Noi siamo indulgenti con Gigino

Sul caso dell’ex sindaco di Lodi, giudicato innocente dopo anni di gogna mediatica alimentata anzitutto dai grillini, Di Maio chiede scusa. Meglio tardi che mai. Il Paese, in ogni caso, ha bisogno di uscire dal gorgo del giustizialismo.

 

Gianfranco Moretton

Immagino che quando un giudice deve definire la sentenza sia sempre preso da qualche preoccupazione. Immagino che in fondo, si chieda se quanto stabilisce sia giusto o non sia giusto. Lo fa solo in base alle prove dibattimentali, ma gli resterà sempre il dubbio che vi possa essere una svasatura tra la verità della sentenza. Sia che sia a favore sia che sia contro il presunto imputato.

Questa premessa per dire che, a conti fatti, il gesto di Luigino Di Maio di scuse nei confronti del sindaco di Lodi, riconosciuto qualche giorno fa non colpevole di un fatto accaduto cinque anni fa, mette in risalto solo la acerba, ingiustificata, fanciullesca, barbarica accusa che l’allora esponente di primo piano del movimento 5Stelle aveva rivolto al presunto criminale.

I forcaioli, sanno alzare con una certa tendenza quel cupo strumento di epoche arcaiche, perché così pensano di essere i salvatori della patria, i moralisti con l’anima candida, i ben pensanti che additano il male comunque dall’altra parte rispetto alla propria santa posizione.

 

Di fronte a simili manifestazioni, qualora ricapitassero, dovremmo saper prendere le giuste distanze e non attendere, come il caso suddetto, il momento del pentimento per rimettere in ordine le vicende.

 

Non vorrei comunque passare per quello che intende impedire a chi ha sbagliato, di trovare il modo e il tempo per scusarsi. Ci si può sempre rivedere, altrimenti una volta commesso un errore non potremmo mai più rimediare.

 

Di Maio rimedia, spero solo che questo pentimento gli sia servito per non ricadere nuovamente lui e molti dei suoi, in quell’inqualificabile giudizio espresso sull’onda di un giustizialismo da loro voluto imperante.

 

Mettiamoci solo nei panni di chi, innocente, si era trovato già nell’inaccettabile condizione di essere condannato senza aver fatto alcunché.