Ricordo di una conversazione con Milva Biolcati

Del silenzio ho fatto una scelta di vita da più di due anni.

Signora Milva, per molti anni le Sue canzoni hanno tenuto compagnia agli italiani, quando la Tv era un mezzo di piacevole intrattenimento. Che cosa ricorda di quel periodo, che cosa significava per Lei e per molti altri artisti presentarsi al grande pubblico attraverso quella scatola magica, dopo gli esordi nei cabaret e gli spettacoli locali? Com’era la Tv di quegli anni: quel clima di entusiasmo era anche espressione di una crescita sociale, economica e culturale del Paese?

Indubbiamente quello fu un periodo di crescita per il Paese : la Tv, le prime automobili, un certo benessere che si stava diffondendo. Per la verità non ne ho un ricordo significativo: vede, quando nella vita professionale di un artista si sono fatte molte cose e si arriva ad una certa età – sono 55 anni che lavoro – tutto si evolve e si sovrappone. In realtà io non sono stata soprattutto una cantante televisiva  né – nella mia vita – ho amato particolarmente la televisione, non sono stata una sua creatura come allora era la mia collega Mina. Ricordo cose buone e meno buone o pessime, ricordo la frequente presenza di Mike Bongiorno con le sue lunghe puntate nei quiz: oggi come allora c’erano cose più o meno piacevoli. Forse erano diversi e migliori gli uomini che la dirigevano, la Tv era rivolta a tutti, al grande pubblico e non politicizzata, come avviene ora che c’è un solo uomo che governa contemporaneamente sei reti televisive.

Recentemente un noto presentatore, al quale mi ero rivolto definendolo uno dei padri della televisione pubblica mi aveva risposto: “non me lo dica due volte altrimenti corro subito a fare domanda di disconoscimento di paternità”. Che cosa è cambiato nei palinsesti, nei contenuti, nei programmi, nel linguaggio e nelle presenze della televisione, da indurre preoccupazioni di questo genere? Il regista Pupi Avati mi ha detto: “La Tv è la peggiore maestra di vita” . Condivide queste valutazioni negative?      

Se uno passa il tempo davanti alla Tv alla lunga il giudizio diventa negativo. Occorre essere pazienti e selettivi negli orari e nei programmi di fruizione di ciò che la Tv offre, in una parola scegliere. Personalmente prediligo i telegiornali e i programmi della terza rete ma non ho la Tv né in sala da pranzo né in camera da letto, alla sera la vedo raramente, preferisco leggere. Occorre saper scegliere ciò che si vede: per esempio ieri sera ho ascoltato con piacere il Procuratore Caselli raccontare della sua professione. Però la televisione non è tutto, si può farne a meno: contano di più gli uomini, quelli che la vedono e quelli che la ‘fanno’.

Molto di quello che ci riguarda, i nostri stili di vita, le nostre abitudini, i sentimenti e le relazioni sociali hanno subito una vistosa accelerazione in questi ultimi decenni, tanto è cambiato e troppo in fretta. La gente stenta a riconoscersi nei modelli in circolazione, fatica a mantenere una propria identità. Il progresso ci ha portato molti vantaggi  e ha facilitato molti aspetti della nostra vita quotidiana. Tuttavia si ha l’impressione di aver perduto cose importanti, strada facendo: lealtà, sentimenti sinceri, fiducia nel futuro, il significato morale della parola data, gran parte dei valori ai quali siamo stati educati. Piero Mazzarella mi ha confidato: “mancano gli umori della cultura popolare”. E’ così?

Vede, occorre superare le nostalgie delle cose passate e a volte avere il pudore di tacere, specie ad una certa età quando si vive di ricordi su cose che non ci sono più. Allora – parlo della mia gioventù-  non avevamo nulla, nel mio paese mancavano persino le scuole, io stessa non sono riuscita a concluderle. Il nostro Presidente della Repubblica ci richiama spesso ai valori perduti strada facendo, si può ben dire che viviamo in un bruttissimo mondo ma non giurerei che quello precedente fosse particolarmente migliore. Io, come le ho detto,  sono nata in un piccolo paese, avevo forse del talento ma che fatica per uscire, per emergere! Erano tempi in cui anche per fare solo la terza media si doveva andare in collegio, in un altro luogo. Ci mancava tutto, non ho ricordi particolarmente belli di quel mondo e di quell’epoca. In questo periodo ho una percezione negativa delle cose, mi mancano molte motivazioni: ho forse fatto anche troppo e adesso sto pagando il mio eccessivo impegno, non vedo buone prospettive, guardandomi intorno. Se rivolgo lo sguardo al passato- cosa sulla quale non indulgo spesso-  so di aver lavorato molto e con grande volontà, cercando diverse forme di espressione artistica, in particolare il teatro: non ho rimpianti per quel che ho fatto ma non trovo vie d’uscita, guardo avanti e non trovo motivi per crogiolarmi nei ricordi. Bisognerebbe sempre guardare oltre e avere fiducia, saper aspettare.

