Articolo pubblicato sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma di Daniele Mencarelli

Lo scorso 20 settembre, proprio di fronte la stazione Piramide di Piazzale Ostiense, durante alcuni lavori di manutenzione in uno scavo profondo non oltre il metro, è stato rinvenuto uno scheletro in perfetto stato di conservazione.

Le prime ipotesi, vista la poca profondità in cui giaceva, hanno fatto risalire il corpo al Novecento, magari una delle tante vittime, disperse, della seconda guerra mondiale. Ci è voluto poco, poi, per arrivare alla realtà dei fatti: lo scheletro è ben più antico. Parliamo di età tardo antica, tra il IV e il V secolo dopo Cristo.

A distanza di pochi giorni, vicino al primo ritrovamento, la Soprintendenza speciale di Roma, chiamata giustamente in causa, nel corso di alcuni scavi di archeologia preventiva ha avuto modo di rinvenire altri due scheletri, sempre della stessa epoca.

Questa volta a tornare alla luce sono stati una donna e suo figlio piccolo, uno accanto all’altra.

I tre scheletri, fa sapere proprio la Soprintendenza speciale, fanno parte della Necropoli Ostiense, e sono senz’altro di persone molto povere: le tombe, infatti, non avevano corredo ed erano di quelle lasciate proprio ai lati della consolare.

Attratto dalla notizia, e perché Piazzale Ostiense fa parte del mio percorso pendolare da casa al lavoro, il giorno del ritrovamento mi sono fermato anche io. Anche io in mezzo alla fiumana di persone in processione, per vedere ‘a mummia, come prontamente rinominato dai cittadini romani.

Il tono generale del pubblico accorso era assai allegro, tra foto di cellulari e battute in quasi tutte le lingue del mondo. Quando sono stato di fronte allo scheletro, quando ho visto la nudità delle ossa, la composta sequenza di quel corpo svuotato di tutto, non sono riuscito a conservare l’ironia con cui anch’io all’inizio m’ero avvicinato.

Una pietà difficile da spiegare a parole.

Al tempo stesso una solennità universale, grande come il Mistero, come la promessa più importante: a quel corpo verrà restituita polpa, vita.

Improvvisamente, il circo attorno a quelle spoglie mi è sembrato indegno: tutti, a partire da me, compresi i giovani archeologi con guanti e mascherina al lavoro su quella creatura riemersa dalla terra.

Tutti sordi e ciechi di fronte alla più antica delle richieste, antica come l’uomo.

Quei resti, in mezzo alla gente accalcata, al traffico solito della nostra città, urlavano in silenzio, chiedevano di essere pregati, amati. Perché non sono semplici reperti di epoca antica, da datare e mettere in una teca di museo, fra i tanti elementi scenografici della nostra millenaria città. No.

Quelle sono anime sospese, svegliate malamente nel loro sonno d’attesa.

Avviciniamoci a loro con il rispetto che si deve. Perché quell’uomo, quella giovane donna, con il figlio piccolo, addormentato accanto a lei, sono nostri concittadini. Vegliamoli come si deve, magari con un fiore, una candela per tenere lontana la notte.