È accaduto ciò che era nelle cose, da tempo.

Primo. La Lega Federalista di Bossi ed il centro destra di Berlusconi sono morti e al loro posto esiste la destra italiana. Una destra forte, radicata, radicale, nazionalista, anti europea, populista. Guidata da Matteo Salvini e senza ormai più nessun confine verso le formazioni (e sopratutto verso gli umori) neofascisti.

Secondo. Nel campo alternativo alla destra è nata una nuova area politica, frutto diretto della crisi strutturale del Partito Democratico e della sua “vocazione maggioritaria”. Un’area guidata da Matteo Renzi che punta a dare voce agli elettori “democratici, riformisti, liberali, europeisti”. (Non mi pare di aver notato il riferimento al Popolarismo).

I due eventi (che nessuno sano di mente può seriamente equiparare) hanno però due elementi in comune: il superamento degli attuali “contenitori politici” (non solo nel senso del loro perimetro, ma anche della loro natura) e il riferimento a “forme nuove di rappresentanza politica” fondate sulla leadership personale e sulla cosiddetta disintermediazione.

Questi due fatti politici (con i quali occorre comunque fare i conti) non possono certo sorprendere la nostra piccola comunità che dialoga attraverso “Il Domani d’Italia” e altri analoghi strumenti di riferimento per la rete dei “Popolari impenitenti”.

Essi confermano le analisi che da tempo andiamo facendo.

Abbiamo sempre sostenuto che l’ambizione di chi puntava a fare i “moderati” del centro destra italiano era una pura illusione. E che il Partito Democratico non era strutturalmente in condizione di portare a compimento il suo progetto fondativo, quello di essere il contenitore esclusivo e universale delle culture democratiche e popolari del centro e della sinistra. Anzi, molti di noi – io tra questi – pur essendo ontologicamente di centro sinistra, non vi avevano mai aderito perché ritenevano che tale progetto non avesse fondamento nella società italiana, neppure nella stagione del bipolarismo.

Poteva forse averlo se, invece di un partito di stampo tradizionale, si fosse dato vita ad una esperienza innovativa di tipo confederativo, capace di valorizzare le diverse culture politiche e non di annullarle in una indistinta vocazione progressista. Ma così non è stato.

I nodi, alla fine, vengono al pettine. E – per restare alla nostra metà campo di gioco – è inutile addebitarne le colpe a chi coglie i vuoti e li riempie, come ha fatto Matteo Renzi, con la sua consueta spregiudicata abilità e la sua genialità tattica. Su questo piano ha una marcia in più ed è inutile negarlo.

Tutto ciò era già scritto ed inevitabile? Non credo.

Occorreva però che almeno in quattro “ambiti” ci fosse un minino di capacità nel capire i segni dei tempi e nel tirarne coraggiosamente e lucidamente le conseguenze.

I primi due ambiti stanno dentro il Partito Democratico. Sinistra del partito e componenti di matrice popolare e liberal-democratica dovevano avvertire per tempo che il gioco si era rotto. E decidere consensualmente strade diverse, nel reciproco interesse (e dunque in quello del centro sinistra). Scegliere di blindare il fortino assediato non è stata azione lungimirante.

Ci ha provato Lucio D’Ubaldo, da queste colonne, con la arguta provocazione, rivolta a Pierluigi Castagnetti, di riorganizzare l’assetto politico con la riesumazione del “congelato” Partito Popolare Italiano. Non vi è stata risposta, purtroppo.

Il terzo ambito – dobbiamo dirlo con sincera autocritica – riguarda la variegata e dispersa rete dei popolari “senza casa”. Da mesi e mesi si discute senza conclusione alcuna attorno all’ipotesi di costituire una “Comunità Politica Popolare”.

Nonostante l’impegno di molti, non se ne è cavato fino ad ora un ragno dal buco. Era difficile, in controtendenza e senza un leader mediatico riconosciuto: vero! Ma almeno ciò che si poteva fare andava fatto e non lo abbiamo fatto. Di questo portiamo – tutti e ciascuno – grande responsabilità.

Il quarto ambito riguarda il mondo della società civile di ispirazione popolare e cattolico democratica, tanto fecondo e vivo nelle analisi e nelle testimonianze ideali e sociali, quanto restio – se non schizzinosamente ostile – ad incarnare tutto ciò in una dimensione di impegno politico. Sovente più propenso a svolgere il ruolo di “consigliere del Principe di turno” che a “sporcarsi le mani” come protagonista di un proposta politica autonoma, originale, riconoscibile.

I nodi, appunto, vengono sempre al pettine.