Galloni: Per una finanza pubblica non controintuitiva

Il livello del debito è un problema politico e di accordi con i partners internazionali

Tutto il mondo sa che, quando l’economia ristagna – perché i privati non investono in attesa di aspettative di ripresa e guadagno – l’unica forza in controtendenza è la spesa pubblica in disavanzo: tutti meno l’Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale (con qualche eccezione). Lo ripetono continuamente illustri economisti americani, indiani e cinesi, premi Nobel, eccetera.

E’ così difficile capire che, se lo Stato incassa di tasse più di quanto immette nell’economia, quest’ultima viene frenata e non certo sospinta?

Vi sono, però, degli aspetti meno evidenti – e, purtuttavia, estremamente importanti – che riguardano molto da vicino il nostro Paese e che lo stesso governo gialloverde sembra sottovalutare.

A tal proposito, quando si parla di effetti, sul PIL, della spesa pubblica in disavanzo, si deve intendere quella al netto degli interessi sui titoli del debito: orbene, sono decenni che l’Italia realizza un avanzo primario ovverossia, appunto, un avanzo e non un disavanzo della spesa rispetto alle entrate fiscali. Prendiamo ad esempio, il presunto disavanzo delineato da questo governo: proposto al 2,4 presso gli scienziati dell’UE, ridotto compromissoriamente da questi ultimi al 2,04, ricalcolato oggi (alla luce della “piccola recessione”) al 2,4. Ebbene, trattasi di circa 40 miliardi di euro: secondo voi è di più o di meno di quello che paghiamo per interessi? Tutti sanno che è molto di meno: in alcune annate la spesa per interessi ha raggiunto il 12% del gettito tributario. Sostenibile, avrebbe detto il professor Domar, perché il problema macroeconomico non è quanto sia alto il debito, ma se la spesa al netto degli interessi – in situazioni di ristagno dell’economia – supera o meno quanto togliamo a imprese e famiglie con la tassazione.

Il livello del debito è un problema politico e di accordi con i partners internazionali: purtroppo andammo a Maastricht nel ’92 a negoziare un arbitrario rapporto debito/pil al 60% quando già stavamo al doppio; e distorto perché occorre considerare – per dare il rating a un Paese – tutto il suo debito anche quello privato (in tal caso, ad esempio, l’Italia sarebbe uno dei Paesi più virtuosi al mondo).

Ricapitolando: anche l’attuale manovra del governo gialloverde è macroeconomicamente recessiva perché accetta che la massa delle tasse sia superiore a quella della spesa al netto degli interessi; ma, per accordi pregressi – a mio avviso scriteriati – non possiamo fare un vero e necessario disavanzo perché gli “alleati” ci contestano che il debito crescerebbe.

Certo, una politica macroeconomica diversa (da quanto tempo si propugna una riduzione delle imposte e poi si fa tutto il contrario? IVA docet) sarebbe possibile: meno pressione fiscale e maggior gettito dicono sindacati e benpensanti. E’ ridicolo che solo il 5% dei contribuenti denunci oltre 50.000 euro di reddito. Ma bisognerebbe avere un diverso rapporto tra cittadini e fisco per capire chi evade perché se ne approfitta e chi evade perché se no chiude: bisognerebbe assumere personale giovane e motivato che andasse a vedere, sul territorio, come stanno veramente le cose; però non si può assumere perché “mancano i soldi” ovvero non si può fare un vero e necessario disavanzo.

Ma il debito pubblico potrebbe venir gestito diversamente: se il mercato vuole titoli a più breve termine (fino all’estremo di tassi zero sugli annuali e negativi sui trimestrali), bisogna accorciare le scadenze…questo ci farebbe risparmiare la metà degli interessi e, quindi, superare la errata condizione dell’avanzo primario. Poi abbassare le aliquote per ottenere più consenso (senza illusioni, ma nel contratto di governo c’è più di qualcosa al proposito).

Infine, come assumere giovani laureati e motivati nelle varie branche dell’amministrazione che, dalla giustizia alla sanità alla scuola reclamano rinforzi? Esercitando sovranità monetaria, cioè emettendo e immettendo quella moneta di cui non si occupa il Trattato di Lisbona che disciplina – all’art. 128 – “le banconote aventi corso legale in tutta l’Unione” – mentre qui stiamo parlando di statonote o biglietti di Stato aventi corso legale solo all’interno di un singolo Paese.

Senza un tale passaggio, la sola moneta a debito e, per giunta straniera, impedisce – in tutti i sensi – anche la realizzazione dell’art. 81 della Costituzione. La moneta sovrana, invece, avendo lo stesso segno algebrico delle tasse, ci consente di aumentare la spesa senza dover emettere altri titoli di Stato.