RIECCOLI, DA DESTRA CON VECCHIE IDEE E NUOVI RISCHI.

 

In questa campagna elettorale si fatica a trovare uno spazio per parlare delle questioni centrali per il paese e per gli interessi dei cittadini. Chi ha deciso di staccare la spina al Governo Draghi non ha operato a favore dell’Italia e degli italiani. La Destra rappresenta un pericolo.

 

Massimo De Simoni

 

Seguendo la comunicazione elettorale della destra, sembra di assistere ad una riedizione di quanto già accaduto nel corso degli anni. Salvini si lancia nelle solite roboanti promesse (reintroduzione del servizio militare di leva, pensionamenti anticipati, taglio delle tasse, scostamenti di bilancio con nuovo debito pubblico) guadagnandosi il quotidiano rimprovero di Giorgia Meloni. Quella Meloni che da un lato cerca di contenerlo e riportarlo con i piedi a terra e dall’altro gli “scippa” l’argomento dell’immigrazione brandendo l’arma del cosiddetto “blocco navale” ovvero una proposta che trasuda disumanità e risulta pressoché inattuabile in termini pratici, degradandosi a slogan propagandistico elettorale.

 

Poi è tornato “l’uomo del milione”; prima erano (o meglio, dovevano essere!) posti di lavoro, mentre oggi in piena emergenza ambientale sono diventati alberi da piantare. E poi in questa campagna elettorale di cose viste e riviste, potevamo farci mancare il famigerato ponte sullo Stretto? No! E infatti è stato puntualmente ri-annunciato con toni trionfalistico-minacciosi (“non ci fermeranno…”) che potrebbe permettersi (forse) solo qualcuno che non avesse mai avuto responsabilità di governo in questo paese.

 

In questa campagna elettorale si fatica a trovare uno spazio per parlare delle questioni centrali per il paese e per gli interessi dei cittadini; il crescente astensionismo misura la disaffezione degli elettori verso una politica che non ascolta a sufficienza e che in futuro è destinata a rappresentarli sempre meno, anche a causa della sproporzionata ampiezza dei nuovi collegi generati dal taglio del numero dei parlamentari.

 

Anche il centrosinistra è chiamato ad andare oltre la denuncia del “pericolo democratico” nel caso della probabile vittoria della destra (e questa volta è destra, non centrodestra!). Si deve andare oltre perché dopo il 25 settembre nessuno proporrà marce su Roma o adunate in Piazza Venezia, ma per mettere a repentaglio la tenuta del Paese saranno più che sufficienti le scelte di tipo nazionalistico, antieuropeo e sostanzialmente autarchico che la destra ha annunciato e sulle quali sta lavorando.

 

Si sottovaluta infatti la volontà di Meloni e Salvini di modificare l’articolo 117 della Costituzione che condiziona l’attività legislativa di Stato e Regioni al rispetto dei “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Ed è necessario avere niente più che del semplice buon senso per capire che quei vincoli sono la garanzia della credibilità nostra – e soprattutto del nostro debito pubblico – sui mercati e sulle piazze finanziarie internazionali, dove vengono negoziati i titoli di Stato italiani.  Un’Italia sganciata dall’Unione Europea in termini politici ed economici, non lascerebbe tranquillo nessuno sia sul piano interno che su quello internazionale.

 

Come anche la sola idea di poter “rincontrattare” le risorse del “Next Generation EU” (più noto come intervento per il PNRR) tradisce un misto di incapacità ed avventatezza ideologica antieuropeista.

 

Nel giugno 2021 la Commissione europea ha approvato il PNRR italiano riconoscendo al nostro Paese un finanziamento di 191,5 miliardi di euro (che svilupperà investimenti per un totale di 238 miliardi); un finanziamento pari a circa un terzo dell’intervento complessivo messo in campo dall’UE (723,8 miliardi di euro). È quindi chiaro che non esiste uno spazio di trattativa per incrementare una cifra che è già la più alta tra quelle riconosciute ai paesi UE. Il problema dell’Italia è semmai quello di riuscire ad impiegare le risorse nel modo più efficiente e proficuo possibile, visto che in buona parte si tratta di soldi da restituire, peraltro in una fase che vedrà ulteriormente crescere i tassi d’interesse.

 

In questo quadro e con queste priorità, chi ha deciso di staccare la spina al Governo Draghi non ha operato a favore dell’Italia e degli italiani. E ci sono buoni motivi per dubitare circa la loro capacità di andare oltre i propri interessi di parte anche all’indomani del prossimo 25 settembre.