Il 24 aprile del 1949 “Il Popolo”, quotidiano ufficiale della Democrazia cristiana, riportava in prima pagina un lungo articolo di Luigi Sturzo (qui riprodotto integralmente) dedicato ai problemi della salute pubblica. L’analisi del “padre nobile” dei popolari si fa apprezzare per la dovizia di particolari e la varietà degli aspetti trattati. Vale la pena annotare, alla luce del dibattito odierno sulla possibilità di ricorso al Mes, il passaggio in cui viene avanzata la proposta di utilizzo dei fondi messi a disposizione dal Piano Marshall. Sturzo evidentemente aveva le idee chiare.

E.R.P. Ricostruzione. 15) – Igiene e sanità (“Il Popolo” – 24 aprile 1949)

Luigi Sturzo

Dunque, dalle ultime note risulterebbe che l’Alto Commissariato di Igiene e Sanità non parteciperà ai Fondi-Lire del 1’ e 2’ anno (aprile 1948 – giugno 1950), né ai prestiti in dollari: addirittura diseredato! 

Perché? 

Si dice che deve provvedervi lo Stato con le assegnazioni di Bilancio. Difatti, quest’anno il Bilancio della Sanità si presenta in vari capitoli con delle cifre in più, quale quella della assistenza ai tubercolotici. Ma bisogna andare al fondo; se invece di fermarci al confronto fra le cifre del bilancio 1948-49 e quelle del 1949-50, guardiamo le variazioni fatte in corso dell’anno, la cifra prevista per il 1949-50 risulterebbe inferiore a quella realmente impegnata per il 1948-49. Dobbiamo, quindi, augurare che nel futuro esercizio si facciano le note di variazioni necessarie, le quali, purtroppo, arrivando sempre in ritardo, causano quelle paralisi funzionanti o quell’ingorgo nei pagamenti, che sono oramai malattie endemiche del nostro sistema amministrativo. 

La questione sanitaria è molto complessa e non va guardata solo nelle sue spese di puro esercizio. (Apro una parentesi: si sogliono mettere allo straordinario certe spese che per la loro continuità normalizzata dovrebbero andare alla parte ordinaria. Si tratta di cambiare i criteri formali di ragioneria In criteri sostanziali di amministrazione).

Le vere spese straordinarie da tenere in conto sono quelle per impianti e stabilimenti sanitari destinati ad adeguare le condizioni di molte regioni a quel minimo di vita civile che è proprio indispensabile. 

Nel complesso nazionale, con percentuali variabili dal 5,65 letti per mille, media dell’Alta Italia a 1,44 per mille, media del Mezzogiorno (la provincia di Catanzaro scende a 0,69 per mille Nuoro a 0,64, Avellino a 0,44), occorrono miliardi per ospedali, sanatori, preventori, ambulatori e simili.
È assurdo che non si ricorra al Fondo-Lire. 

Ci sta una tal quale confusione di idee in materia. 

Stiamo intanto al tema della costruzione e attrezzatura di edifici sanitari di varia natura. Solo l’Alto Commissariato di Sanità potrebbe fare, ed ha già fatto, un piano, per quanto limitato, di adattamenti, ampliamenti e nuove costituzioni che si reputano indispensabili. Il primo piano arrivava a 24 miliardi, poi fu ridotto a 18 miliardi e finalmente, limitando allo stretto urgente, a 12 miliardi. 

Mi sembra proprio il caso del sarto siciliano chiamato “Schiticchio”. Costui cominciò a tagliare la stoffa per farne un mantello; sbagliò a tagliare e si ridusse a farne una giacca; quella benedetta forbice andò male e finalmente ne fece un gilet. Per la Sanità eravamo giorni fa alle proporzioni del gilet di Schiticchio; ma che è che non è? Il panno è stato rubato e il sarto è rimasto con la forbice in mano: Niente!

È stato osservato: la costruzione degli edifici statali è competenza del Ministero dei LL.PP.; quella degli edifici locali, é competenza di Comuni. Province, Opere Pie (e ora Regioni), e verrà favorita dallo Stato con i provvedimenti in corso. (A proposito è da augurare che il Vicepresidente Porzio e il Ministro Tupini si mettano di accordo circa il testo definitivo del disegno di legge 371 o altro; altrimenti arriveremo a bocca asciutta alle vacanze estive del Parlamento). 

Né Porzio né Tupini hanno avuto l’idea che il disegno di legge 371 possa venire incontro alle esigenze dell’assistenza sanitaria del paese, sia per i mezzi previsti, sia per la complessità dei lavori pubblici a carico dei Comuni e delle Province. 

Lo Stato non può esimersi dall’intervenire, sia integrando le iniziative locali, sia prendendo iniziative di propria spettanza.

Non si creda che l’ondata della t.b.c. causata dalla guerra e accresciuta nei primi tre anni del dopoguerra, sia talmente diminuita, da bastare l’attuale attrezzatura sanatoriale. Sarebbe un errore grossolano nel quale non sono cadute affatto le autorità sanitarie del nostro Paese. 

Non sappiamo quanti siano gli alunni delle scuole che dovrebbero essere accolti nei preventori, né quanti operai che vanno all’officina che dovrebbero invece essere curati nei sanatori. 

Ed è opportuno generalizzare l’esame medico di alunni e di operai, avvertendoli delle loro condizioni di salute, se poi non sarà possibile curarli ed assisterli? Così, i germi si diffondono nei soggetti predisposti e denutriti. 

