. Vietata la lettura di libri, riviste e giornali e l’ora d’aria di socializzazione per non più di 2 ore al giorno con un massimo di 4 detenuti contemporaneamente sottoposti allo stesso regime. 

Il carcere duro è nato per arginare i fenomeni mafiosi e di terrorismo, estendendosene poi l’applicazione per le situazioni ritenute di emergenza ad argine dei crimini ritenuti più efferati.

Il codice penale e la fantasia del legislatore non smettono in ogni caso di sorprendere. C’è un rinnovato “bis”, rafforzativo per rimarcare il vigore della disposizione, che fa seguito ad un più misero ergastolo “ostativo” a sua volta disciplinato dall’ articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario. Quest’ultimo non consente libertà condizionale e benefici vari, roba invece da ergastolo ordinario. Così almeno sembra di capire nel meandro delle leggi in materia. La fanno sempre franca i “pentiti” che non trovano ostacoli ad un po’ di respiro, a condizione ovviamente che siano utili nel concreto alla giustizia. 

Non è il caso di poter dire al termine di una trasgressione “bene bravo bis”. Per certo di “bis” ce n’è una abbondanza. Sembra mortificato e di scarso rilievo ogni articolo di legge che ne sia privo, che arrossisce per la vergogna non potendone ostentare orgogliosamente il supporto. Poveretto, l’art. 41, nella sua modestia, dice solo dell’impiego della forza fisica e uso dei mezzi di coercizione all’interno di un carcere. Non molto peraltro a che vedere con il suo gemello più pasciuto con un bel “bis” sul petto. Da poco è stato respinto dalla Corte di Cassazione il ricorso di Cospito contro il 41 bis, da qui la sua disposizione a lasciarsi morire per protesta contro una misura, a suo dire, alienante e inumana. Non essendo dei giudici di mestiere non si può entrare nel merito della vicenda. A ciascuno le sue competenze ed incombenze. 

Armati del cinismo dell’età di chi scrive e di altrettanto gelido disinganno, a Cospito però vorremmo rammentare le parole di Gianni Agnelli quando sottolineava che gli Italiani digeriscono tutto. Così la sua morte farà scalpore per qualche giorno e poi cadrà ineffabilmente nel dimenticatoio, come sono cadute nel dimenticatoio le tragedie delle vittime del terrorismo e le vite dei loro assassini, ridotti oggi a tirare a campare, per come si può, con il quotidiano e con le loro coscienze. E se proprio fosse certo di potersi mettere nel campo degli eroi, c’è qualcuno che ricorda oggi la morte di Fabrizio Quattrocchi che ha mostrato coraggio davanti al suo spietato giustiziere? C’è qualcuno ancora piegato per le morti dei caduti di Nassiria? L’Italia non è un paese di eroi, men che mai di eroi di una sola parte e non dell’altra. La sua morte non servirà a niente. I giornali ne parleranno per una settimana e poi si andrà avanti. Se questa fosse la sua intenzione, il suo esempio non sarà di lezione a nessuno. 

Sappia Cospito del disincantato quanto lucido pensiero di Oscar Wilde quando diceva: “Perché dovrei occuparmi dei posteri? Che hanno fatto loro per me?”. I posteri il giorno dopo la sua morte parleranno di un week end da organizzare e dell’estate da fronteggiare e non altro. A furia di parlarne, la sua eventuale morte già gli si è fatta vecchia addosso, ormai in anticipo depotenziata della sua carica di dolore e di energia che giungerà stanca, sfibrata di tutto, sulle pagine dei giornali.  Comprenda che decidere di salvarsi sarebbe oggi la notizia davvero clamorosa, resistere e vivere in barba a tutto e a tutti. Delle ragioni e torti oggi non frega niente a nessuno. C’è chi ha detto che la verità è solo una bugia che non è ancora venuta a galla. 

Sappia Cospito che, fuori dalle mura dove è rinchiuso, la sua anarchia oggi è il residuo di un’epoca mangiata dal web e whatsapp. Se fosse questo il caso, questioni di principio oggi non contano più. Cospito non resti abbagliato da se stesso, smetta il suo sciopero della fame, sconti la sua giusta pena e soprattutto decida per la vita.  È stato redattore del foglio anarchico rivoluzionario Kn03, la formula chimica utile per creare un fumogeno. Si rassegni, dissipi la nebbia e le illusioni di essere utile martire per una causa condivisa solo da sparuti, che ha già stancato l’inchiostro dei giornali e che perderà ancor più forza appena dopo il suo suicidio. La sua morte non sarà una cuspide di giustizia nel ventre del sistema e si perderà nell’anarchia di una società che ha altro da pensare e con il cuore altrove. Il suo sacrificio non sarà seme in una terra che non c’è e che comunque non gli appartiene se non per i pochi metri che oggi occupa.