So che Lei nutriva un sentimento di profonda amicizia e ammirazione per la poetessa Alda Merini e per la sua sensibilità: che cosa pensa della sua lunga vicenda personale di profonda sofferenza e del grande dono che lascia a tutti noi: la consolazione spirituale della poesia e la forza del perdono…

Con Alda Merini ho vissuto due anni di intensa amicizia e collaborazione professionale, era piena di vitalità ed energia, in modo impressionante. Amava la vita anche nei suoi aspetti più effimeri – si sarebbe sempre circondata di collane, monili, rossetti – ed aveva una forte carica di sensualità, il desiderio vitale di amare ed essere amata, unita ad una sensibilità poetica strabiliante: sapeva tirare fuori rime, versi, strofe, parole incredibili e sconvolgenti. Mi telefonava e mi leggeva poesie che mi lasciavano stupita per la loro finezza sentimentale. Era una personalità unica nel suo essere ‘doppia’: sensualità intensa e sentimento da un lato , astrazione dall’altro. Non tutte le poesie erano allo stesso livello, però comunque di una bellezza inesprimibile per le persone comuni. Ci siamo tenute molto compagnia mentre lei si faceva delle lunghe fumate: è stata un’amicizia molto bella.

Che cosa ha significato per Lei l’approdo al teatro e  – in particolare – l’incontro culturale e spirituale con il talento di Bertolt Brecht?

L’incontro è stato ovviamente di tipo culturale, mediato attraverso la guida di quello straordinario personaggio che rispondeva al nome di Giorgio Strehler. Ho studiato e recitato Brecht attraverso lui. Il canto era stato il modo più facile per arrivare – non volutamente – al successo e aiutare la mia famiglia ma il teatro è stata la realizzazione più sentita: se oggi non ragiono come una signora di una certa età – che vuole riempire i cassetti di sogni, ed io non sono una persona di questo tipo – lo devo alla grande lezione di Strehler e di Brecht.                                                                          

Oggi si vuole aprire la scuola a tutti i saperi ma personalmente trovo – in modo secondo me evidente e paradossale – che proprio la musica, la poesia e il teatro, cioè le forme espressive tipiche della nostra migliore tradizione artistica e culturale, siano le cenerentole dell’educazione e della formazione dei giovani. Trova una spiegazione a questo fenomeno per certi aspetti sconcertante, dal Suo osservatorio e alla luce della Sua esperienza professionale? Mi riferisco ovviamente alla formazione culturale “basilare” dei giovani, dalla scuola elementare fino alle soglie dell’università, non a quella specialistica per chi intende successivamente percorrere per scelta la via della preparazione accademica…

Mah, vede, per esempio la lettura dei giornali è di per sé un fatto positivo, anche per i giovani, aprirsi già in classe alla conoscenza del mondo:  credo tuttavia che l’Italia sia uno dei Paesi dove si leggono meno quotidiani. Dipende dalla professionalità degli insegnanti saper integrare le letture di giornali e riviste con le materie scolastiche. La musica e il teatro dovrebbero essere imposte nei programmi nazionali, farlo in modo che i bambini imparino presto l’amore per l’arte, dopo è troppo tardi. Una vocazione si sviluppa se è scoperta e valorizzata per tempo. Se c’è del talento negli alunni, questo emerge se ci sono state sollecitazioni culturali nella scuola di base, come avviene ad esempio in Giappone, fin dalla prima infanzia. Dobbiamo a personalità come Abbado o Muti la capacità di valorizzare i giovani talenti nelle loro grandi orchestre. L’importante è saper scoprire le capacità dei bambini, fin da piccoli, aiutarli: non tutti vivono in contesti sociali favorevoli, non tutti ricevono stimoli ad emergere, non tutti hanno le stesse opportunità di partenza.

Signora Milva, vorrei toccare un tema  ormai consueto per gli intervistati. Tra le tante cose che si sono perdute in questo tempo mi pare ci sia anche il gusto, il piacere della riflessione e del silenzio. Sommersi da fiumi di parole ci manca il piacere di soffermarci a pensare. La fretta dell’oggi cancellerà dunque questo intimo passatempo? Quanto contano i silenzi nella vita di un artista?

Guardi, del silenzio ho fatto una scelta di vita da più di due anni. Provo un fastidio immenso per il rumore e per il divertimento chiassoso di chi cerca – nella passerella, nella frenesia e nello struscio – il divertimento. Quello che per gli altri è divertimento e spasso diventa per me fastidiosa omologazione, una confusione insopportabile in una massa indistinta. Oggi la vita è diventata un rumore assordante, come uno sfondo che non ti dà mai un momento di pausa. Il mio silenzio me lo cerco e me lo trovo. Leggo moltissimo, vado a letto prestissimo, desidero circondarmi di silenzio.

