Con le leggi elettorali nascono e muoiono partiti, emergono e cadono leader politici e, soprattutto, si costruiscono o meno coalizioni compatte e credibili. Ma, al di là del sistema elettorale, quello che conta ai fini della composizione del Parlamento è come si votano e come si scelgono i parlamentari.

Il tema è vecchio ma, purtroppo, sempre attuale. Anche perché da quando è tramontata la tanta biasimata prima repubblica, c’è il persistente vizio di cambiare la legge elettorale alla fine di ogni legislatura. L’obiettivo è sempre lo stesso: come punire gli avversari dell’opposizone e come premiare chi sta momentaneamente al governo. Certo, adesso c’è una difficoltà in più. Con l’arrivo dei tecnocrati la politica è stata di fatto sospesa ed è sempre più difficile tracciare la divisione tra la maggioranza e l’opposizione. E questo fatto, di conseguenza, comporta la crescente difficoltà a modificare la legge e a cambiare i rapporti di forza. E quindi la sostanziale impossibilità di “punire” gli avversari e di “favorire” gli amici.  

Ora, tutti noi sappiamo che la legge elettorale è in grado di modificare in profondità il sistema politico. Perché con le leggi elettorali nascono e muoiono partiti, emergono e cadono leader politici e, soprattutto, si costruiscono o meno coalizioni compatte e credibili. Perché, per fare un solo esempio, se con il maggioritario secco o prevalente le coalizioni si formano prima del voto e somigliano sempre più in Italia a pallottolieri o cartelli elettorali, con il proporzionale le alleanze si formano dopo il dopo e, di norma, non ci sono regole ferree e definite nel costruirle.

Ma, al di là del sistema elettorale – che, come diceva Carlo Donat-Cattin “è la madre di tutte le riforme” – quello che conta ai fini della composizione del Parlamento è come si votano e come si scelgono i parlamentari. Tema non indifferente perchè attiene anche e soprattutto alla qualità della democrazia e allo stesso rapporto tra i cittadini e la politica.

Al riguardo, sono sostanzialmente quattro i modelli a cui si può fare riferimento. I parlamentari si possono scegliere con la preferenza unica – indubbiamente il sistema peggiore per i costi che comporta e per le divisioni che provoca all’interno dei partiti e delle coalizioni -, con le preferenze multiple, con i collegi uninominali o attraverso le cosiddette “liste bloccate”. A seconda di queste quattro modalità tecniche si capisce anche come si costruisce il rapporto con i cittadini che si recano ai seggi.

Se il sistema delle preferenze apparentemente appare il migliore perchè permette al cittadino di scegliersi il suo rappresentante, è indubbio che oggi dietro quella patina di democrazia si nascondono alcune trappole. Innanzitutto il costo della campagna elettorale perché se con le preferenze multiple – come avveniva ai tempi della prima repubblica che è durata quasi 50 anni – è possibile costruire delle alleanze e delle collaborazioni politiche concrete all’interno dei singoli partiti, con il sistema della preferenza singola i costi della campagna elettorale lievitano sempre di più con il rischio, abbastanza concreto, di esporsi anche ad episodi di corruzione e di malcostume politico. In molte aree del paese e non solo in quelle più tradizionalmente vulnerabili sotto questo profilo.

Il metodo delle cosiddette “liste bloccate” è persin troppo noto per essere descritto. E cioè, le liste vengono stilate dalle segreterie centrali dei partiti e, di conseguenza, c’è un controllo scientifico e ferreo dei futuri eletti. Un meccanismo che in questi ultimi anni ha avuto il sopravvento per un motivo molto semplice: ovvero, scomparendo di fatto i partiti organizzati sostituiti dai partiti personali e dai cartelli elettorali, la selezione della classe dirigente si è ridotta al criterio della “fedeltà” e della sottomissione nei confronti del “capo” politico di turno. Un meccanismo, quindi, che non si espone al rischio della corruzione e del malcostume ma che, al contempo, priva il cittadino della reale scelta dei suoi rappresentanti.

In ultimo resta la modalità forse più funzionale e sicuramente più efficace. Ovvero, il metodo del collegio uninominale. Sia che prevalga il sistema maggioritario e sia che si scelga quello proporzionale. Nel primo caso il ricordo va al cosiddetto “mattarellum” che ha fatto il suo esordio nel nostro paese con le elezioni del 1994 ed è scomparso con l’introduzione del “porcellum” e delle liste bloccate in occasione delle elezioni del 2006. Nel secondo caso il sistema sarebbe quello delle vecchie Provincie dove la competizione era all’interno del partito di appartenenza ma non attraverso il sistema delle preferenze o della preferenza unica ma con quello dei collegi uninominali.

Ecco perchè il capitolo della legge elettorale, anche se resta un tema per addetti ai lavori, non può non essere nuovamente affrontato. Con serietà e con senso di responsabilità. E questo perché, è inutile negarlo, il tema della legge elettorale si trascina dietro il nodo decisivo e qualificante di quanto pesa il cittadino/elettore nella scelta della futura classe dirigente. In fondo, delle due l’una: o conta il cittadino o decide il capo partito. Una terza strada è sostanzialmente impossibile. Per questo motivo è bene continuare a parlarne.