La Repubblica è “una e indivisibile”, proclama la Costituzione Italiana.
Quando i Padri Costituenti hanno inserito questa definizione nell’articolo cinque (riferito alle Autonomie territoriali) avevano in mente i possibili rischi di una divisione su base geografica.
Non potevano immaginare che – a distanza di più di mezzo secolo – il rischio potesse arrivare invece da altre categorie di divisione.

Per la prima volta nella storia democratica del nostro Paese (e proprio in un momento che esige unità e condivisione al di là delle legittime diversità) la Festa della Repubblica è stata violata nel suo spirito “unitario e costituente”.
Da una parte il Capo dello Stato, prima all’Altare della Patria, come da tradizione e poi a Codogno, per rappresentare tutta la Comunità Nazionale e ribadire i valori di un comune destino, proprio di fronte al dramma di questi mesi e di quelli che verranno.

Dall’altra, una Destra sguaiata e anti sistema (anche oltre le volontà di alcuni stessi suoi leader) che ha sfilato nel centro di Roma per rappresentare “l’altra Repubblica”. Quella del rancore, del rifiuto di ogni regola (anche solo riferita all’uso della mascherina) e di ogni misura di responsabile partecipazione allo sforzo della Nazione. Sentimenti che ci sono nelle pieghe della società italiana: la politica non può far finta di niente, certo, ma non può legittimarli e cavalcarli, a meno che non intenda abiurare alla sua missione ed al suo ruolo di strumento per il bene comune.

Una Destra del “tutto e subito”, disposta – con qualche imbarazzo dei cosiddetti “moderati”, pur presenti – a richiamare le parole d’ordine lanciate da quel misto di ignoranza, spregiudicatezza e cinismo costituito dai nostrani “gilet arancioni”.
Una Destra che comunque c’è e che pare tutt’altro che marginale nella opinione pubblica.
Per contenerla, non basterà il volonteroso paternalismo emergenziale del Premier. Nè la lunga serie di provvedimenti a largo spettro, ma spesso scoordinati e per di più affidati a procedure infinite.

Il Governo – come dicono molti – è “oggi” senza reali alternative. Vero; ma fatica a dimostrare la dovuta capacità di visione e di carisma. Fatica a trasmettere il “senso” della sua azione e dunque ad incarnare la cifra della ”guida” di fronte ad una comunità divisa e impaurita ed ad una fase così inedita.
Accanto alla Fase tre dell’emergenza Coronavirus, converrà dunque sperare anche in una Fase tre del Governo del Paese: qualche timido segnale è arrivato in queste ore, dal di dentro e dal di fuori dell’area di Governo.

Diversamente, il destino è segnato. E non solo per l’attuale maggioranza parlamentare.
L’autunno sarà drammatico, lo sappiamo tutti.
Il Recovery Fund europeo rappresenta uno sforzo politico-economico senza precedenti.
E speriamo che la Cancelliera Merkel, anche sulla base della storica alleanza con Roma e Parigi, riesca a farlo digerire senza troppi annacquamenti a quei Governi che spesso, peraltro, sono stati evocati come “sodali nel sovranismo nazionalista ed anti europeo” dalla destra italiana.

Ma il Recovery Fund, bene che vada, non arriverà in tempo per prevenire una fase di recessione di proporzioni inaudite. Nuove povertà, crescenti disuguaglianze, paure latenti del Coronavirus – esorcizzate attraverso una sorta di irrazionale negazionismo di ritorno – potranno determinare una miscela esplosiva, molto pericolosa per la tenuta del tessuto civile e democratico del Paese.
È contro questo scenario terribile che occorre una iniziativa coraggiosa e innovativa della politica italiana o quanto meno di quella sua parte che non scommette sul “tanto peggio, tanto meglio”.

Una iniziativa che abbia la forza sufficiente per gestire la fase di difficile transizione ad una ripresa che, seppur su basi nuove e con paradigmi inediti, sono sicuro ci sarà.
L’importante è però arrivarci vivi, dal punto di vista sociale ed economico e da quello democratico.

Postilla.
Sul piano strettamente politico, le vicende di questi giorni confermano, per chi si richiama alla tradizione democratico cristiana e del “centro” popolare, ciò che Guido Bodrato, con la consueta lucida saggezza, ha ricordato in un suo messaggio di ieri, citando il mitico Valdes (leader dei democristiani cileni degli anni settanta): “Se vinci con la destra, è la destra che vince”.