Si va verso il referendum sull’eutanasia. I radicali prevedono di arrivare a 750 mila. Monsignor Paglia: «Serve un grande dibattito nazionale e una campagna di informazione per evitare strumentalizzazioni ideologiche: pochi sanno che con le cure palliative nessuno muore con dolore». Per Marina Casini la consultazione è figlia della stessa cultura dell’aborto.

Francesco Anfossi

Mentre alla Camera procede il confronto sulla nuova legge sul fine vita, richiesta dalla Corte Costituzionale con la sentenza legata alla morte del dj Fabo (il Parlamento dovrebbe tradurre in legge il verdetto con il quale la Consulta ha depenalizzato in alcune circostanze l’ assistenza al suicidio), i radicali, guidati dall’ associazione Luca Coscioni e da Marco Cappato, non si accontentano e tirano dritti sul referendum sull’ eutanasia senza se e senza ma. 

Come strumento scelgono il referendum abrogativo. Utilizzando come slogan frasi a effetto tipo “liberi fino alla fine” o “la mia vita mi appartiene”, in un mese e mezzo hanno raccolto mezzo milioni di firme (il numero necessario a indire il referendum), ma vogliono arrivare a 750 mila entro il 30 settembre conseguire un forte significato simbolico. Si punta ad abrogare l’ articolo 579 del Codice penale che prevede l’ «omicidio del consenziente». L’ iter prevede che le firme vengano convalidate e che la Consulta decida se il referendum è conforme all’ articolo 75 della Costituzione.

Anche se il legislatore, su indicazione dei “giudici delle leggi”, depenalizzerà l’ articolo 580 del Codice penale riguardante il cosiddetto “aiuto al suicidio”, i promotori non si accontentano: non hanno nessuna intenzione di fermarsi e ritengono che l’ obiettivo finale sia l’ eutanasia. Le preoccupazioni, soprattutto nel mondo cattolico (ma non solo), sono davvero profonde. Come quella di monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontifica Accademia per la vita, per il quale «si sta incuneando nella sensibilità della maggioranza una concezione vitalistica della vita. Tutto ciò che non corrisponde a una certa condizione vitale di salute viene espulso, una nuova forma di eugenetica». Insomma: «chi non dovrebbe nascere sano non viene fatto nascere, chi è già nato ma non è sano alla fine deve morire. Non si vuole capire che la «debolezza chiede l’ urgenza della fraternità perché è nella fraternità che ci si prende cura degli altri».

«Molti hanno parlato di ira e di sdegno», prosegue monsignor Paglia, «in realtà non c’ è nessuna ira e nessuno sdegno. C’ è la responsabilità di comunicare una convinzione della Chiesa sui valori umani. Io non sono nemmeno contrario all’istituto del referendum in sé. Ma prima, su temi delicati come questi, io auspicherei una forma di dialogo a livello nazionale tra tutte le realtà più importanti, religioni comprese, oltre a una conoscenza ampia e approfondita da parte della popolazione. La materia è talmente delicata che non può essere oggetto di una battaglia ideologica e divisiva». Anche perché, prosegue il presidente della Pontificia Accademia per la vita, c’ è un forte equivoco alla base dell’ eutanasia: «il dolore, la sofferenza, si possono evitare con le cure palliative. Non c’è nessuno che non avrebbe dubbi sul voler vivere se ci fosse tolto il dolore. Ma oggi la scienza prevede cure che quel dolore ce lo tolgono fino alla fine e che sono a disposizione di tutti. Bisognerebbe fare una grande opera di informazione su questo».

Continua a leggere

https://m.famigliacristiana.it/articolo/quel-mezzo-milione-di-firme-contro-la-vita.htm