Articolo pubblicato sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma di Andrea Walton

Il raggiungimento di un accordo consensuale tra il Regno Unito e l’Unione europea ha reso meno amara la separazione di Londra da Bruxelles. Le trattative tra le parti, seppur a fasi alterne, si sono trascinate per molti mesi ed in più di un’occasione la tanto agognata intesa sembrava ormai compromessa. La svolta è giunta all’ultimo momento, quasi inattesa, ed è nata dalla volontà di Londra e Bruxelles di iniziare a costruire le basi delle relazioni che verranno. Si apre ora un periodo di grande incertezza: quale Europa ci attende dopo la Brexit? Come cambieranno i rapporti tra le due sponde della Manica?

Il primo gennaio terminerà la fase di transizione che, nel corso del 2020, ha tenuto legati il Regno Unito e l’Unione europea e da quella data cambieranno molte cose. I cittadini britannici non potranno più godere della libertà di movimento qualora si vogliano recare negli Stati dell’Unione ed in caso di permanenza superiore ai novanta giorni in un periodo di centottanta giorni necessiteranno del visto. Lo stesso varrà, ovviamente, a parti inverse. La Corte di giustizia dell’Unione europea non avrà più voce in capitolo su quanto accade Oltre Manica, gli studenti universitari europei non potranno più usufruire del programma Erasmus nel Regno Unito.

A salvarsi sono, soprattutto, gli scambi commerciali che continueranno ad essere privi di quote e dazi. L’accordo raggiunto tra Regno Unito e Unione europea vale 660 miliardi di sterline l’anno ed eventuali dispute tra le parti dovranno essere sanate da un organismo terzo ed imparziale che vigilerà sul rispetto dell’accordo.

Il premier britannico Boris Johnson ha raggiunto l’obiettivo che si era prefissato, quello di restituire al Regno Unito un ruolo di primo piano negli affari politici globali e senza alcuna subordinazione nei confronti dell’Unione europea. Le ambizioni di Londra sono chiare e vertono sulla ricostruzione di una sfera d’influenza britannica nel mondo e su una solida alleanza con buona parte del Commonwealth. Il Regno Unito, già alleato speciale degli Stati Uniti, vuole espandere significativamente i legami con Australia, Canada e Nuova Zelanda, a cui è legato da rapporti culturali plurisecolari. La costruzione di un’alleanza globale, dunque, che potrebbe permettere a Londra di tornare ad assumere un ruolo di primo piano sullo scacchiere internazionale.

I rapporti tra Regno Unito ed Unione europea sono stati segnati, nel corso dei decenni, da freddezza. In più occasioni Londra ha dimostrato scetticismo e ritrosia nei confronti della progressiva espansione dei poteri di Bruxelles. Ora la scelta del Regno Unito potrebbe portare a una maggiore coesione tra i partner europei e a una semplificazione degli eventuali e futuri processi di riforma dell’Unione. C’è però un punto che non va sottovalutato: Bruxelles non può però prescindere, nel medio termine, dall’amicizia di Londra, che è un alleato chiave e un’entusiasta sostenitrice dell’Alleanza atlantica. Non è immaginabile un’accesa rivalità tra le due sponde della Manica quanto, piuttosto, un rapporto cordiale e distaccato.

L’unica insidia che si intravede è legata alle pulsioni indipendentiste della Scozia, rafforzate dalla Brexit. L’opinione pubblica scozzese è schierata su posizioni europeiste e nel referendum del 2016 in merito alla permanenza del Regno Unito nell’Unione aveva votato, entusiasticamente, per rimanervi. Non è escluso che, a breve scadenza, l’esecutivo scozzese di tendenze nazionaliste guidato da Nicola Sturgeon possa invocare una consultazione popolare con lo scopo di secedere dal Regno Unito. Uno sviluppo di questo genere porrebbe l’Unione europea in una posizione imbarazzante e Bruxelles si troverebbe costretta a scegliere tra i legami con Londra o la stima della Scozia.