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Partito di laici cattolici: si o no?

Una situazione, questa, che è diventata e da più parti ormai viene percepita come una via senza uscita.

Articolo pubblicato sulle pagine di politica insieme a firma di Dario Antiseri, Flavio Felice

  1. L’ultima volta che il mondo cattolico è apparso in modo significativo sulla scena della politica italiana fu nell’ottobre del 2011. In quei giorni a Todi, nel Convento di Montesanto, si riunirono, su invito di Natale Forlani, le Associazioni di ispirazione cattolica del Mondo del lavoro: CISL, Confartigianato, Confcooperative, Coldiretti, ACLI, Movimento Cristiano dei Lavoratori, Compagnia delle Opere – con l’esplicito intento di dar vita a un Manifesto della buona politica. Ma era chiaro a tutti che sotto simile intento ardeva una forte e motivata speranza nella formazione di un Partito di cattolici alla luce della Dottrina sociale della Chiesa. Ed esattamente in questo orizzonte – anche con il contributo di prestigiose figure di intellettuali (politologi, economisti, filosofi, sociologi, sindacalisti, manager…) – vennero formulate le diverse e numerose proposte.
  2. La realtà è che circa vent’anni prima, con l’implosione della D.C., cattolici sì allo sbando ma convinti di poter dare ancora, singolarmente o in piccoli gruppi, uno specifico contributo alla politica decisero di fissare le loro tende – dove questo venne loro concesso – in accampamenti agli ordini di altri generali e sotto altre bandiere. All’epoca, la parola d’ordine fu: dare testimonianza, in qualsiasi Partito ci si venisse a trovare, delle proprie idealità. In quei giorni, forse, questa era per i cattolici l’unica prospettiva possibile e praticabile. L’intenzione era sicuramente nobile, ma ecco che, con il trascorrere del tempo, gli esiti di simile progetto si sono rivelati disastrosi. Di fronte a tutta una serie di nefandezze, i rappresentanti politici di estrazione cattolica, quando il silenzio non è stato scambiato per prudenza, pur impegnandosi in battaglie parlamentari di rilievo, non sono stati in grado o, meglio, non gli è stato loro concesso, di lasciare tracce di peso nella soluzione dei problemi affrontati, a cominciare, per esempio, da quello delle condizioni di sopravvivenza delle scuole paritarie – le quali in Italia sono sì libere, ma libere solo di morire.
  3. Cattolici presenti ovunque e inefficaci dappertutto. È, insomma, apparso chiaro che la testimonianza morale – già di per sé una grande conquista personale – in politica non basta: sempre in assoluta minoranza, le tue proposte vengono sistematicamente respinte o al massimo accettate per aspetti di poco conto. Con i sogni più belli e gli intenti più alti, e magari con le migliori ragioni, possiamo pensare di salvarci l’anima, ma lasciamo i problemi irrisolti.
  4. In politica contano i numeri e dietro ai numeri ci deve essere un’organizzazione guidata da uomini credibili, competenti, capaci di ascolto e con linee di programma tese alla comprensione e alla soluzione dei problemi più urgenti che, proprio perché ferite aperte, sono sotto gli occhi di tutti. La politica, in poche parole, la fanno i Partiti e senza un loro Partito – imperniato sulla difesa sempre e in ogni occasione dei diritti della “persona umana” – pare inevitabile che i cattolici siano e restino ai margini delle decisioni politiche: utili collettori di voti per altri scopi.
  5. Quando nel dopoguerra il Partito di riferimento dei cattolici era la D.C. di De Gasperi non è che milioni di elettori del Partito comunista fossero tutti marxisti atei o fedeli di altre religioni: la stragrande maggioranza degli elettori comunisti erano cattolici. I cattolici hanno votato e votano in piena libertà per i più disparati Partiti, ma perché mai laici cattolici –tra un convegno su don Luigi Sturzo e una commemorazione di De Gasperi – dovrebbero proibirsi ovvero dovrebbe loro venire proibita la formazione di un Partito nella tradizione di un rinnovato “popolarismo” e degli insegnamenti dell’economia sociale di mercato?
