Nasce “Mezzogiorno Federato”

E' la premessa della grande trasformazione del Sud

Si è costituito domenica, dopo una lunga assemblea telematica molto partecipata, il Movimento per un “Mezzogiorno Federato”. Esso ha approvato una mozione politica nella quale si legge che il Sud, se vuole cominciare a contare nei processi decisionali del Paese, deve “federare i poteri delle proprie Regioni, costruendo un progetto organico che coinvolga tutto il territorio e l’intero spaccato della società civile”. E ciò perché sono ancora i rapporti di forza esistenti a prevalere e quindi snaturare anche gli indirizzi dettati dall’Unione Europea come è avvenuto nella definizione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). 

    Dalla transizione ecologica alla transizione digitale, dalle infrastrutture alla sanità, al lavoro: il Nord del Paese prevale perché può rispondere prima e meglio alle spinte di ripresa. Che non sono più guidate dall’intermediazione politica dei partiti nazionali ma incardinate negli interessi forti, promotori degli stessi progetti, che costituiscono i veri interlocutori per la governabilità.

      In questa logica, i territori e le comunità del Mezzogiorno, divisi su tutto, non possono che restare marginalizzati. Con Regioni che presentano ognuna il proprio libro di sogni e trattano dei propri interessi al di fuori di ogni strategia comune non può che emergere, soltanto, la loro autarchia. Anzi, peggio: la loro incapacità di dare forza organizzata alle necessità delle  popolazioni, ai bisogni della gente. Del resto con classi politiche sempre più inadeguate, incapaci di riconoscersi in qualsiasi spinta meridionalistica ma anche in un qualche reale progetto nazionale di sviluppo, il Mezzogiorno non può che trovarsi chiuso, isolato e diviso in enti formalmente autonomi ma con peso politico ed economico, oltre che culturale e strategico, sempre più debole e privo di possibilità di successo nel confronto nazionale ed europeo. Con la conseguenza di vedere aumentato il suo ritardo sia nel campo delle infrastrutture e dei servizi -a cominciare dalla sanità e dall’istruzione- che in quello dei diritti dei cittadini e dei lavoratori oltre che delle imprese ancora molto spesso costrette a soggiacere alle varie mafie.

      Ma come si sa questa che stiamo vivendo, per il Sud e per il nostro Paese, è una fase storica  decisiva. Anche per la concomitante scelta, fatta dall’Europa comunitaria, di abbandonare le politiche rigoriste ispirate ad un’idea di sviluppo finanziario globale e di cominciare ad aprirsi ad una politica di ripresa delle attività economiche con il baricentro ancorato nel Mediterraneo. Sta, insomma, per cominciare il tempo del cambiamento. E non per le sovrastrutture – come si sarebbe detto una volta- ma per lo stile di vita di decine e decine di milioni di cittadini. In altri termini, una nuova civilizzazione si prospetta, anche in  seguito allo stravolgimento indotto dalla pandemìa da corona-virus 19.

    In questo contesto, allora, se il Mezzogiorno vuole ridurre le diseguaglianze territoriali, sociali, economiche, che attentano ai fondamentali diritti di cittadinanza delle sue popolazioni e ne impediscono livelli adeguati di qualità della vita, ha un’unica strada da  percorrere: quella di unire i propri  poteri, le proprie istituzioni regionali per una iniziativa comunitaria che coinvolga tutti i territori, l’intero spaccato della propria società civile in una sorta di macroregione che sia capace di utilizzare tutti i fattori culturali, sociali ed economici, allo stato inoperosi per mancanza di infrastrutture materiali ed immateriali, per deficienza politica ed organizzativa, per soggezione alle varie mafie. 

     Insomma, è necessario federare il Mezzogiorno! Perché possa portare avanti e continuare a costruire il progetto organico cd. di sistema, elaborato dallo SVIMEZ  e dalle altre agenzie meridionaliste, per spingere il processo di sviluppo integrato capace di alimentare la “ripresa” dell’intera collettività nazionale alla quale un “secondo motore”, posto al centro del Mediterraneo, potrebbe garantire la spinta adeguata per nuovi traguardi di espansione e di crescita.

     Sarebbe la premessa della grande trasformazione del Sud, che così si porrebbe nelle condizioni di interagire attivamente e sinergicamente con il Centro-Nord e di riequilibrare l’intero Paese rilanciandone tutte le sue aree e proponendosi come la grande piattaforma logistico-economica dell’Europa e del Mediterraneo.

