La storia ci insegna che i popoli dopo aver subito gravi incidenti economici, calamità di vario genere e guerre, appena queste avversità cessano, ritornano alle proprie attività  con fervore ed impegno molto più intensi di prima .

È l’istinto di sopravvivenza che ha predisposto in noi il Signore, che sprigiona nelle persone una grande energia tesa a recuperare quello che si è perso nella disgrazia. Gli eventi più vicini alla nostra esperienza personale e familiare lo dimostrano, come nel dopo guerra del secondo conflitto mondiale, nella crisi finanziaria del 2008, in questa esperienza drammatica pandemica.

L’Italia ha avuto una ripresa travolgente nel primo ventennio repubblicano, ma non dopo il crollo di Wall Street del quale portiamo ancora le ferite ancora purulenti, facendo eccezione rispetto a tutti gli a altri paesi industrializzati che hanno saputo sopravanzare i danni iniziali subiti, ed ora nella crisi sanitaria nel suo pieno svolgimento già si notano clamorosi avanzamenti in alcuni settori economici e aree del mondo.

Va considerato che l’attuale pandemia è capitata nel mezzo dello sviluppo smisurato sul piano mondiale del potere finanziario, delle big tech e della rivoluzione digitale, e dunque tutte le attività legate a questi mondi stanno migliorando i loro affari con una elevatissima progressione geometrica, favorita non solo dal cambiamento in atto e dalla sostituzione delle vecchie tecnologie nella vita privata e nell’ambito delle produzioni e servizi, ma anche dalle impellenti necessità imposte dal COVID di superare spazio e tempo.

Cosicché come è accaduto negli snodi dei cambiamenti epocali provocati dalle nuove tecnologie, cambia la domanda di nuovi mestieri ed irrompono nuove aziende nel mercato, mentre mestieri e imprese vecchie si dirigono inesorabilmente verso la loro consunzione. I cambiamenti avvenuti nella storia certamente hanno creato anche grandi inconvenienti per lavoratori, imprese ed economia di un Paese, ma il superamento delle difficoltà dipende quasi esclusivamente dalla velocità nell’apprendimento delle nuove competenze e da imprese in grado di immedesimarsi con le dinamiche di domanda internazionali e locali dei mercati in grado di disporre di nuove tecnologie, di reti  commerciali e di logistica efficienti ed economici.

Nel nostro paese, però queste verità non sono affatto considerate; si ritiene che il modo di soccorrere lavoratori ed imprese in simili circostanze è quello di elargire bonus e sostegni, sciupando denaro che invece potrebbe essere usato per rigenerare imprese, professionalità di lavoratori, ed una “pubblic education” in grado di preparare le giovani generazioni a stare al passo con le conoscenze utili per partecipare fattivamente al “villaggio globale” ed alle  produzioni di beni e servizi.

La differenza la farà davvero l’attenzione al rinnovo della nostra capacità di condividere con successo la divisione internazionale del lavoro per assicurarci fette di mercato per il nostro benessere. Ed allora credo che la politica faccia bene a preoccuparsi di riaprire le varie attività di ristoro e di servizi, ma cento volte in più dovrà preoccuparsi a come l’Italia possa attrezzarsi dopo anni ed anni di noncuranza sui fattori della modernità necessaria al sistema di produzione e dei servizi, che sono le fonti più importanti per consentirci sicurezza sociale e benessere.