O sì o no, restituiamo alla parola il suo valore.

Siamo sommersi da un fiume di parole. Non sempre ci si accorge però che l’uso sovrabbondante delle parole finisce per favorire l’incomunicabilità: un rumore assordante di voci che sovrasta la stessa comprensione del linguaggio. Invece bisogna saper comunicare facendosi capire.

Francesco Provinciali 

Dal gergo colorito del grande, indimenticabile Totò ci viene consegnato uno dei più genuini consigli sulla sincerità: non “badi come parla” ma “parli come badi!”. Forse sembra solo una intuitiva battuta ad effetto ma, ad una lettura postuma, anche un simpatico invito ad essere se stessi,senza le ridondanti sovrastrutture linguistiche che con parole roboanti ed espressioni ad effetto finiscono per limitare l’autenticità e l’immediatezza della comunicazione fra le persone. Quando sento da parte di politici e imbonitori, tribuni e moralisti certi fervorini retorici ed autoreferenziali mi viene in mente l’antico ricordo scolastico del poeta dell’orecchio e non del cuore.

La musicalità leziosa ed ostentata della parola non riesce a sostituire nell’immaginazione dei miei desideri la sacralità ispiratrice del silenzio. Pensare non è certo uno dei nostri passatempi preferiti e sovente ci manca il pudore del saper tacere: infatti prima di mettere in moto il cervello molti aprono subito il rubinetto dei discorsi senza fine. Siamo sommersi da un fiume di parole e ognuno non rinuncia a dire la sua. Non sempre ci si accorge però che l’uso sovrabbondante delle parole finisce per favorire l’incomunicabilità: un rumore assordante di voci che sovrasta la stessa comprensione del linguaggio.

Non siamo più capaci di esprimerci per concetti e persino i proverbi – veri concentrati di saggezza popolare – vengono di buon grado messi in soffitta. Anche la TV recita la sua parte a soggetto e le stesse trasmissioni intenzionalmente destinate a rendere più democratica l’informazione finiscono per diventare penosi e ridicoli siparietti per esibizionisti e sapientoni, dove si urla e si litiga sul nulla: una continua prova generale di mirabolanti esercizi linguistici che lasciano il tempo che trovano. La stessa comunicazione mediatica, come argutamente sottolineato da Kahled Fouad Allam, finisce per essere paradossalmente non il prolungamento della parola nel mondo ma la sua negazione. Come ebbe a scrivere un genio di autentica sapienza come Seneca “dum differtur vita transcurrit: mentre si rinvia la vita passa e va.

A forza di descrivere, dettagliare, informare, convincere, argomentare si perde di vista il nucleo concettuale del discorso. Troppe frasi a effetto e poco convincenti. Il “maestro” Enzo Biagi – ricordato per la sua rude sincerità – ammise con coraggio che a volte dovremmo limitarci a dire dei sì e dei no. Forse il messaggio evangelico “sia il vostro parlar sì sì, no no, quel che vi è di più appartiene al male” conserva un suo grado di verità, al di là della suggestiva evocazione di un drammatico, apparente e ultimativo aut aut. Dire dei sì e dei no sarebbe molto più opportuno anche nelle cose della vita, per certi aspetti persino pedagogicamente più educativo. Con i giri di parole infatti si finisce per ribaltare il senso del messaggio originario, per dire e far dire cose che non corrispondono alle intenzioni di chi le ha pensate.

La sovrabbondanza della narrazione ci rende affabulatori ricchi di retorica e poveri di idee. Molte volte più che commentata la vita andrebbe soprattutto capita: in questo gli esempi servono più della parola. Sfrondare il superfluo per arrivare al cuore del messaggio, in modo asciutto: saper comunicare facendosi capire. Come si diceva un tempo: “l’analisi conosce, la sintesi crea”.