Parliamo delta condizione del Mezzogiorno e delle Isole: in molti Comuni né ambulatori, né primo soccorso, né ospedali. Ci sono certi ospedaletti di antica data, mancano però di mezzi per metterli a sesto. In Sicilia si ebbero cinquecento milioni dell’AUSA con l’integrazione di altri trecento milioni della Regione per primi provvedimenti urgenti. Occorre ben altro. 

Non dico poi quale sia la condizione di certi istituti per malattie celtiche che dovrebbero essere tenuti bene e serviti bene, specie nelle città portuali. 

Lo Stato non può sottrarsi all’obbligo di provvedervi con urgenza. 

Le iniziative locali dovrebbero essere inquadrate in un piano nazionale in modo che si provveda anzitutto alle provincie più abbandonate e nei centri dove urgono servizi di maggiore interesse sanitario e assistenziale. 

Sarebbe da promuovere una intesa di coordinamento fra lo Alto Commissariato e l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro le malattie. Purtroppo, in Italia, Ministeri ed Enti parastatali sono dei veri compartimenti-stagno. Chi supererà le barriere della propria competenza?

In sostanza niente piani, niente adeguamento ai bisogni locali, niente iniziative per i bisogni più urgenti, quali l’apertura e l’attrezzamento di preventori e sanatori contro la tubercolosi e un’adeguata lotta contro le malattie celtiche.

Se si arriverà, com’è sperabile, ad approvare la legge di iniziativa parlamentare contro la regolamentazione delle case chiuse, occorrerà un netto intervento statale per prevenire la diffusione di malattie luetiche, non sulla carta e con regolamentazioni di polizia, ma con l’apertura di ambulatori e sanatori anticeltici bene attrezzati e bene assistiti. 

Riassumendo:

1) il disegno legge Tupini sugli Enti locali, integrato da opportune disposizioni per il Mezzogiorno (che non può perdere i diritti acquisiti con le leggi speciali in vigore), potrà servire a spingere Comuni, Province e Regioni a includere nel programma complessivo di opere pubbliche non solo acquedotti e fognature, ma anche ospedali, sanatori, secondo i mezzi dei quali potranno disporre. 

2) L’Istituto nazionale di assicurazione contro le malattie dovrebbe coordinare la sua attività con quella dell’Alto Commissariato per un impiego razionale di fondi e un’integrazione effettiva di servizi. Allo uopo vi è in corso lo studio di un piano concordato con la Regione Siciliana, per l’apertura di ambulatori nei piccoli centri che ne difettano. L’iniziativa è ben vista dal Ministro del Lavoro e potrà dare utili risultati.

3) L’Alto Commissariato non ha che pochi fondi destinati ai completamento di alcuni sanatori in corso di costruzione e ampliamento e il loro attrezzamento; ma i fondi di bilancio a questo scopo sono addirittura insufficienti. 

Occorre, quindi, ricorrere al Fondo-Lire per un primo e pur limitato programma di lavori, con l’idea che ci vorrà almeno un decennio di sforzi per mettere tutte le regioni ad un uguale livello di assistenza sanitaria e di dignità umana.

Non ci dovrebbe essere difficoltà da parte della Missione Americana dell’ECA a dare il consenso per l’impiego di un primo fondo da 15 a 20 miliardi per la costruzione e l’attrezzatura di un certo numero di istituti sanitari, sol che si tenga conto quanto lavoro si darebbe ad artigiani locali, muratori, falegnami, fabbro-ferrai; ad imprese di tubulature, impianti elettrici e di trasporti; a fabbriche di strumenti sanitari, gabinetti operatori, sale radiologiche, tutto un complesso di spesa che per il 70 per cento sarà di salari e per ti 30 per cento di materiali.

E poi? non si considera il vantaggio che si arrecherà alla “macchina-uomo”, nel ristabilirne il funzionamento e la efficienza? 

Del resto, il carico assistenziale di esercizi di tali istituti non graverà certo sul Fondo-Lire, ma sui bilanci dello Stato, degli Enti locali e sulla beneficenza privata. 

A proposito, raccomando al Ministro Vanoni di introdurre nella sua riforma fiscale la disposizione che vige negli Stati Uniti di America, stabilendo che le donazioni ad enti e istituti di Cultura e di Beneficenza (siano enti pubblici o privati) andranno per una larga percentuale a diminuzione dell’imposta da pagare allo Stato. 

Non ci perderà lo Stato: ci guadagnerà il paese moltiplicando tali istituti, il cui carattere morale e sociale e di alta utilità collettiva non può mettersi in dubbio.

Mi è stato detto che nè il CIR nè il Tesoro abbiano fin oggi mostrato l’interesse che merita il problema: di fatto, le ripetute domande dell’Alto Commissario Cotellessa non hanno trovato il dovuto accoglimento. Non dico che uomini responsabili non sentano il problema ma, purtroppo, coloro che decidono non hanno mai fatto delle visite locali per vedere quale sia l’abbandono delle popolazioni in materia sanitaria, specialmente nel Mezzogiorno e nelle Isole. 

Se capitassero loro, e agli americani anche, certe esperienze capitate a chi scrive in periodi difficili, come quello dell’influenza del 1918, forse comprenderebbero la meraviglia e lo sdegno che mi fan vergare queste linee. 

Se non ci comprendono gli italiani, potranno comprenderci gli americani dell’ECA?

Bisogna andare e constatare; per la loro buona salute non dico di provare.