(Tratto dall’Huffington del 13 giugno 2019).
I più maliziosi attribuiscono a Massimiliano Smeriglio, neoeletto al Parlamento di Strasburgo,il ruolo di banditore ufficioso dei programmi e delle volontà di Zingaretti. È probabile che sia un’esagerazione. Tuttavia, non è importante stabilire se ciò corrisponda a verità o se piuttosto, dietro alcune uscite, non vi sia altro che il gusto dialettico di un indipendente – tale si dichiara – da sempre impegnato nel tentativo di ripristino di una sinistra che si compenetra con fantasia nel “gioco di eventi”, facendo opposizione anche quando si governa. Conta ragionare invece su quanto Smeriglio enuncia, ignorando la logica dei retropensieri.
Ieri, ad esempio, ha consegnato una lunga nota alle agenzie. Cosa si evince da questa dichiarazione molto dettagliata? La sua è la prefigurazione di una nuova sinistra alla Bertinotti, giacché attiva un’antica ostilità  verso il registro del modello riformista. In effetti, dopo le elezioni europee, la spinta a radicalizzare la linea del Pd si accentua ogni giorno che passa. Smeriglio cita Sanchez, il leader dei socialisti spagnoli, per evidenziare l’efficacia di una politica più aderente alla tradizione e ai valori della sinistra. Sanchez vince perché parla chiaro e non dimentica il legame dei socialisti con le classi più deboli e più inquiete, specie nel tempo della globalizzazione. Da qui si dovrebbe ripartire, facendo a meno d’inseguire il miraggio di un centro più o meno moderato. In un certo senso, per non esserne contaminati.
C’è in questa torsione innovativa il ritorno a un lessico profetico-profano. “Bisogna aprire porte e finestre – ecco la ricetta di Smeriglio -, far entrare aria nuova, accettare il confronto con culture politiche diverse, da quelle più liberali fino alle forze del civismo di sinistra, dell’attivismo territoriale, dell’ambientalismo, dell’europeismo più convinto, del femminismo“. Certo, un’apertura a tutto campo.
Poi, con taglio più stringente, continua e rafforza il discorso: “Questa è stata in fondo la sfida di Piazza Grande, non solo la mozione congressuale di Nicola Zingaretti, ma qualcosa di più, una idea del mondo e della ricostruzione del campo democratico mettendo in discussione approcci e perimetri dell’idea stessa di forma partito. Su questo dobbiamo lavorare”. Ecco, dobbiamo lavorare sì, ma con quale paradigma di partito? Con Smeriglio avanza, per dirla tutta e in breve, il desiderio di trascendere l’esperienza fin qui consolidata, immaginando l’appello al civismo come un “andare oltre”, che infine si traduce in una sorta di espianto degli organi del Pd delle origini.
Vale la pena osservare, a disdoro della tesi di Smeriglio, come del cattolicesimo democratico rimanga soltanto la graziosa nebulizzazione del solidarismo: non più una dottrina politica, quale si conserva dopo il Novecento la cultura (solitaria) del popolarismo, ma un generico florilegio di buone intenzioni e buone pratiche, a sostegno di sporadiche cooptazioni. È del tutto evidente che per questa via si decreta la fine del Pd. Ne è consapevole Zingaretti? Alla resa dei conti una risposta s’impone, altrimenti la discussione sul futuro del Pd può scivolare nella retorica, per poi passare molto in fretta dalla retorica al sofisma. Con danni facilmente prevedibili.