Articolo pubblicato sulle pagine dell’Osservatore Romano in data 19 Aprile a firma di Flavio Felice Professore ordinario di Storia delle dottrine politiche, Università del Molise

Nel videomessaggio che Papa Francesco ha indirizzato al Centro per la Teologia e la Comunità, in occasione della conferenza «Una politica radicata nel popolo», svoltasi a Londra il 15 aprile scorso, il Pontefice afferma che «La “vera risposta” al populismo non è l’individualismo ma “una politica di fraternità”» e con riferimento alla nozione di “populismo inclusivo”, proposta dal reverendo Angus Ritchie, direttore del Centro, Papa Francesco risponde in maniera inequivoca: «A me piace usare “popolarismo”». Tale dichiarazione ci consente di intervenire su queste due categorie del pensiero politico oggetto di qualche fraintendimento.

In una intervista rilasciata oggi, 19 aprile 2021, a «Vatican News», il capo ufficio stampa del Quirinale, Giovani Grasso, parlando della pièce teatrale scritta da lui stesso — Fuoriusciti — racconta del sodalizio intellettuale che Luigi Sturzo e Gaetano Salvemini strinsero durante il loro esilio negli anni della dittatura fascista. Grasso ci ricorda che il 26 novembre del 2021 si compirà il 150° anniversario della nascita di Sturzo, teorico e padre del popolarismo, l’“apostolo” dell’impegno dei cattolici in politica, un «Himalaya di volontà» per Salvemini o, per usare la significativa definizione di Gobetti: il «messianico del riformismo».

Il riferimento del Papa al “popolarismo” e il ricordo da parte di Grasso che siamo nel 150° anniversario della nascita di Sturzo ci invitano a una breve riflessione sul significato della categoria politica di “popolarismo”, come alternativa irriducibile a qualsiasi forma di “populismo”. Correttamente, Maurizio Serio, su queste colonne, lo scorso 17 aprile, ha mostrato l’inadeguatezza della nozione di “populismo inclusivo”, per la semplice ragione che la qualifica di “inclusivo”, oltre a non emendare quella di “populismo”, non ci dice ancora nulla sulle politiche d’inclusione. Possiamo avere un’inclusione frutto del paternalismo, dell’assistenzialismo, del clientelismo, di pratiche che si risolvono nella «trappola del popolo-sovrano etero-diretto dal paternalismo politico», piuttosto che espressione del libero e responsabile coinvolgimento dei tanti attori civili in un programma che si possa definire popolare, in quanto capace di demolire la pretesa monopolistica ed estrattiva di singoli gruppi di potere.

Questa è stata la grande intuizione di Sturzo agli inizi del XX secolo, la possibilità di immaginare le masse popolari non più dipendenti dalla benevolenza del feudatario illuminato e, in seguito, da una classe politica divenuta padrona dello Stato, autoproclamatosi “padre virtuale”, che assiste con la frusta e con un pezzo di pane i suoi figli condannati alla minorità perpetua. L’alternativa proposta da Sturzo è espressa dallo stesso prete di Caltagirone, allorché, introducendo a Londra nel 1936 l’esperimento politico antifascista People and Freedom Group, scriveva: «Popolo e libertà è il motto di Savonarola; popolo significa non solo la classe lavoratrice ma l’intera cittadinanza, perché tutti devono godere della libertà e partecipare al governo. Popolo significa anche democrazia, ma la democrazia senza libertà significherebbe tirannia, proprio come la libertà senza democrazia diventerebbe libertà soltanto per alcune classi privilegiate, mai dell’intero popolo».

Di tutt’altro tenore è il populismo, in tutte le sue salse e possibili declinazioni. Esso si pone come un superamento della democrazia rappresentativa, perché mira a sovvertire le basi della rappresentanza, sostituendola con il principio di identità: il leader parla come il popolo, mangia come il popolo, presenta i vizi stessi del popolo e, in nome di tale identità, pretende di governarlo come il pastore governa il suo gregge; la concezione dello stesso popolo, inteso come comunità organica coesa (gregge) confina ogni opposizione politica dietro la categoria discriminante di non-popolo. Di contro, il popolo in Sturzo è un concetto “plurarchico” e non si identifica con il capo, in quanto lo controlla e lo limita. Il limite e il controllo che esso esercita sono di ordine giuridico, istituzionale e culturale, andando ben oltre la distinzione dei poteri di matrice classico-liberale e fornendo la possibilità di coniugare libertà e uguaglianza, ricorrendo alla nozione di fraternità, in virtù della quale siamo tutti uguali, ma non identici, come i figli di uno stesso padre.

Il problema di fronte al quale Sturzo pone i cattolici di tutti i tempi riguarda la domanda se, in tutta coscienza, i cattolici dovrebbero accettare o magari promuovere un regime politico che nega le libertà politiche, economiche e civili, in cambio di privilegi, per semplice quieto vivere, rinunciando in tal modo a nutrire il terreno dal quale attingere le risorse necessarie per difendere e promuovere i valori che dovrebbero stare loro a cuore. Una rinuncia che, inevitabilmente per Sturzo, comprometterebbe la disponibilità dell’antidoto contro la violenza politica, contro la sopraffazione economica e che sappia opporsi alla prepotenza culturale di chi, avendo conquistato lo “Stato”, sarà nelle condizioni di determinare la vita, gli ideali e gli interessi delle singole persone.