RIFLESSIONI SU MEDIA E POLITICA (DA BERNABEI A DRAGHI).

La Rai di Ettore Bernabei ha avuto indubbi meriti nell’alfabetizzazione del Paese. Mai i dirigenti dell’epoca avrebbero ceduto il primato di scelta a figure esterne: erano loro a decidere la “politica culturale” in tv. L’esatto contrario di quanto accade oggi.

La televisione (non solo in Italia) è sempre stata una scelta politica e strategica da compiere: a chi si vuole dare voce e in quale maniera? La situazione odierna fa rimpiangere i tempi della “lottizzazione” che – con tutti i suoi difetti – generava comunque una sfida culturale tra diverse concezioni del mondo, una competizione e un confronto tra idee diverse di società. La tv accompagnava – e talvolta anticipava – le trasformazioni del Paese (che è un concetto più ampio di “nazione”), il progresso economico, lo sviluppo e l’affermarsi di una nuova sensibilità.

Agli inizi di questa storia, negli anni Cinquanta, avevamo un solo canale e un solo partito che ne decideva i dirigenti e lo governava con una visione quasi paternalistica. La Rai di Ettore Bernabei ha avuto indubbi meriti nell’alfabetizzazione del Paese e nella creazione di un linguaggio comune (che andasse oltre il “lessico familiare”). C’era molta attenzione all’innovazione e alla sperimentazione. Perché i dirigenti di allora si comportavano così? Perché per nessuna ragione avrebbero ceduto il primato di scelta a figure esterne: in altre parole, erano loro a decidere la “politica culturale” in tv. L’esatto contrario di quanto accade oggi, quando a decidere è chi controlla più conduttori e più programmi del palinsesto, che tendono a restare gli stessi per decenni. I conduttori e il loro pubblico invecchiano (e talvolta muoiono) insieme. Con un’aggiunta importante: il manager della società di produzione vende al network tv il format, spesso comprato all’estero o, per risparmiare, opzionato in attesa dei soldi della Rai, facendo dunque attenzione a non operare scelte che possano creare scandali e quindi problemi a chi acquista: i dirigenti del Servizio pubblico. Questi ultimi non hanno una particolare visione del mondo da affermare se non l’obbedienza ai leader politici che, a loro volta, non avendo idee da valorizzare, si riducono a suggerire qualche simpatizzante della prima ora per qualche posto importante.

Passiamo ad un altro argomento. In un editoriale sul Guardian di qualche giorno fa, il senatore democratico statunitense Bernie Sanders utilizza poche parole mirate per definire il problema globale che minaccia il futuro economico, sociale e ambientale del Pianeta: “l’1% della popolazione mondiale possiede più ricchezza del 99% più povero”. Questa disuguaglianza è la forma che ha assunto il nostro mondo. “Dappertutto cresce l’ostilità verso i regimi democratici” continua Sanders, “l’insofferenza per la stampa libera, l’intolleranza per le minoranze etniche e religiose, in difesa degli interessi e dei privilegi più egoistici”. Che ciò avvenga nelle dittature è abbastanza normale (Quatargate docet), ma queste tendenze si manifestano in misura crescente anche nelle democrazie. Gli autocrati tendono perfino a cancellare le poche concessioni fatte in precedenza nei loro Paesi. Putin e Xi Jinping mirano a prolungare il loro potere in eterno e questo non può che portare a un’ulteriore stretta autoritaria dei loro regimi. Anche in Occidente la democrazia viene progressivamente erosa, non riesce più a rappresentare l’intera comunità. Con l’inflazione a due cifre, il “sogno americano” che Biden vuole rilanciare, oggi è più difficile da realizzare. Infatti tra l’1 per cento dell’umanità ricca e il 99 per cento si è formato un burrone che li separa e non si vedono più ponti per passare dalla lotta per la sopravvivenza al “diritto alla felicità” pur sancito nella Costituzione americana.

Post Scriptum
Sul Corriere della Sera del 24 dicembre è apparsa una lunga intervista a Mario Draghi. Di fronte allo smarrimento del Pd e alla recente fibrillazione “convegnistica” di una parte non trascurabile del cattolicesimo democratico, alcuni concetti espressi (con la consueta chiarezza) dall’ex Premier potrebbero costituire un ragionevole punto di partenza per quella “agenda Draghi” di cui si è parlato molto (e spesso a sproposito) negli ultimi mesi.