Riformare, parola abusata, quasi sfinita, vuota. Nell’infinito spazio dei  logaritmi può darsi che si volteggi il numero delle volte in cui viene usata.  Soprattutto la politica è colpevole per il cattivo uso che ne fa. Da decenni,  quasi appena dopo l’approvazione della Costituzione, si incominciò ad  evocare la riforma dello Stato.

Quante altre riforme sono invocate ad ogni  piè sospinto, praticamente ogni volta che si presenti una difficoltà  ordinatoria nelle procedure della nostra vita civile. Invece di semplificare  – altra riforma promessa da sempre – si aggiungono norme a nome. A  suo tempo il ministro Calderoli fece un falò per bruciare migliaia di leggi,  il risultato è che continuiamo ad avere circa 150.000 leggi e l’Inghilterra 30.000. Non sono nemmeno scritte in modo tale che possano essere  lette da tutti, in buon italiano, senza continui richiami e riferimenti e rinvii  ad altre norme.

Sarebbe assai più economico riscrivere un testo ex  novo, riprendendo le parti da salvare e abrogare tutte le altre. Speriamo  sulla tenacia del ministro Brunetta. La riforma dei codici? non è mai stata  completata. La riforma del parlamento? Alcuni referendum l’hanno  bloccata, ma quella approvata è stata solo la riduzione dei parlamentari:  una bandierina di 5S e una vergognosa ritrattazione di tutti i partiti che  avevano votato contro per ben tre volte: per un piatto di lenticchie,  alla Esaù. La riforma dell’università è stata di volta in volta peggiorata.  Quante ne possiamo ancora elencare? Citiamo ora la scuola perché è  diventata anch’essa insieme ai suoi naturali fruitori (bambini e adolescenti) vittima di Covid-19 e della cattiva programmazione.

Si sono  spesi ingenti fondi per i banchi (con o senza ruote) come se le scuole  non ne fossero già fornite. Qualche anno fa furono investiti 20 milioni per  le lavagne interattive ma durante la DAD la gran parte di coloro che  avrebbero dovuto seguire le lezioni era privo degli strumenti informatici  necessari. Secondo il ministro Colao il 60% delle famiglie italiane non ha  né rete veloce né internet. Tuttavia l’esperienza di DAD e di didattica  integrata potrà essere utile nel ripensamento organizzativo della didattica  in generale. 

La riforma della scuola parte anche dalla organizzazione diversa delle  aule, dei piani di studio, della attualizzazione delle discipline nonché degli  orari. La pandemia ha segnalato tutte le lacune del caso. In particolare  non si può tacere il gravissimo danno – le cui conseguenze chissà come  le analizzeremo – di aver impedito le lezioni in presenza per molti mesi  per quasi la totalità degli scolari. Sarebbe aggiungere danno se non fosse  accettata la proposta di prolungare le lezioni anche nei mesi estivi. Sono  convinta che i docenti accetterebbero le ferie in agosto e settembre e i  ragazzi avrebbero la possibilità di rivedersi prima delle vacanze. Sarebbe  importante soprattutto per gli alunni degli ultimi anni perché possano  salutare i compagni che non incontreranno più l’anno successivo. La  Francia non ha mai chiuso le scuole: copiare un po’ dagli altri no? 

Covid ci ha insegnato molto anche in merito al nostro diritto alla tutela  della salute. Abbiamo apprezzato il nostro Sistema Sanitario ma  conosciute anche le sue mancanze, prima fra tutte la inattuata  organizzazione della medicina extraospedaliera che già la riforma del  1978 aveva previsto. Due termini hanno inquadrato i problemi sollevati,  autonomia e territorio: riguardano l’ambito di competenza in materia  sanitaria e assistenziale che la improvvida e intempestiva riforma della  Costituzione del 2001 ha affidato alle Regioni.

