Povera, la cultura. L’Italia non può permettersi una politica della lesina in questo settore decisivo.

Molti luoghi di aggregazione (cinema, teatri, biblioteche) hanno chiuso i battenti durante la pandemia e non hanno più riaperto. Tuttavia il potenziale socio-economico del settore culturale è davvero cospicuo, anche se appare largamente sottostimato. È una trama da cui non si può prescindere, da essa dipende il nostro futuro.

L’Italia, si dice, è il Paese della bellezza e della cultura. L’offerta artistica e culturale ne condiziona la competitività e l’immagine internazionale. Stato, regioni e comuni hanno espresso negli ultimi anni politiche culturali diverse e non tutti i modelli proposti hanno funzionato. Tuttavia gli operatori di settore si impegnano a rispondere ai deficit di visione, superando sia il modello dispendioso del “grande evento” sia gli standard della piccola iniziativa. Sempre più organizzatori (pubblici, privati, enti no profit) hanno iniziato a rivolgere i progetti non solo al grande pubblico ma alla cittadinanza più prossima, in un’ottica di educazione alla cittadinanza. Parliamo naturalmente di un insieme di professionalità che lavora in sinergia con le altre filiere del Paese.

La crisi economica ha colpito duramente il mondo della cultura. Durante la pandemia, questo settore così promettente è stato il primo ad andare in quarantena e l’ultimo a esserne tirato fuori. L’importanza rivestita dalla cultura era sulla bocca di tutti, eppure nessuno sapeva come salvarla. Molti luoghi di aggregazione (cinema, teatri, biblioteche) hanno chiuso i battenti durante la pandemia e non hanno più riaperto. In parte, ciò è legato allo sviluppo impetuoso delle nuove tecnologie. Ma dipende anche dal fatto che la base occupazionale di questo settore è caratterizzata da rapporti di lavoro sempre più “atipici”. Un modo corretto di leggere il peso sociale riconosciuto a un settore produttivo è quello di analizzarne l’organizzazione del lavoro: attraverso il giusto riconoscimento delle figure professionali, lo Stato si rende presente. Per evitare lo “spezzettamento” del lavoro, in Germania vige la prassi del rapporto 1:2 tra dipendenti e collaboratori. Le fondazioni culturali tedesche hanno quasi tutte una propria sede: anche piccola, ma di proprietà. Le donazioni a loro rivolte godono di importanti benefici fiscali (in particolare in Baviera).

In questa sede, tenendo presente il legame tra settore culturale e capacità del Paese di produrre ricchezza, è bene sapere come sono orientati gli enti preposti. La legge italiana di Bilancio 2023 prevede, nello specifico, una ulteriore riduzione della quota percentuale destinata alla cultura (dallo 0.5% del 2022 allo 0.4% del bilancio dello Stato). Sebbene aumentino in percentuale le quote destinate ai beni archivistici e museali, diminuisce la già esigua dotazione del Ministero della Cultura (MIC) per “Tutela e promozione dell’arte contemporanea e qualifica delle periferie urbane”. Naturalmente si potrebbero enunciare molti altri esempi. 

Il potenziale socio-economico del settore culturale appare dunque, almeno in Italia, largamente sottostimato. Ma lo svantaggio è solo di natura economica? Il contributo della cultura ai processi democratici del nostro Paese è incalcolabile; essa costruisce benessere attraverso uno sviluppo più armonico della società. Contribuisce a ridurre le disuguaglianze sociali: lo vediamo, ad esempio, nella politica dei presidi culturali che elargendo spazi di produzione culturale e di socializzazione (soprattutto in aree difficili del Paese), si confronta con i temi della sostenibilità, rinsalda il Welfare con la condivisione di conoscenze e competenze, potenzia le tipologie e le finalità d’esperienza.

La cultura è dunque una trama da cui non si può prescindere, perché organizza ogni forma di vita sociale. È da questo settore, in definitiva, che dipende il nostro futuro, la nostra capacità di elaborare strategie per uscire dalla crisi, il nostro impegno a utilizzare saggiamente le (poche) risorse messe a disposizione per la cultura dal PNRR. Ecco, dunque, su cosa si dovrebbe investire.