Raggi o non Raggi, bisogna inventare un nuovo paradigma

Si ricomincia daccapo. Era prevedibile che la sortita di Daniele Leodori, vice presidente della Regione Lazio, riuscisse nell’impresa di ricompattare il M5S, agevolando al tempo stesso la pretesa della Raggi a ricandidarsi. L’idea di agganciare i grillini, a patto che fosse sacrificata l’attuale inquilina del Campidoglio, aveva troppi punti deboli. Infatti, nei giorni scorsi non sono mancate le critiche, tanto all’interno del Pd (Base riformista), quanto all’esterno (Italia Viva). Ora, a spiazzare i sostenitori dell’alleanza giallo-rossa ha provveduto la signora Sindaco, annunciando la volontà di sfidare il tabù dei due mandati consecutivi. Salvo decisione contraria a mezzo della piattaforma Rousseau, sarà ancora lei a scendere in campo per la squadra Cinquestelle. Comunque a dire l’ultima parola sarà Grillo, il vero nume tutelare della Raggi.

Naufragata l’ipotesi Leodori, il Pd annuncia ora di volersi incamminre sulla strada di una nuova alleanza. Il capogruppo capitolino, Giulio Pelonzi, parla della necessità di allestire un “fronte di centrosinistra largo e compatto”. Tornano in gioco i nomi di Enrico Letta e David Sassoli, entrambi però con forti controindicazioni: il primo non conosce Roma, il secondo la conosce, e anche bene, ma svolge un ruolo delicato e prestigioso in Europa. Ecco perché, nel caso non fosse lo stesso Zingaretti a esporsi in prima persona, un po’ come avvenne con Veltroni nel 2001, il quartier generale è costretto a misurarsi con la provocazione delle primarie. In realtà, si rischia di riproporre pedissequamente qualcosa che assomiglia alla vecchia alleanza ulivista, con il Pd al posto del Pds-Ds e gli altri, satelliti minori, a fare da corona al nucleo tradizionale della sinistra.

Nulla di nuovo sotto il sole. Roma non ha bisogno di palliativi, bensì di una terapia d’urto. D’altronde il Pd, a specchio della destra, non ha brillato in questi anni di opposizione. L’unico progetto che andava contestato, vale a dire lo stadio della Roma a Tor di Valle, ha fatto da collante all’unanimismo mascherato dell’Aula Giulio Cesare. Sui rifiuti ha impazzato la retorica, tutta incentrata sulla magica soluzione della raccolta differenziata, ma dopo la critica all’inconcludenza della Raggi non è seguita alcuna proposta seria e concreta in ordine alla scelta della nuova discarica. E l’amletismo di Zingaretti come Presidente di Regione ha aggravato i problemi. Sulla mobilità e le relative infrastrutture, da sempre punti deboli di Roma, adesso prevale l’encomio del monopattino come simbolo di felice modernizzaione. E che obietta il Pd? Nulla o quasi nulla.

L’elenco delle obiezioni non finisce qui, ma conta arrivare, al di là dell’accanimento sulle insufficienze del Pd, al nodo vero della questione politico-amministrativa di Roma. La verità è che una sinistra chiusa a riccio, incapace di comporsi all’interno di una logica a forte impronta liberal-popolare, può gettare l’elettorato intermedio tra le braccia di Salvini e Meloni. Il calcolo di una vittoria al ballottaggio, grazie al gratuito soccorso grillino, riporta alla memoria la disinvolta manovra che fece di Rutelli un Annibale imbolsito, platealmente sconfitto da Alemanno. Oggi ricorrono grosso modo le stesse condizioni del 2008, con una destra aggressiva e una sinistra incatenata ai suoi monologhi. Si deve cambiare paradigma. La città esige un soprassalto di fantasia e generosità, mirando con ciò a rimescolare le carte in tavola. È una scommessa impegnativa, ma non si può e non si deve eludere.