Dopo le macerie della Grande Guerra 1914-18, si levò forte il grido del pontefice perché venissero aiutati tutti i bambini coinvolti dal conflitto.

Fu eletto Papa  il 3 settembre 1914, esattamente due mesi dopo lo scoppio della guerra, la prima del XX secolo, la più devastante di sempre, almeno sino a quel momento. In realtà, al contrario di come la storiografia più convenzionale lo ha sempre descritto, ovvero “il Papa degli anni di guerra”, egli fu il primo e più ardente oppositore all’uso delle armi. 

Giacomo Della Chiesa non fu un semplice spettatore passivo del conflitto, ma costituì una rara voce di pace levatasi in una vasta landa di scontri, insofferenze, odio: l’Europa di inizio Novecento. Nel maggio 1919 venne firmato il Trattato di Versailles; a Londra, negli stessi giorni fu fondata Save the Children; il 1° dicembre del 1920, quando i paesi ex belligeranti stavano tentando una disperata ripresa per risollevarsi dalle macerie lasciate poco più di un anno prima, Benedetto XV promulgò Annus Iam Plenus, nona enciclica del suo pontificato. A pochi giorni dal Natale, si trattò di un appello inequivocabile alle nazioni più ricche perché soccorressero con qualsiasi tipo di aiuto i bambini rimasti senza una casa, quelli diventati orfani e quelli feriti (loro malgrado). 

Il Papa  sapeva molto bene che gli effetti della guerra non si sarebbero esauriti con la semplice distruzione di vite umane, e il timore per la nascita di nuove tensioni era molto forte, soprattutto a causa del persistere del «disprezzo per l’autorità, per i beni materiali fatti unico obiettivo dell’attività dell’uomo, quasi non ci fossero altri beni, e molto migliori da raggiungere». 

Circa 60 milioni di uomini erano stati strappati dalla loro vita abituale e coinvolti in un’esperienza senza precedenti nella storia dell’umanità; viceversa, milioni di donne ne avevano preso il posto nelle più disparate attività lavorative (prima fra tutte nel lavoro nei campi). Non solo. La guerra funse anche da fortissimo acceleratore sociale, laddove, oltre alla avvenuta ridefinizione dei confini nazionali, la vita associata di tantissime popolazioni subì dei mutamenti epocali. L’industria bellica aveva trascinato dalla campagna ai grandi centri urbani tanti giovanissimi lavoratori non qualificati, e tante ragazze erano subentrate ai fratelli e ai mariti nelle mansioni familiari quotidiane. C’era inoltre il difficilissimo, drammatico tentativo di reinserimento dei reduci, i quali trovarono una società profondamente cambiata che avrebbe, negli anni a seguire, provocato nuovi e violenti conflitti politici e sociali. 

Gli stessi cattolici si divisero fra quanti sostenevano i vecchi temi cari all’intransigentismo legato alla difesa dell’Austria come “baluardo all’irrompere dei nemici di Dio contro l’Europa cristiana”, e quanti si mantenevano fedeli alla politica della Santa Sede, che si era pronunciata a favore della neutralità e della pace. Tuttavia, all’insegna del regit et tuetur, la personalità e la politica di dialogo di Benedetto XV stavano dando i loro frutti: grazie a lui, la Chiesa di Roma stabilì rapporti di reciproca stima e collaborazione con i paesi usciti dalla dissoluzione dell’Impero asburgico e furono gettate le basi per la normalizzazione delle relazioni con le autorità italiane dopo la lunga crisi scaturita a seguito della “questione romana”.