NUOVE ARMI ALL’UCRAINA TRA TATTICHE E STRATEGIE PER LA PACE

Il prossimo dibattito parlamentare sull'invio di armi all'Ucraina tenga conto dei molteplici aspetti in gioco, sempre con l’apertura a una soluzione diplomatica, dal momento che esistono cause che rendono il conflitto strutturalmente irrisolvibile per via militare.

Il prossimo dibattito parlamentare sull’invio di armi all’Ucraina tenga conto dei molteplici aspetti in gioco, sempre con l’apertura a una soluzione diplomatica, dal momento che esistono cause che rendono il conflitto strutturalmente irrisolvibile per via militare.

Giuseppe Davicino

Il pressing internazionale in corso (anche) sull’Italia riguardo alle furniture militari all’Ucraina finirà per incidere sulla definizione del prossimo pacchetto di sostegni di difesa. Il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani comunque ha assicurato che tale invio dovrà esser preceduto da una informativa al parlamento. Sotto il profilo degli aiuti militari l’impegno italiano è stato sinora caratterizzato da grande equilibrio e senso di responsabilità, nel solco tracciato dal governo Draghi. Un impegno che se pure non è riuscito a evitarci lo status di Paese belligerante, ha perlomeno reso evidente che intendiamo partecipare nel modo più sostenibile possibile a una guerra che arreca immense sofferenze alla popolazione e indelebili ferite umane, come ha ricordato ieri all’Angelus Papa Francesco, alle madri delle vittime di entrambi i fronti.

Una guerra, peraltro, di cui sembra difficile allo stato attuale intravedere una fine. Perché gli obiettivi degli opposti fronti, “liberare l’Ucraina” da una parte e “difendere la stessa esistenza della Federazione Russa” dall’altra, questo significano, un conflitto di lunga durata col costante rischio di una escalation incontrollabile. Una prova che chi, fra quanti hanno le chiavi della pace, come il potere americano, sia in una pericolosa situazione di stallo, di reciproco controbilanciamento tra la fazione più propensa alla tregua e la fazione che non fa mistero di voler proseguire la guerra fino allo smembramento della Russia, forse si può intravedere anche nella inusuale modalità di elezione del nuovo speaker della Camera Kevin McCarthy, che non fa che rinviare i molti nodi da sciogliere nella strategia americana per questo secolo.

Nell’indecisione, la guerra non potrà che continuare e il prossimo dibattito parlamentare sul nuovo pacchetto di armamenti da offrire all’Ucraina, un sistema missilistico di difesa aerea italo-francese all’avanguardia, dovrà valutare sia gli elementi di sostegno politico e di coesione della coalizione occidentale sia gli elementi tecnici, logistici e di altra natura che risultano coinvolti nell’operazione, nonché il necessario confronto e coordinamento con la Francia che condivide la tecnologia adottata su questi nuovi tipi di armamenti. Tali sembrano essere gli spazi praticabili per un contributo concreto che il nostro Paese può dare in questa fase ad evitare  un ulteriore inasprimento del conflitto. Perché la delicatezza della fase che stiamo attraversando, è tale che riuscire a mantenere per il futuro al livello attuale la carneficina quotidiana  in qualche modo potrebbe costituire l’ipotesi migliore, in assenza di sempre auspicabili cambi di strategia in chi ha il potere di farlo, da entrambe le parti.

Alla luce di questa considerazione dovrebbe risultare con più forza il fatto che la realpolitik debba esser accompagnata da una insistente e reiterata richiesta di immediato cessate il fuoco. Il conflitto ucraino presenta infatti tutte le caratteristiche di una guerra senza sbocchi, e dunque anche da un punto di vista puramente pragmatico e di opportunità conviene a tutti, a cominciare dalle popolazioni toccate dai combattimenti, fermare le armi piuttosto che continuare a usarle, chiedendone sempre di nuove e di più distruttive.

Sullo sfondo della inutile strage ucraina si staglia prepotentemente la questione irrisolta di carattere generale inerente la definizione di una nuova modalità gestione della politica mondiale. Sui tanti ed ininterrotti conflitti che hanno insanguinato questo quasi quarto di XXI secolo pesa il mancato raggiungimento di una intesa fra le potenze mondiali vecchie e nuove circa il loro vicendevole riconoscimento in un’ottica di competizione e di autonomia ma all’insegna di reciproci, enormi vantaggi. Più tarderà questo accordo, che in gergo si definisce “multipolarismo”,  la svolta tanto attesa e necessaria nelle relazioni internazionali, più è possibile che si protragga in questo secolo il tempo delle guerre. La politica è degna di questo nome solo quando riesce a mantenere con saldo realismo un occhio sulle cose contingenti e nel contempo l’altro sugli orizzonti verso i quali marciare.