È comprensibile che ogni desecretazione, parziale, totale, semiparziale, ecc. ecc., faccia pensare al tassello mancante per una difficile, difficilissima verità. Però insieme alla desecretazione (la Cia, etc.; ti pareva…) bisogna continuare a considerare quello che non è secretato perché ormai è innegabile, da tempo.

Nel 2019 ci sono stati due anniversari ‘pesanti’: i 30 anni del Muro di Berlino e i 50 anni di Piazza Fontana. Per quest’ultimo i media hanno avuto molte iniziative documentaristiche. In editoria, poi, è aumentata la letteratura su questa vicenda.

L’11 Febbraio scorso la Procura Generale di Bologna ha chiuso l’inchiesta sui mandanti della Strage di Bologna del 1980, indicando tra i mandanti il Prefetto Umberto Federico D’Amato in persona (non ha delegato qualcuno, voglio dire che si è impegnato lui). Circa il 12 Dicembre la tesi (una delle tesi, che sono molte e svariate e tutte attorcigliate) che si volessero/non si volessero fare i morti è nota notissima.

Si fa il paragone con gli attentati a Roma dello stesso giorno: all’Altare della Patria ci fu solo lo scoppio, ma presso la Banca Nazionale del Lavoro ci furono quattordici feriti. Proprio petardi, evidentemente, non erano e non si volevano tirare. Neanche a Bologna l’ineffabile Umberto Federico D’Amato, il gran capo dell’UAR – Ufficio Affari Riservati del Viminale nel 1969, e appunto rimosso da Taviani nel 1974, due giorni dopo la Strage di Piazza della Loggia, a Brescia, 28 Maggio, 8 morti e 102 feriti, voleva fare dei morti?
Nelle indagini per la Strage di Piazza della Loggia ci finisce anche il Generale dei Carabinieri Francesco Delfino, insieme al mandante Carlo Maria Maggi. Delfino: che la gente conosce in TV perché coinvolto in uno strano tentativo di estorsione verso i Soffiantini (rapimento Soffiantini).

Per Piazza della Loggia il Generale Delfino è stato assolto per non aver commesso il fatto nel 2012; la sentenza è diventata definitiva. Ma nel 2001 per il caso Soffiantini (ricatto) è stato condannato in via definitiva. Andato in congedo come generale di divisione, in sede disciplinare – poi – è stato ridotto a soldato semplice.

Non si se D’Amato (Ministro era Restivo) avesse o meno un’idea di cosa sarebbe successo/doveva succedere/era successo la sera del 12 Dicembre a Piazza Fontana, con quelle valigie tedesche acquistate da Franco Freda in un negozio di Padova poco tempo prima (accertato).
A Maria Grazia Pradella, che oggi si occupa dell’indagine sulla Caserma dei Carabinieri, di Piacenza, nell’Aprile del 1995 fu affidata una nuova inchiesta sulla strage di Piazza Fontana. Di lì a poco divenne il pg più scortato d’Italia per le incessanti minacce di morte. In una intervista a “Famiglia Cristiana” del 7 Maggio del 2000 dice al settimanale dei Paolini: «Fu sicuramente una strage di Stato, perché si volevano eliminare i cardini fondamentali della democrazia e perché erano coinvolti elementi che a questo Stato appartenevano e che lo hanno tradito. Il mio stato d’animo è molto sereno, ma duro nei confronti di chi si è reso responsabile del tradimento».

Meno diretti ma altrettanto allusivi sono stati due Presidenti della Repubblica, Napolitano e Mattarella, mentre incontravano Licia Rognini, vedova Pinelli, e Gemma Capra, vedova Calabresi.
Il primo magistrato a mettere piede nel cortile della Questura di Milano fu Gerardp D’Ambrosio anni dopo, indagava sulla caduta di Giuseppe ‘Pino’ Pinelli (si sentì in obbligo di scusarsi con la vedova dell’anarchico: ‘purtroppo signora solo ora siamo ora a verificare queste cose’).

Ma Silvano Russomanno, braccio destro del Prefetto D’Amato (Russomanno verrà successivamente condannato per il famoso doppio archivio sull’Appia), il 13 Dicembre 1969 con una propria squadra era già a Milano a ‘prendere possesso’ della Questura. Gli fu piazzata una scrivania nella stanza del Dott. Antonino Allegra, capo dell’Ufficio Politico della Questura (che fra gli altri annoverava il ‘lasciato solo dallo Stato’ Luigi Calabresi). Il Questore era Marcello Guida, già direttore del Carcere di Ventotene (Pertini fu un ospite di Guida).

Come Russomanno (già SS italiane, visto che decise di rimanere con Salò e non finire prigioniero militare in Germania) ha più volte detto – ma non andando oltre davanti a nessun magistrato -, la squadra venuta dal Viminale ‘diresse’ in quei giorni in Questura tutto quello che c’era da dirigere. Finché non si fu sicuri che la pista anarchica fosse ben imbastita ed apparisse incontrovertibile. Ma come nel caso Kennedy, non tutte le ciambelle riescono col buco. In quel caso la vicenda che filava liscia su Lee Harvey Oswald (e si sarebbe chiusa sul pazzo sparatore) fu ‘rovinata’ dalle pistolettate di Jack Ruby, tenutario di un semibordello, che gli tappò la bocca (e quando anni dopo la voleva aprire lui, in una notte ‘si sentì male’ e morì in carcere; vedi intervista di Bisiach al medico del carcere).

Nel caso di Piazza Fontana, l’incidente Pinelli non ci voleva (non fu buttato; né si buttò al grido “È la fine dell’anarchia!”, come disse in fretta e furia quella notte il Questore Guida, con una faccia da chi ha del potere e non può che essere creduto d’ufficio).
Ma questo è solo un antipasto.