Questione di selfie: la morte in posa.

Deve essere terribilmente eccitante potersi ritrarre dove tutto è fermo. La foto, così, non è più una forzatura. Questione anche più grave, se si pensa che sia soltanto da ricondursi alla perdita del senso del limite. La figura dell’idiota, quindi, è sovrastante rispetto anche alla tragedia.

Giovanni Federico

In un’ultima intervista, anche sui temi della fede, Enzo Iannacci criticava il decadimento della nostra società. “Oggi c’è solo un gran gusto del chiasso, un piacere dell’indifferenza…Un Paese che andrebbe smemorato e riattivato, come direbbe Montale”. Si potrebbe aggiungere che c’è un robusto cretinismo, tanto ostinato che faremo prima ad abituarci alla sua presenza che a sfiancarci nell’attesa si tolga di mezzo.  

Giorni fa un operatore sanitario è stato colto in fallo mentre fotografava dei poveri malati terminali, a letto, intubati, semi coscienti, per poi proporli sui social all’indirizzo dei suoi amici, ad amici evidentemente affezionati alla visione. Mentre al primo si suggerirebbe, per le sue debolezze emotive, tra l’altro di cambiare mestiere, alla platea dei suoi interlocutori si consiglia un corso di riabilitazione del pensiero e di apprendimento della coscienza della morte. Non ci sarebbe un regista di tal fatta se mancasse un pubblico a compiacerne l’opera.

L’episodio non è nuovo. Anzi è di gran vaglia. Alla morte di Pelè c’è chi si è fatto un selfie con i vecchi compagni di squadra vicino alla salma del calciatore. Al funerale di Maurizio Costanzo c’è chi non ha resistito all’impulso di chiedere un selfie a Maria De Filippi che, nel dolore, aveva per certo altro a cui pensare. Gerry Scotti ha dichiarato in una intervista che molti anni fa – il selfie ancora non era stato inventato – c’è stata una folla intrepida a sollecitargli un autografo mentre era fermo davanti al feretro della madre. Se si trattasse solo di un cretinismo diffuso potremmo evitare di cadere nello sconforto. Di imbecilli a questo mondo non ne sono mai mancati e quindi non c’è troppo da meravigliarsi anche per il futuro. 

La questione appare più grave se si pensa che sia soltanto da ricondursi alla perdita del senso del limite. Si va avanti secondo capriccio, tutto è possibile sulla pelle dell’altro, urge dar seguito al sentimento impellente di quell’attimo, poco conta se si rompe la cristalleria buona del prossimo.La prurigine sembra esplodere quando poi si è a contatto con la morte o con l’affascinante ambiente dove essa si aggira. Deve essere terribilmente eccitante potersi ritrarre dove tutto è fermo. La foto, così, non è più una forzatura, non è un’immagine che fissa per magia ciò che intanto scorre. È al contrario un’intonazione magistrale, dove si accoppia l’immobilità di un morto o di un malato a quella dei suoi spettatori, gli uni e gli altri bloccati per un ritratto. Quello è lo scatto della vita, per cui si può vincere un Oscar ad occhi chiusi. 

“Troppo facile e troppo comodo”, è il commento di Don Vincenzo Ascalone, per bocca del grande Saro Urzi, nel film “Sedotta e abbandonata”, quando si cerca di riparare con qualche semplice scusa al torto subito, infangato l’onore della sua famiglia. Troppo facile e troppo comodo è il ritrarsi con un bel sorriso vicino alla morte con l’arroganza di chi crede di non poterne essere sfiorato. 

La figura dell’idiota è sovrastante rispetto anche alla tragedia di vite che si stanno consumando o che hanno spento la luce. Non è neppure il ritrarsi di un passo indietro, di una pudicizia rispetto ad un fatto che porta sempre un carico di angoscia. Non è neanche un senso di onnipotenza dove credi che la fine non possa mai riguardarti. Al contrario, sai che c’è ma non ne hai le misure, immagini che sia un episodio a cui ne seguiranno altri, qualcosa di intermedio e non di fine capitolo o di un “ultimo”, ma a cui non prestare alcuna attenzione. Simili cretini vanno compresi. Nella loro mente non un alito di vita. Si muovono alla stregua di morti viventi, non lasciando alcun segno del loro passaggio terreno. I soli per cui la morte ne soffrirà l’accoglienza.