Siamo di nuovo daccapo. Il “centro” fa parlare di sè, e anche molto, e alcuni capi di piccolissimi  partiti se lo vogliono intestare. Quasi per decreto o per strane e singolari autoinvestiture. Certo, fa  effetto che il capo di un piccolissimo partito personale e forse il più lontano da qualsiasi  vocazione inclusiva – oltre ad essere fortemente contestato per il suo stile e la sua incoerenza  politica ripetutamente e platealmente manifestata in questi ultimi anni – e cioè, Renzi, pensi  curiosamente di rappresentare il “centro” politico nel nostro paese. Per non parlare, forse più  legittimamente, di Calenda o addirittura dei radicali. Chi ha sempre seguito, o ha militato o si è  riconosciuto nelle formazioni politiche di “centro” nel passato o in tempi più recenti, non può che  guardare con stupore se non con allegria a tutti coloro che in questa fase turbolenta e caotica  pensano di rappresentare culturalmente e politicamente – e quasi in modo esclusivo – un’area di  “centro” o, meglio ancora, una cultura politica di centro nell’attuale contesto pubblico italiano.  

Ora, al di là dei tentativi di vari capi partito o di sigle e cartelli elettorali di intestarsi  simpaticamente l’intera rappresentanza di un’area politica che è sempre stata decisiva nei vari  snodi che ha caratterizzato la storia democratica del nostro paese, è del tutto evidente che  questo campo politico potrà decollare solo nel momento in cui sia visibile e percepibile il ruolo e  la funzione della cultura popolare al suo interno. Cioè la cultura cattolico democratica e cattolico  sociale. Senza questa presenza culturale, ancorchè non esclusiva, qualsiasi ipotesi di ricostruire  un’area politica di “centro” è semplicemente destinata al fallimento. E questo ancora al di là della  poca, se non nulla, affidabilità politica di chi pensa, fantasiosamente, di rappresentare per diritto  divino il “centro”.  

Certo, la variegata e articolata area cattolico popolare e sociale non può continuare ad andare in  ordine sparso. E questo perchè nel momento in cui la geografia politica italiana è destinata ad  essere attraversata da profondi cambiamenti – come in parte è già avvenuto ad appena poco più  di un mese dall’avvento di Draghi al Governo – è quantomai necessario che si verifichi anche una  unità forte e convinta di chi, all’interno della tradizione cattolico popolare, pensa di scommettere  su una nuova avventura politica che non può che avere successo. Politico ed elettorale. Fuorchè  qualcuno pensi, carnevalescamente, che l’ex partito del “vaffaday” possa ambire a rappresentare  un’area di centro in virtù di una doppia se non tripla piroetta trasformistica dei suoi capi o  “elevati”. No, perchè da quelle parti, per dirla con una felice battuta di Donat-Cattin degli anni ‘80,  “sono capaci, capacissimi, capaci di tutto”. Ma sempre 5 stelle restano. E cioè, un’ideologia  fondamentalmente ispirata all’anti politica, all’antiparlamentarismo e al populismo demagogico.  

Ecco perchè, piaccia o non piaccia, senza i cattolici popolari e sociali un “centro” credibile, serio  ed affidabile non può decollare. È compito, semmai, di chi si riconosce in quest’area, innanzitutto,  e di chi continua a ritenere importante un luogo capace di declinare una autentica “politica di  centro” attivare adesso una iniziativa. Politica e organizzativa. Ovviamente aperta a tutti, inclusiva  e democratica, riformista e plurale.