Il pubblico ha sempre dimostrato grande stima per la Sua altissima professionalità e un implicito apprezzamento per la Sua riservatezza. Posso dunque chiederLe qualche parola di speranza per il nostro futuro,  destinata a chi leggerà questa intervista e possibilmente rivolta soprattutto ai giovani?

Ringrazio per l’apprezzamento: mi sono riconosciuta, come le ho detto più nel teatro che nella televisione. Poi – vede – tutto passa e va, anche il pubblico dimentica. Se dovessi indicare due motivi di vita e di speranza direi: la giustizia sociale e il rispetto per gli altri. Quando  – come diceva Brecht –  c’è il senso del rispetto verso ogni altro uomo c’ è tutto. Quando questo manca viene meno la ragione e il senso dell’umanità. Mi pare che questi siano i valori più autentici da trasmettere ai giovani, con l’umiltà e con l’esempio, senza presunzioni.

 

 

                                    IL RICORDO PERSONALE 

             “Senta ci ho ripensato. Tolga onore e metta giustizia sociale”

Avevo acquistato i fiori per presentarmi a Lei nello stesso negozio della zona di Piazza Venezia a Milano – dove abitava –  presso cui  Lei aveva poco tempo prima ordinato l’omaggio floreale per le esequie di Alda Merini, alla quale la legava una profonda amicizia e un’intima affinità di sentimenti.  La titolare del negozio mi aveva detto: “è un’affezionata cliente, sempre discreta e riservata”. Ricordando quando, da bambino e da adolescente, seguivo le sue presenze in TV , le sue canzoni e poi le sue interpretazioni del teatro di Bertolt Brecht , avvertivo un timore reverenziale nel chiederLe di aderire all’intervista: era stata un mito della canzone italiana, ai tempi di Mina, Claudio Villa e di Ornella Vanoni. Grandi personaggi che hanno lasciato un ricordo indelebile nella memoria storica della TV e dei telespettatori, vere icone della canzone italiana nel mondo che nel tempo ha poi seguito le evoluzioni della moda e le tendenze artistiche della post-modernità ma perdendo quella che Walter Benjamin aveva definito “aura”: il valore ineguagliabile e irraggiungibile dell’originale, a suo modo dell’espressione canora come opera d’arte, per qualità vocali e originalità dei testi. Ritrovandola a teatro anni dopo, avevo apprezzato la pienezza artistica della sua personalità, le sue interpretazioni magistrali e ricche di pathos, un’autorevolezza naturale e matura al tempo stesso, mai ostentata: era un’artista veramente completa che dominava il palcoscenico e trasmetteva un coinvolgimento emotivo straordinario. Fu ben più benevola ed ospitale , con me , di quanto io stesso potessi attendermi, al cospetto di una diva indiscussa nella storia della musica italiana: non mi sentivo imbarazzato se non associando la sua figura alla storia della TV e del teatro. Ciò che mi disse è riportato nel testo dell’intervista: la sua spontaneità si univa ad una padronanza non comune della Sua eccellenza artistica, che emergeva in modo naturale. Ero e sono un modesto estimatore del teatro di Samuel Beckett, consapevole di interloquire con la più grande interprete di Bertolt Brecht che, per recitarlo,  era salita nella sua carriera sui palcoscenici di tutto il mondo. Avevo solo da ascoltare per imparare: vissi quella circostanza nella sua irripetibile occasione. Ciò che mi stupì fu la considerazione che Milva mi riservò. Due giorni dopo – leggendo il testo sbobinato dell’intervista che Le avevo inviato, prima di pubblicarla sul settimanale Il Ticino di Pavia – mi telefonò e, riferendosi all’ultima mia domanda e all’ultima sua risposta che riguardavano un messaggio da lasciare ai giovani sui valori da vivere, coltivare e tramandare, mi disse: “Senta ci ho ripensato: tolga la parola onore che mi sembra troppo aulica e retorica e metta al suo posto “giustizia sociale”. Così feci e queste parole il lettore trova nell’intervista. Ho sempre attribuito una valenza quasi aneddotica a quella telefonata e al senso di quel ripensamento. “Credo che sia questo un valore da insegnare ai giovani e da applicare alla nostra stessa vita”. Lasciandomi quel messaggio Milva aveva ripensato al senso etico della giustizia sociale come missione da compiere e credo che quel ripensamento conservi ancora oggi, in epoca di crisi economica e di disuguaglianze e ingiustizie il significato di un intimo e meditato testamento spirituale.