RIFORMARE LE REGOLE PER UNA POLITICA POPOLARE.

 

Il compito per chi si ispira al popolarismo nella fase attuale consiste, secondo lautore, nel farsi interpreti di istanze e temi che sono sottostimati o elusi, nel portare avanti unagenda popolare senza aspettare che le rivendicazioni possano venire in qualche modo ottriatedai nuovi sovrani assoluti del nostro tempo.

 

Giuseppe Davicino

 

Da più parti si avverte la necessità di rimettere in moto la democrazia dopo lo stallo e la menomazione che ha conosciuto nella cosiddetta seconda repubblica. Appare interesse di tutti, sia per i sostenitori del modello bipolare che per coloro che intendono superarlo,  riformare l’attuale stato di cose che perdura, perfezionandosi in peggio, da quasi trent’anni. Una situazione che consente di fatto a pochi capi partito di nominare la quasi totalità del parlamento. Anche se al momento appare lontano dalla volontà dei maggiori partiti, credo non costituisca esercizio vano ricordare che per restituire il potere di scelta al Corpo Elettorale che è il supremo organo Sovrano della Repubblica, per ridare dignità ed equità alla rappresentanza dei territori serve innanzitutto una legge che regoli e garantisca il rispetto della democrazia interna dei partiti, che sancisca l’obbligo di sottoporre a primarie di partito o di coalizione le candidature nei collegi uninominali e nei listini bloccati, che vieti la furbesca pratica delle candidature in più collegi. Oppure, in alternativa, serve il ritorno al proporzionale e alle preferenze.

 

L’unica certezza è che l’attuale stato di cose non può permanere senza regalare alla strategia plebiscitaria della destra, ma che piace tanto anche a certa sinistra, le condizioni ideali per il suo successo. Elemento di cui l’attuale opposizione non pare sufficientemente consapevole. Come pure viene sottovalutato il fatto che la delicata fase attuale dal punto di vista sociale ed economico, con le inedite trasformazioni che in essa si stano svolgendo, se non gestita politicamente, smussata, controbilanciata da una forte rappresentanza delle istanze popolari rispetto alla giustizia sociale, ma anche rispetto ai nuovi modelli “sostenibili” di business (che a volte danno l’impressione di esser calati dall’alto a mo’ di esperimento sociale), potenzialmente può alimentare derive incontenibili in un quadro democratico.

 

O si affronta il problema di come ridare centralità al parlamento, riformando i meccanismi della rappresentanza e della selezione dei gruppi dirigenti, oppure tale centralità appare destinata a manifestarsi in modo sempre più formale, soppiantata dalla centralità sostanziale conquistata da organismi di potere privato transnazionale. Le culture politiche di estrazione popolare, poi non dovrebbero mai dimenticare che i parlamenti storicamente sono nati per limitare l’assolutismo monarchico nei confronti delle élite economiche, non per rispondere alle istanze popolari. Solo dopo la prima guerra mondiale la questione sociale è entrata prepotentemente nel dibattito politico e parlamentare, in Italia anche per merito del Ppi di Sturzo. E il Fascismo per molti aspetti ha attecchito sulle questioni rimaste irrisolte in quel dibattito. Questioni su cui invece è stata modellata la Costituzione.

 

Ai giorni nostri in Occidente rischiamo di assistere, per una singolare eterogenesi dei fini delle democrazie liberali, al compimento di una parabola sviluppatasi nel corso dell’epoca moderna. Quelle élite economiche, dirette beneficiarie delle concessioni delle libertà economiche e politiche da parte dei sovrani assoluti, sono diventate cosi potenti al punto da aver raggiunto un concentrazione di potere così alta, così incontrastata da apparire addirittura superiore a quella esercitata dalle antiche monarchie assolute.

 

Qualche giorno fa Pio Cerocchi proponeva su queste colonne di riaprire la storica testata de Il Popolo «a tutti i resti di quel popolo democristiano non ancora assuefatto all’asfissia del politicamente corretto e desideroso di “leggere” la realtà con gli occhi di quella libertà che ha sorretto l’Italia per tanti e tanti anni». Questa può essere una lucida indicazione di quale sia il compito per i Popolari nella fase attuale. Farsi interpreti di istanze  e temi che sono sottostimati o elusi, portare avanti un’agenda popolare senza aspettare che le rivendicazioni possano venire in qualche modo “ottriate” dai nuovi sovrani assoluti del nostro tempo o da chi ne cura gli interessi nella politica, nei media, nelle professioni.

 

Riconoscere, senza ulteriori indugi, il nuovo assetto multipolare del mondo come condizione della la pace nel XXI secolo, stando saldamente a fianco del nostro principale alleato, gli Stati Uniti; progettare una società a misura delle moltitudini, sociali, culturali, territoriali e non a misura dello 0,1% più ricco; affermare un codice umanistico, universalmente accettato, per l’utilizzo delle nuove tecnologie; sostenere una transizione energetica verso fonti meno inquinanti nel segno della fiducia verso il progresso tecnico-scientifico, verso la novità della storia e non nel segno della decrescita imposta da piani pluridecennali di meschina visione, che caricano sul futuro i limiti e le ossessioni del presente: queste sono alcune delle grandi sfide che concorrono a definire una via impervia, stanti gli attuali rapporti di forza, ma anche l’unica che può consentire di assumere una responsabilità di popolo in mezzo a mutamenti epocali, che necessitano di essere governati.