L’iniziativa di celebrare il Cristo Re con una festa liturgica apposita può essere attribuita a Papa Leone XIII, perché fu lui, nel lontano 1899, ad avanzare l’idea che gli uomini dovessero consacrare universalmente il Sacro Cuore di Gesù mediante l’istituzione di un giorno solenne. Solo non ebbe tempo di ufficializzare la pratica. Pio XI, al secolo Ambrogio Damiano Achille Ratti, pochi anni dopo si occupò esclusivamente di accelerarne il processo istitutivo promulgando l’enciclica Quas Primas, che vide la luce l’11 dicembre 1925 (non a caso, a poche ore dall’omaggio all’Immacolata Concezione e a ridosso del Natale).

A fare pressione sui pontefici che si erano succeduti negli anni furono alcune suppliche rivolte dal collegio cardinalizio e dai vescovi, i quali, in più di un’occasione, si erano dedicati anche a una serie di raccolte di firme. Ma i dubbi e le obiezioni, all’interno dello stesso mondo cattolico, erano altrettanto vivaci e motivo di inibizione. Le cause erano diverse e abbastanza complesse. Cerchiamo di decifrarle.

In primo luogo, sotto l’aspetto teologico puro, l’iniziativa trovò le resistenze di coloro che ritenevano l’Epifania una celebrazione analoga in cui era già contemplata la glorificazione del Signore, in particolare nella Natività; ma c’era anche una componente politica: per i cattolici liberali, in un’epoca contraddistinta dalla forte crescita dei partiti di ispirazione popolare, il potere monarchico rappresentava una forma di governo superata ed estemporanea. C’era infine un terzo elemento, di natura sociologica, che investiva direttamente la condizione geopolitica internazionale, ed era la progressiva affermazione dei totalitarismi, i quali, passato poco tempo dalla tragedia della Grande Guerra, stavano reclutando milioni di proseliti. A questa politica – era la posizione assunta dalla Chiesa – andava contrapposta la fede in Cristo, unico vero Sovrano di fronte all’intera umanità. Il Re, per l’appunto.

Che il Santo Padre, naturalmente stimolato dalla “spinta centrifuga” del cattolicesimo tradizionalista ancora ferito dai segni secolarizzanti imposti dalla presa di Roma, tempio della cristianità, volesse rimettere le cose al loro posto, lo si evinse dalle frasi introduttive scandite nell’enciclica: “(…) Tanta colluvie di mali imperversava nel mondo perché la maggior parte degli uomini avevano allontanato Gesù Cristo e la sua santa legge dalla pratica della loro vita, dalla famiglia e dalla società, ma altresì che mai poteva esservi speranza di pace duratura fra i popoli, finché gli individui e le nazioni avessero negato e da loro rigettato l’impero di Cristo Salvatore.” E’ evidente il richiamo al capitolo XIX dell’Apocalisse, allorché agli ebrei apparve Colui che figurava come “Re dei re e Signore dei signori” abbracciando “anche quanti sono privi di fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo”.

Quas primas, benché possa sembrare una delle tante promulgazioni cattedratiche perpetuate nel corso dei secoli, ha invece un significato profondo e arriva in una fase molto delicata per l’intera comunità. Il testo interpreta il moto di disapprovazione della Chiesa a seguito di decenni di scontri e controversie con l’autorità civile, e la sottolineatura che – nel corso di un’epoca caratterizzata dalla diminuzione delle libertà, dal crescente odio e dall’ira – l’amore e la fede restano le prerogative più adatte per scongiurare ogni guerra o violenza di alcun tipo.

Per risollevarsi, l’intera umanità dovette tuttavia attendere sino al 1946, anno spartiacque che rappresentò solo l’inizio della ricostruzione e il momento di redenzione per chi aveva appena seminato livore e disfacimento. Affinché “i desiderati frutti fossero più abbondanti e durassero più stabilmente nella società umana”. Come Quas Primas aveva in precedenza auspicato.