NO ALLA DC, SÌ AD UNA DEMOCRAZIA DI ISPIRAZIONE CRISTIANA.

“Al di là di uno strumento politico ed organizzativo _ scrive l’autore -, e quindi anche di un progetto politico concreto ma storicizzato, quello su cui vale la pena richiamare l’attenzione è che la DC come partito è consegnato agli archivi storici ma una democrazia di ispirazione cristiana continua ad essere, invece, utile, attuale e contemporanea anche nel contesto politico e culturale odierno”.

Il partito della Democrazia Cristiana è politicamente e storicamente archiviato. E questo per una ragione persin troppo semplice da spiegare. Ovvero, la DC è stata un “fatto storico”, cioè una esperienza politica concreta collocata in una precisa stagione storica del nostro paese. Dopodichè, quando sono venute meno le ragioni politiche, culturali e anche storiche che hanno giustificato la presenza di quel partito, la Democrazia Cristiana si è sciolta come neve al sole. E, accanto alle motivazioni di ordine politico, lo tsunami innescato dalla magistratura ha fatto il resto. E, per citare una celebre definizione di un autorevole leader di quel partito, Guido Bodrato, “la DC era come un vetro infrangibile. Quando è andata in frantumi si è dissolta in mille pezzi che non sono più ricomponibili”. Una frase secca, perentoria ma senza attenuanti.

Ora, al di là di uno strumento politico ed organizzativo, e quindi anche di un progetto politico concreto ma storicizzato, quello su cui vale la pena richiamare l’attenzione è che la DC come partito è consegnato agli archivi storici ma una democrazia di ispirazione cristiana continua ad essere, invece, utile, attuale e contemporanea anche nel contesto politico e culturale odierno. E questo perchè i valori, l’esperienza democratica nutrita di una ispirazione cristiana laicamente declinata nella società contemporanea, non è affatto una evocazione astratta o, peggio ancora, nostalgica. Per una semplice ragione: in un clima ancora caratterizzato da una pesante desertificazione culturale e da una radicale assenza di riferimenti etici – per non parlare della visione della società coltivata dai singoli partiti – recuperare il patrimonio ideale e una cultura politica che non sono mai fallite alla prova della storia, può e deve essere una strada ancora da ripercorrere e da assecondare. 

Certo, non si tratta di riproporre un modello organizzativo che, del resto, è sistematicamente fallito ogniqualvolta qualche anima generosa cercava di riportarlo all’onore della cronaca politica. Né, d’altro canto, è immaginabile, nella fase storica contemporanea, pensare ad un partito fortemente identitario ed espressione di una sola cultura politica. Esperienze che hanno contrassegnato, invece, la lunga stagione della prima repubblica e che si è progressivamente dispersa dopo l’avvento dei partiti personali/cartelli elettorali da un lato e, in modo più credibile, dei cosiddetti “partiti plurali” dall’altro. Partiti plurali che, nella migliore delle ipotesi, sono caratterizzati dall’apporto di più culture politiche anche se, purtroppo, con i partiti personali o del “capo” la stessa identità politica e culturale è quasi sempre sacrificata sull’altare della fedeltà al verbo o al dogma dello stesso “capo”.

Ma la tradizione storica e l’esperienza politica e culturale del cattolicesimo politico italiano non possono essere passivamente associati alla sola storia della Democrazia Cristiana. Perchè lo strumento politico del partito è una cosa ma la cultura politica di una tradizione ideale è tutt’altra cosa. A cominciare anche e soprattutto dalla lezione e dal “magistero” concreti di molti leader e statisti di quel partito disseminato in 50 anni di governo, seppur tra alti e bassi. Come si può, per fare due soli esempi concreti, non recuperare l’eredità politica di Carlo Donat-Cattin sulla importanza e sulla centralità della “questione sociale” nell’ orientare e nel disegnare una visione di società e un programma politico di governo che non sia solo dettato dalle emergenze e dalla contingenza? Al contempo, il magistero di Ciriaco de Mita – ripeto, per citare due soli leader della lunga e ricca tradizione del cattolicesimo politico e sociale italiano – sul terreno istituzionale e di riordino e rilancio delle nostre regole continua ad essere di straordinaria attualità. Per non parlare della tensione riformista di Tina Anselmi o della caratura politica e di governi di uomini come Andreotti o Fanfani.

Insomma, la vera sfida in vista della ricostruzione e della rifondazione della politica dopo il fallimento del populismo demagogico e anti politico e della esperienza penosa di governo dei 5 stelle, non può non ripartire dalle “fondamenta”. Se non vogliamo ripiombare in un’altra moda altrettanto dannosa e nefasta per la qualità della nostra democrazia, per la credibilità delle istituzioni e per l’efficacia dell’azione di governo. E una democrazia di ispirazione cristiana può, al riguardo, essere ancora utile e necessaria. Soprattutto per quel Centro e quella “politica di centro” che saranno presenti alle prossime elezioni politiche generali