NON LASCIA SPAZIO AI POPOLARI IL MODELLO DEL  “NUOVO PD”, SECCAMENTE INTERPRETATO COME PARTITO DELLA SINISTRA.

Per il Pd si è chiusa una pagina politica e culturale: il mutamento è radicale. I candidati alla segretaria tacciono sull’apporto che può arrivare dalla cultura popolare, cattolico sociale e democratica per la costruzione del progetto politico complessivo del partito.

Per il Pd si è chiusa una pagina politica e culturale: il mutamento è radicale. I candidati alla segretaria tacciono sullapporto che può arrivare dalla cultura popolare, cattolico sociale e democratica per la costruzione del progetto politico complessivo del partito.

Giorgio Merlo

Il dibattito surreale che aleggia attorno al Pd sul futuro congresso che deve eleggere i nuovi organi dirigenti del partito è sempre più curioso ed intrigante per i vari commentatori ed opinionisti. Con sondaggi che sprofondano sotto il 15% dei consensi dopo una storica sconfitta elettorale, il Pd sta discutendo animatamente addirittura su come celebrare queste fatidiche “primarie”, l’ultimo e unico dogma intoccabile di un partito che quando è nato aveva l’ambizione di essere un partito a “vocazione maggioritaria”.

Ora, è del tutto evidente che anche per il Pd si è chiusa definitivamente una pagina politica e culturale. Ed è una pagina che è coincisa con il progetto inaugurato da Veltroni nel lontano 2007 con l’ormai celebre discorso tenuto al Lingotto di Torino. E cioè un partito cardine del bipolarismo della politica italiana; frutto del più raffinato e moderno riformismo italiano; incontro tra le principali culture riformiste e costituzionali del nostro paese; luogo per rilanciare la politica e la partecipazione democratica e, in ultimo, un partito che aveva anche l’ambizione di selezionare una vera ed autentica classe dirigente. Insomma, un partito che doveva anche essere il perno e il protagonista di una stagione che andava sotto il nome, forse un po’ enfatizzato, di “seconda repubblica”.

Oggi, se dovessimo definire la “mission” e il ruolo di questo partito, il giudizio sarebbe radicalmente diverso, com’è ormai evidente a tutti gli osservatori che non sono accecati dalla faziosità e dalla sola propaganda. E cioè, un partito spietatamente e militarmente organizzato per correnti – prevalentemente di potere -, un partito che non rappresenta più quei ceti e quell’area sociale per cui era nato, un partito che non è più la somma delle migliori culture riformiste del nostro paese e, soprattutto, un partito che non è affatto il perno attorno al quale ruota la costruzione di un’area alternativa al centro destra. Ovvero, un partito radicalmente diverso da quello che era stato progettato dopo la confluenza dei Ds e della Margherita in un nuovo ed inedito contenitore elettorale. E la vicenda, per alcuni versi addirittura grottesca, di come disciplinare lo svolgimento delle primarie fra circa un mese non è che l’ennesima conferma di questa confusione politica e dello smarrimento strategico in cui sono precipitati il Partito democratico e la sua dirigenza.

Ed è proprio su questo versante che voglio richiamare l’attenzione attorno ad un aspetto che può apparire marginale ma che, invece, è centrale per il profilo e l’identità futura di questa formazione politica. Mi riferisco, nello specifico, alla sostanziale e radicale assenza nelle riflessioni dei vari candidati alla segreteria nazionale del partito – tutti riconducibili, in un modo o nell’altro, alla storia e alla cultura politica della sinistra italiana – sull’apporto che può arrivare dalla cultura popolare, cattolico sociale e anche cattolico democratica per la costruzione del progetto politico complessivo del partito. Ora, sia chiaro, non c’è l’obbligo statutario e formale da parte dei vari candidati alla segreteria del partito di valorizzare il ruolo e l’apporto di questa cultura storica per il futuro del Pd. Ma è indubbio che l’assenza radicale di qualsiasi considerazione sul ruolo e sulla funzione di questa cultura politica e di questa tradizione storica nel dibattito congressuale del Pd, è quantomai sintomatica su come sia mutata la cornice in cui si racchiude il dibattito. E questo, al netto delle considerazioni formali che tutti sono utili, necessari ed indispensabili per rafforzare il partito. Dagli ambientalisti ai verdi, dai liberali ai socialisti, dai Popolari ai liberal democratici e chi più ne ha più ne metta. Ma queste sono dichiarazioni formali e protocollari.

Quello che conta, al di là della buona volontà e della generosità di Pier Luigi Castagnetti che persegue ancora l’obiettivo di costruire una micro corrente a supporto di qualche candidato alla segreteria nazionale, quello che vale la pena rilevare è che il Pd – e giustamente – sarà nel futuro uno dei tanti partiti che interpreta la tradizione e la storia della sinistra italiana. Questa sarà la prospettiva politica e culturale del Partito democratico. Il resto appartiene solo alla propaganda e ai comunicati stampa del partito romano. E questo è un aspetto, forse anche il principale, che conferma il mutamento radicale ed irreversibile della identità, del profilo e della stessa “mission” politica e strategica del Partito democratico nella cittadella politica italiana.