Articolo già apparso sulle pagine di Formiche.net

Lorenzo Dellai, ex deputato di Democrazia Solidale – Centro Democratico, lo ha detto qualche settimana fa quando con Enrico Letta ha presentato a Trento la scuola di formazione politica promossa dall’associazione “Codice Sorgente. Idee Ricostruttive”.

All’Italia occorre un nuovo humus culturale e politico per affrontare le sfide, come quella di Salvini, che punta a banalizzare la politica. E consiglia di lavorare per una legittima difesa della democrazia parlamentare.

Quante possibilità ha il governo-ponte di durare per l’intera legislatura?

Se fossimo in tempi normali ed in una situazione normale la via maestra sarebbe stata quella del voto il più presto possibile. Il punto vero è che in questa crisi sui generis non vi è nulla di normale. Non è normale il modo in cui dentro il governo tutti hanno giocato alla maggioranza e all’opposizione, non è normale il ruolo del ministro dell’Interno che come da storia repubblicana italiana dovrebbe essere quello più discreto e silenzioso, non è normale che tutta questa dinamica della crisi annunciata ma non formalizzata si sia svolta in maniera totalmente sganciata dalle emergenze del Paese e dal quadro europeo.

Dunque?

Non essendoci nulla di normale il discorso va rovesciato. È interesse del Paese verificare fino in fondo con lealtà, serietà e rigorosità se il Parlamento sia in grado di assicurare una continuità della legislatura nei termini che il Capo dello Stato valuterà. Credo che il ragionamento vada fatto su due livelli. Il primo sulla base politico-parlamentare sufficientemente ampia che garantisca una ulteriore fase di legislatura. Il secondo sul profilo del governo, che non necessariamente deve rappresentare l’intera base: può essere anche di tipo diverso, espresso dalla forza politica principale, oppure misto.

Ipotesi Ursula, o parte di essa, quindi?

Importante in questa fase è mettere in sicurezza il Paese. É per questo che osservo la presenza di un altro punto anomalo: il gioco a non assumersi alcuna responsabilità. La crisi è stata provocata dal non voler fare i conti con gli effetti della manovra finanziaria. Qualcuno pensa che non gli convenga andare al governo adesso perché poi gli toccherebbe fare la manovra, è il mondo alla rovescia. La battaglia politica invece si fa per dimostrare di avere una visione, assumendosi responsabilità anche pesanti.

Vede nel Lodo Grasso appoggiato da Romano Prodi il tentativo di salvaguardare gli interessi nazionali più che quelli elettorali?

La situazione italiana presenza dei buoni margini per un governo che, se dovesse impostare una manovra nell’immediato e nel medio periodo, potrebbe puntare all’interesse generale. Auspico quindi che dal dibattito di oggi possa aprirsi una fase, sotto la vigilanza del Colle, che porti ad evidenziare una base parlamentare possibile. Ma non intendo con ciò una classica alleanza politica, quella parte solo dalle urne, bensì una convergenza di volontà per il bene comune.

Chi teme le urne?

È vero che esclude le urne chi teme di perdere i consensi, ma d’altronde è questa una forma di difesa della democrazia parlamentare rispetto alla sfida lanciata dal ministro Salvini alla politica italiana. Una sfida di banalizzazione delle questioni, di radicalizzazione di posizioni, rispetto alla quale si sarebbe apprestato a cogliere più consensi nelle urne per trasformare la natura della democrazia italiana. Rispetto a questo rischio è giusto essere preoccupati mettendo in campo una legittima difesa della democrazia parlamentare.

Dunque evitare le urne per un interesse nazionale?

Per interesse nazionale intendo il dover evitare che il ricorso alle urne, in una fase così delicata della nostra situazione economica e dei nuovi rapporti con la Commissione Ue che sta nascendo, avvenga in dispregio del bene comune. Ovvero senza il dovuto principio di responsabilità del governo e del parlamento. Inoltre questa strategia risponde anche all’interesse di tutelare una democrazia parlamentare liberale che non vuole diventare il primo laboratorio europeo pro Putin, che parla di superamento della democrazia parlamentare liberale.

Il direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, ha detto: “È tempo di resistenza, umana civile e religiosa”. Ha ragione?

Credo che sia una frase molto dura ma anche molto opportuna, che mi ricorda un’altra frase altrettanto dura scritta da De Gasperi nel 1925 ad un giovane cattolico trentino in cui spiegava la fase di consolidamento iniziale del Ventennio. E osservava che mentre una larga parte dei cattolici scelse il silenzio, un’altra osannava il nuovo capo. Diceva: “Non posso che essere contrario a questo atteggiamento, non per merito politico ma principalmente in quanto cattolico per motivi morali e spirituali”. Per cui vedo in questo momento una necessità di testimonianza da parte di chi ha l’ardire di definirsi cristiano: ed è un imperativo che va al di là dei legittimi regionamenti di tattica politica, ammesso che ve ne siano. Parlo di una visione legata all’umanesimo che non trova purtroppo riscontro negli atteggimenti sotto gli occhi di tutti.