Potrà il Pnrr rilanciare le aree interne? Un contributo della rivista “Il Mulino”.

Per come è strutturato il Piano e per quelle che sono le condizioni, anche amministrative, delle aree, è difficile pensare che in un tempo breve le aree interne possano effettivamente beneficiare di questa occasione di rilancio.

Luisa Corazza

Chiedersi se il Pnrr riuscirà a rilanciare le aree interne impone una riflessione sull’impatto complessivo del Piano, per coglierne gli effetti sugli equilibri tra i territori e comprenderne le effettive potenzialità.

 

Come è stato efficacemente osservato da Gianfranco Viesti nell’introduzione a questo “speciale” (Un Piano per il Paese), il Piano di ripresa italiano non vede i territori, nel senso che non offre quella lettura trasversale che consente di far emergere la diseguaglianza territoriale.

 

Tra i divari rimossi, quelli che colpiscono le aree interne risultano ancor più nascosti, quasi invisibili nelle pieghe nascoste dell’Italia rugosa, fatta di microluoghi lontani e dimenticati, le cui difficoltà non vengono censite né denunciate perché interessano pochi o nessuno. Trattandosi, inoltre, di luoghi distribuiti lungo tutto lo stivale (l’Italia delle aree interne si snoda dalla val Chiavenna al Salento, passando per l’Appennino centrale) la loro difesa non trova cittadinanza nelle storiche rivendicazioni identitarie che hanno caratterizzato la questione territoriale italiana.

 

Eppure, da più parti si sente dire che il Pnrr rappresenta per le aree interne un’occasione unica, in grado di invertire l’inesorabile curva demografica che ha portato allo spopolamento di luoghi, paesi, aree, determinando non solo la perdita di una memoria che per secoli ha costituito la spina dorsale della cultura italiana, ma anche rischi concreti per la cura dell’ambiente e del territorio (intervenendo al Forum delle aree interne a Benevento il ministro Giovannini ha sottolineato che la cura del territorio è essenziale per evitare il collasso dell’ecosistema).

 

Probabilmente è presto per misurarsi con queste aspettative (si veda l’Accordo stipulato tra il Centro di ricerca per le aree interne e gli Appennini (AriA) e Istat, “per la realizzazione di una collaborazione su le conseguenze del Recovery Plan sulle Aree Interne”); è possibile però individuare nella struttura del piano e nei metodi a cui è affidata la sua realizzazione una serie di fattori che, se ignorati, possono minarne dalle fondamenta le capacità di successo, tenendo conto delle caratteristiche sociali, economiche e culturali delle aree interne. Deve essere inoltre osservato che la scelta di far confluire in un’unica strategia di ripresa tutti i fondi disponibili (nazionale ed europei) depotenzia in parte gli interventi sulle aree interne, che godevano già, grazie al lavoro impostato da Fabrizio Barca con la strategia nazionale per le Aree Interne (Snai), di proprie specifiche linee di finanziamento.

 

Nella struttura del Piano di ripresa è prevista come è noto una specifica missione dedicata alla coesione sociale e territoriale, all’interno della quale sono rinvenibili anche interventi dedicati alle aree interne. Sono state avviate, ad esempio, linee di finanziamento dedicate al potenziamento infrastrutturale per migliorare strade e presidi sociali, nella speranza di creare sistemi, o ecosistemi, che siano in grado di stimolare l’innovazione. Si tratta di interventi che, al momento, hanno attivato soprattutto progetti di rigenerazione urbana nei piccoli centri, ai quali si intreccia il sostegno alle aree colpite dal terremoto, che coincidono in gran parte con aree interne.

 

Il riferimento alle strade, e in generale alle infrastrutture di mobilità che sono il vero punto dolente delle aree interne, consente di allargare il raggio della valutazione del Piano, per cogliere, al di fuori degli interventi specifici di coesione territoriale, alcune linee del Pnrr che producono, in maniera indiretta, un impatto sulle aree interne. È infatti soprattutto in questa visione più allargata che si intravvedono le potenzialità per i luoghi marginali: la questione aree interne si compone, nel Piano di ripresa, di diverse poste, molte delle quali si ritrovano tra le pieghe di altre missioni.

 

Gli interventi concernenti la transizione ecologica, ad esempio, avranno certamente un impatto sui territori delle aree interne, alle prese, da decenni, con problemi di dissesto idrogeologico o impegnati nella tutela della biodiversità, in territori in cui lo spopolamento si misura anche in termini di vulnus ambientale. La questione sanitaria, inoltre, ha rappresentato negli anni uno dei fattori di storico divario delle aree interne (tanto che la distanza dai poli sanitari costituisce un indice di perifericità ai fini della Snai), sicché si può certamente affermare che l’attuazione della missione 6 costituirà un banco di prova fondamentale per il miglioramento della vita delle aree interne. Anche senza volere scomodare la telemedicina, che richiede, per poter offrire un servizio efficace, una cultura digitale adeguata nella popolazione di destinazione (le aree interne sono popolate in prevalenza da anziani), gli interventi più promettenti sono quelli che riguardano la riforma dell’assistenza medica di prossimità, dove le Case di Comunità previste dal DM 71 potranno fare effettivamente la differenza per la medicina territoriale delle “terre d’osso” (v. M. Rossi Doria, La polpa e l’osso: scritti su agricoltura, risorse naturali e ambiente, L’Ancora del Mediterraneo, 2005), ridotta allo stremo da anni di politiche sanitarie tese ad accorpare in grandi centri ospedalieri ogni presidio di cura.

 

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