Per una nuova identità del Pd. La politica dei diritti non può offuscare la capacità di equilibrio e di sintesi di una forza riformatrice.

Il Pd deve scegliere. È arrivato il momento di discutere nello specifico gli indirizzi del Pnrr, essendo una occasione irripetibile, questa, per rifondare e rilanciare il sistema-paese, evitando forme di assistenzialismo esasperate.

Si è scritto molto sul voto in Senato a proposito del ddl Zan. Tra le altre cose, dopo la sconfitta, è nuovamente risuonato un invito più o meno esplicito ad uscire dal Pd rivolto a quanti conservano – questa è l’accusa – un legame con Renzi. La confusione è grande perché con l’attacco al renzismo si arriva a mettere a dura prova, per strani sillogismi, il rapporto con il variegato mondo cattolico. Ci si dimentica, ancora una volta, che senza l’apporto dei cattolici si perderebbe il senso dello stesso Pd, per rifare in definitiva i Ds, senza una parte della sinistra e con la conseguente stratificazione di ciò che resterebbe intorno al 15% circa, stando ai risultati delle ultime elezioni comunali. 

Di contro appare evidente come si tralascino, a favore delle tifoserie, le cause oggettive che hanno portato alla sconfitta sul ddl Zan; cause che ricordano il ripetersi di un errore che il centrosinistra ha sovente compiuto dalla caduta del primo e del secondo governo Prodi, specie in occasione della mancata elezione a Presidente della Repubblica di quest’ultimo; e cioè un errore dovuto al fatto che l’attacco prende di mira i franchi tiratori interni sottovalutando, perlopiù, la miopia di una linea politica che assume a parametro decisivo un certo integralismo post-ideologico, non facendo i conti con le implicazioni delle alleanze.

Atteggiamenti rigidi e incomprensivi, privi cioè della flessibilità che serve nei rapporti interni a una coalizione, possono segnare la condotta dei partiti “a vocazione minoritaria”, dediti al culto dell’opposizione in quanto tale, ma non di un partito che rivendica lo status di vera forza responsabile. In effetti, il Pd è l’asse portante – e non da oggi – di un modello o di uno stile di governo che nei passaggi più delicati della vita democratica del Paese ha retto in virtù di un approccio pragmatico e realistico.   

Il Pd deve scegliere. È arrivato il momento di discutere sullo specifico del Pnrr – quali sono le opzioni più importanti? – essendo una occasione irripetibile, questa, per rifondare e rilanciare il sistema-paese, evitando forme di assistenzialismo esasperate. L’impegno deve essere finalizzato, in particolare, a reintegrare nel mercato del lavoro molti di quelli che ne sono stati espulsi nel corso della crisi, sempre mirando al necessario sostegno dei giovani più in difficoltà.

Bisogna avere come obiettivo il miglioramento sensibile delle condizioni di vita degli italiani, non lasciando ai 5 Stelle il grande volano del superbonus e dell’ammodernamento delle infrastrutture; misure importanti, in effetti, che significano rilancio dell’edilizia e del suo indotto; misure capaci di portare ad un aumento del Pil oltre il 7 % annuo, con l’incremento di posti di lavoro e, soprattutto, la formazione di una classe di lavoratori qualificata e competente.

È un orizzonte che evoca la felice materializzazione, se così possiamo dire, di una genuina politica riformatrice, fuori da pregiudizi e fanatismi. Ecco percò che il rilancio del Paese, a livello economico e sociale, deve essere accompagnato ad una crescita dei diritti civili, i quali tuttavia non hanno da subire la torsione di un radicalismo eticamente controverso. Questo è il senso di responsabilità e di equilibrio che si richiede a una grande forza politica di matrice popolare. E, in sostanza, è ciò che la pubblica opinione più attenta e riflessiva si attende dal Pd.