  6. Il mondo cattolico è un mondo ricchissimo di risorse umane, di competenze e di generosità –si pensi soltanto alla grande realtà della rete di Volontariato, ai Centri di ascolto, ai Centri antiusura, al Banco alimentare, alle Comunità per il recupero dei tossicodipendenti, alle Scuole cattoliche paritarie (sempre più vessate), alla San Vincenzo, ai cappellani nelle carceri, a quei sacerdoti, suore e laici che dedicano le loro energie, anche a rischio della loro vita (come in alcuni casi è già successo), contro le mafie e per la liberazione di “donne crocifisse”, costrette alla prostituzione. E si può forse negare che senza la presenza e le attività della Caritas (con sette milioni e mezzo di pasti all’anno) avremmo le nostre piazze e le nostre strade affollate da affamati e disperati? Ebbene, senza queste realtà cosa ne sarebbe del nostro Paese? E allora perché mai testimonianze, conoscenze, esperienze ben riuscite e realtà istituzionali non dovrebbero venir trasformate in proposte da una rappresentanza politica?
  7. Più di un politologo ha fatto presente che un Partito di cattolici non supererebbe nel migliore dei casi il sette-otto per cento – qualcosa quindi di poco significativo. Ora, però, a parte il fatto che previsioni del genere appaiono assai azzardate, andrebbe in ogni caso precisato che, con un Partito anche non numeroso, laici cattolici avrebbero per lo meno un pulpito parlamentare, da dove poter offrire il loro contributo al dibattito politico – uscirebbero fuori da quell’antro in cui l’ha ricacciato un loro tacito non expedit. Cosa sarebbe stato dell’Italia senza la D.C. di De Gasperi? E don Luigi Sturzo un Partito lo fece perché i cattolici, da “liberi e forti”, assumessero a viso aperto le loro responsabilità nella vita della democrazia, aiutando in tal modo, tra l’altro, gli uomini di Chiesa a non dover immergere le mani nei traffici della politica. Che oggi, diversamente dal passato, non esisterebbero condizioni da rendere semplicemente possibile un partito di laici cattolici, non è forse una carezza alla nostra resa ai fatti – dimentichi del fatto che la storia non ci giustifica, ma ci giudica?
  8. Le attese con le quali si erano aperte a Todi le giornate dell’ottobre del 2011, svanirono ben presto, non appena chiuso il portone del Convento di Montesanto. Si preferì continuare per l’antica strada, con la tattica di cattolici disseminati qua e là, poco visibili e sostanzialmente ininfluenti. La loro appartenenza cattolica al massimo è stata ed è – e non poteva e non può essere altro – che un rispettabile e magari spesso rispettato dato anagrafico, ma non l’espressione di un progetto capace di tradursi in effettive misure programmatiche per la soluzione dei problemi.
  1. Una situazione, questa, che è diventata e da più parti ormai viene percepita come una via senza uscita. E, intanto, in convegni e incontri, che sorgono e si moltiplicano spontanei, folti gruppi soprattutto di giovani – per il momento ignorati dai media e da “chi conta” – discutono sulle cause della diaspora e dell’irrilevanza politica dei cattolici e sulle ragioni che renderebbero invece più che necessaria la presenza di una rappresentanza politica di cattolici.
  2. Sia Papa Francesco, come pure il Card. Bassetti, hanno più volte, anche di recente, richiamato i cattolici ad un serio, coerente e non più dilazionabile impegno in politica. Ebbene, qual è stata finora o, ancora meglio, quale potrebbe essere la più adeguata, argomentata e praticabile risposta a queste ineludibili preoccupazioni? Dobbiamo ancora testardamente restare attaccati al fallimentare progetto di affaccendarci ovunque e insieme restare dappertutto inascoltati, ovvero è ormai tempo di prendere il coraggio a quattro mani e abbracciare con forza l’impegno di costituire un Partito di laici cattolici, fondato sull’idea della “dignità” della persona, alla luce della Dottrina sociale della Chiesa?