L’esplosione dei fondi comuni può favorire la creazione di un moderno mercato dei capitali in Italia, facendo restare qui le risorse necessarie al rafforzamento delle nostre imprese. Bisogna però evitare che il nostro risparmio sia  investito di più all’estero che non in Italia.

Alla vigilia dell’approvazione della legge sui fondi comuni italiani (19 marzo 1983), i nostri risparmiatori possedevano quote di fondi comuni esteri per un valore di 1.945 miliardi di lire, pari a poco più di un miliardo di euro, e pari a soltanto lo 0,6% dei loro depositi bancari. Oggi il patrimonio del risparmio gestito professionalmente in Italia dai nostri risparmiatori è “esploso” a 2.561 miliardi di euro, pari al 151% dei loro depositi bancari.

È una buona notizia? Certamente per i risparmiatori, che possono contare su una migliore diversificazione delle loro attività finanziarie, finalmente affidate in gran parte a mani esperte (consulenti finanziari e gestori professionisti). Ma forse non lo sarà per le piccole e medie imprese, che temono di non vedere compensata la riduzione dei prestiti bancari con i finanziamenti diretti provenienti dai risparmiatori e dai gestori dei fondi comuni con l’acquisto di più azioni ed obbligazioni da loro emesse.

A chi imputare la colpa di questo dannoso “squilibrio”? Purtroppo alla politica economica dei governi italiani, sia di centro-sinistra che di centro-destra. È infatti dai lontani anni ’60 che i nostri governi non hanno motivato – con misure favorevoli a un sano sviluppo delle imprese private – la creazione di un moderno “ponte” che unisse il risparmio delle famiglie al finanziamento delle imprese. Anzi lo hanno impedito con il favorire la crescita delle imprese di proprietà pubblica o semi-pubblica, fra le quali anche le banche, creando così un pessimo conflitto di interessi a danno del settore privato dell’economia. D’altronde con la DC, il PSI e il PCI molto “pesanti” nel Paese non ci si poteva aspettare una politica diversa, favorevole alle regole di un capitalismo moderno e popolare. 

Regole che grandi imprenditori privati come Adriano Olivetti e Michele Ferrero avevano teorizzato e applicato nelle loro aziende, con l’obiettivo di arrivare a una stretta alleanza tra lavoro e capitale. Un duro conflitto tra questi due fattori produttivi è alla lunga contrario al benessere di entrambi. Il centro-sinistra non lo ha mai voluto capire e non ha saputo sfruttare i potenziali benefici delle leggi sui fondi comuni e sui fondi pensione, tuttora privi dei necessari benefici fiscali che meritano. Purtroppo il centro-destra non ha saputo sanare questo dannoso “gap” culturale dell’Italia.

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