      Ma qui, prima di svolgere qualche ulteriore brevissima considerazione in ordine agli obbiettivi più immediati da perseguire, un punto va chiarito subito. E cioè che questa federalizzazione del Mezzogiorno non può avvenire sulla base del vecchio modello di unificazione dello scorso millennio. Essa deve inscriversi nella prospettiva di un federalismo comunitario che -se da un punto di vista dei rapporti socio-economici implica l’idea elaborata da Adriano Olivetti, in opposizione alla devastante logica della pianificazione per ambiti monofunzionali propria dello zoning, di trasformare il territorio secondo una concezione polifunzionale integrata che ne colga il continuum ecologico e sociale- dal punto di vista più propriamente istituzionale non può fermarsi alla riorganizzazione dell’ordinamento repubblicano secondo il circoscritto principio di sovranità nazionale ma deve essere capace di abbattere i confini politico-amministrativi entro cui, ad oggi, restano relegati e sono costretti Stato, Regioni ed Enti territoriali vari e proiettarsi verso la costruzione di un’Europa delle Comunità, ispirata ai principi di paritarietà e sussidiarietà.

       In altri termini, deve essere chiaro che la riforma regionale  che si deve operare non può essere concepita e perseguita nella esclusiva valutazione della dimensione territoriale del nostro Paese. Essa deve essere proiettata anche in aree che includono territori di diversi Paesi o Regioni, associati da una o più caratteristiche (geografiche, culturali, economiche, sociali, etc.) comuni. Circostanza, quest’ultima, che consentirebbe ad un Mezzogiorno d’Italia federato di lanciare la sfida per la costruzione della Macroregione del Mediterraneo. Perché è ben noto che il bacino del Mediterraneo è espressione di una medesima realtà storica e culturale e rappresenta un medesimo ambiente naturale, ricco di grandi potenzialità che non possono essere valorizzate senza il coordinamento e senza la visione d’insieme che la definizione di una strategia comune consente.

      Ma come? In che modo, tutto ciò può essere perseguito? Puntando, senza dubbio alcuno, sulle Comunità locali. Del resto, nella storia antica e contemporanea di questa area, il ruolo propulsivo è stato sempre svolto dalle grandi città come Atene, Roma, Gerusalemme, Istanbul, Cairo, Napoli, Damasco, Palermo, Barcellona, Rabat, Beirut, Tunisi. Oggi, poi, il loro contributo come quello delle Comunità regionali sarebbe addirittura determinante. Non fosse altro perché renderebbe partecipi di questa strategia macroregionale i cittadini dei vari Paesi interessati, contribuendo così a colmare il deficit democratico di cui soffrono tutte le istituzioni italiane ed europee. Non solo. Ma l’adozione di questa strategia mediterranea servirebbe all’Unione Europea per essere più vicina alle Comunità della sponda Sud, il cui sviluppo è una priorità ineludibile per tutta l’Europa, la sua sicurezza e quella delle Nazioni europee del Mediterraneo che sanno bene che da questa crescita dipendono le condizioni di pace e benessere anche delle proprie popolazioni.

      Questo, naturalmente, sul piano degli obbiettivi strategici. Mentre sul piano delle finalità attuali, per mettere ‘in cammino’ le Regioni del Sud e l’Italia tutta, sono almeno quattro, come precisa la mozione che è stata approvata alla fine dei lavori di domenica, gli obbiettivi per i quali il Movimento per un Mezzogiorno Federato immediatamente si batterà:

   1) l’alta velocità vera da Salerno a Reggio Calabria e Palermo, all’interno della quale va collocata la realizzazione del ponte sullo stretto di Messina. Si tratterebbe di un’opera capace di lanciare il Sud  quale piattaforma logistica del Mediterraneo e di rafforzare l’offerta complessiva dell’intero Paese, rendendolo più forte economicamente e politicamente;

  2) il completamento e la messa in funzione della rete delle ZES, principale strumento, con la piattaforma logistica, per creare una parte importante di quei 3 milioni di posti di lavoro indispensabili perché il Mezzogiorno  riprenda  il suo processo di crescita;

  3) la soluzione della grave crisi delle aree industriali di Taranto, Gioia Tauro e Termini Imerese che, in collegamento con i loro grandi porti, si prestano a diventare alfieri di una transizione ecologica e tecnologica e di una nuova economia circolare;

  4) la riqualificazione dell’area metropolitana di Napoli, in particolare della parte orientale e del polo petrolchimico con l’interramento della ferrovia per Salerno, restituendo così alla città l’affaccio a mare. 

      Naturalmente, pregiudiziale a tutto ciò dovrà essere una lotta “senza quartiere” alle mafie, alle consorterie, alle corporazioni, alla delinquenza organizzata, cioè, che non si limiti alla denuncia ma operi attraverso azioni concrete che coinvolgano direttamente la gente, che però dovrà essere garantita dallo Stato nella sua sicurezza e nella possibilità di esercitare i propri diritti.

     In conclusione, non è una partita facile questa che Mezzogiorno Federato ha iniziato domenica . Richiede, oltre che una nuova vision post-ideologica e pragmatica, preparazione e allenamento, passione e determinazione, umiltà e pazienza ma, soprattutto, generosità ed altruismo, al limite della prodigalità.