L’Ambasciatore Giorgio Radicati, diplomatico e scrittore, ha prestato servizio in diversi Paesi tra cui gli Stati Uniti d’America, dove ha trascorso dodici anni come Ministro Consigliere presso l’Ambasciata a Washington e poi Console Generale a New York. Per “Il Domani d’Italia” ha rilasciato il seguente commento circa i risultati della recente elezione americana.

Oggi, per le strade di Washington la gente dà l’impressione di gioire più per la sconfitta di Trump che per la vittoria di Biden. Del resto, quattro anni orsono quella stessa gente aveva già violentemente protestato per la vittoria di “the Donald”.

Soprattutto sull’onda della terribile pandemia, la sua era una sconfitta attesa, invocata da più parti con ostinata ostentazione e, per certi aspetti, prevista. Eppure, a conti fatti, si è consumata sul filo di lana. Dei centocinquanta milioni di voti espressi, poco più della metà sono andati a Biden, la cui vittoria si è materializzata lentamente, spoglio dopo spoglio, facendo, a un certo punto, temere che, malgrado la sua abituale ed indisponente sicumera, Trump fosse in grado per la seconda volta di sovvertire i pronostici. Di fatto, il Paese si è politicamente spaccato in due, come già successo in occasione della contestata vittoria di Bush jr nel 2000.

Alla resa dei conti, a Trump non è stato sufficiente sostenere, nel corso della sua campagna elettorale, di avere negoziato quattro accordi di pace “storici” in Medio Oriente; avere spinto (prima della pandemia) l’economia nazionale verso l’alto, dando euforia a Wall Street, creando posti di lavoro e riducendo, di converso, la disoccupazione; avere dissuaso uno spregiudicato dittatore nord-coreano dal perseguire pericolosi (per tutti) obiettivi nucleari; avere preso le misure ad una Cina espansionista, riportando il centro degli affari in America; avere, infine, ricostruito l’esercito smantellato da Obama, senza coinvolgere il Paese in avventure militari oltre oceano.

La forzatura istituzionale contro regole e tradizioni (con grave rischio per la democrazia), la carenza di un vero confronto politico civile con l’opposizione ed il mancato pieno rispetto per la Costituzione sono stati indubbiamente fattori che lo hanno penalizzato. Una dialettica aspra e contundente nei confronti di portatori di idee e orientamenti politici diversi dai suoi ha fatto il resto come pure una visione che porta a considerare ogni avversario politico un nemico da abbattere ed umiliare.

In tal senso, può dirsi che Trump è stato sconfitto dal suo comportamento troppo imprenditoriale e da un conseguente bieco pragmatismo irresponsabile, che gli hanno fatto, ad esempio, (pesantemente e colpevolmente) sottovalutare gli effetti perversi che la pandemia ha avuto e continua ad avere sulle fasce più deboli della popolazione (ad oggi, circa dieci milioni di contagi e 250.000 decessi). Del resto, milioni di americani non possono permettersi di essere (come lui) ricoverati all’Ospedale Militare di Washington e sconfiggere il virus in meno di una settimana…

Ciò detto, il seppur opaco Biden ha avuto buon gioco nell’inserire tra le priorità del suo programma elettorale: il contrasto a tutto campo del coronavirus, il rilancio dell’economia, la ripresa della collaborazione sul clima (nel quadro degli accordi di Parigi), un maggiore internazionalismo e, “last but not least”, il superamento delle divisioni contro il risorgente razzismo.

Stretto fra i maggiorenti del Partito Democratico (più vicini ai repubblicani) e gli attivisti progressisti (portatori dei voti decisivi), Biden, con un Senato a maggioranza repubblicana, dovrà sudare le proverbiali sette camice per onorare le sue promesse.

Comunque, per il momento, nel paese del “business” la bandiera dei princìpi ha prevalso…Seppure per un soffio!