Queste all’inizio della  pandemia, rivendicando la loro autonomia hanno di fatto creato disparità  di trattamento fra i cittadini Italiani. Il territorio è soggetto alla legislazione  e alla programmazione dei servizi da parte della Regione. Anche in  questo caso non c’è uniformità in tutto il territorio nazionale e quindi  c’è disparità fra i cittadini. Non bastano i cosiddetti LEA, livelli esistenziali  di assistenza, per garantire l’uguaglianza dei cittadini nell’accesso ai  servizi come richiesto dall’art.3 della Costituzione. Perciò ci dovremo  aspettare una ‘Riforma della Riforma’ che tenga conto dei principi  fondanti il diritto alla tutela della salute secondo uguaglianza, uniformità,  universalità ed equità. 

I servizi alla persona e di cittadinanza – giustizia, lavoro, proprietà, ecc.- esigono uno Stato giusto nei confronti dei cittadini quanto a prelievo  fiscale affinché ciascuno ottenga ciò di cui ha bisogno perché lo Stato  (articolo 3 Cost.) rimuova gli ostacoli che impediscono l’uguaglianza e  ciascuno dia, con le tasse, secondo le capacità di reddito che ha. La  riforma fiscale è la riforma delle riforme perché deve consentire ad ogni  cittadino di essere degnamente tale, evitando il lavoro nero, la elusione  e, peggio ancora, la evasione. Ridicolo che per far emergere il nero si sia  ricorso ad una lotteria. Meglio dedicare i fondi destinati ai premi a quei  redditi tuttora inferiore al livello di povertà (nonostante qualcuno abbia  detto che è stata sconfitta) e utilizzare gli strumenti che lo Stato ha per  controllare i redditi. È impensabile che ogni piattaforma informatica  sappia tutto di ciascuno di noi e non lo Stato.

Giustizia vorrebbe anche che non ci siano condoni, perché sarebbero sempre i furbi a farla franca.  Anche per le cartelle esattoriali un po’ di decenza: basterebbe far  riferimento agli anni coinvolti dalla pandemia per una sanatoria a partire  dal 2019 e a cancellare quelli inesigibili. Quando lo Stato non incassa  diminuiscono i servizi per i più poveri. La nostra società complessa ci  consente di non sfinirci solo se i servizi funzionano, da quelli alla persona  a quelli infrastrutturali, che sono comunque necessari alla vita quotidiana  di studio e di lavoro. Che dire perciò della burocrazia? È certamente la  spina dorsale degli adempimenti attuativi dei servizi della pubblica  amministrazione e perciò preziosa per la efficienza dello Stato e  dovrebbe essere sentito come privilegio lavorare in quella filiera come  interfaccia dello Stato verso i cittadini. Grande responsabilità!  Nel pensiero collettivo però non è avvertita come alleata ma come un  ostacolo con cui confrontarsi, talvolta addirittura con rassegnazione. La  riforma delle riforme riguarda questa spina dorsale. Perché non deve  essere efficiente come il settore privato? Perché deve continuare ad  essere un mastodonte invece di un’infrastruttura snella, senza call center  che infastidisce (imbestialisce) i cittadini che si perdono- e perdono  tempo- nei meandri dei rinvii, ritardi, perdita di documenti? Se lo Stato  non ci conoscesse… possiede big data per eccellenza: anagrafe, codice  fiscale, tessera sanitaria, pin per Inps e INAIL, agenzia delle entrate, ecc.  non basta un click?! Contiamo su questo governo, sul ministro esperto di  digitalizzazione e soprattutto sulla volontà politica. 

Semmai riuscisse nell’impresa andrebbero a segno altre caselle  importanti come quella della giustizia cui è preposto un ministro di  particolare competenza, Marta Cartabia. È settore delicatissimo a  giudizio di tutti. Solo per ricordare i tempi dei processi, recentemente  dopo troppi anni sono stati assolti con formula piena Descalzi e Scaroni  (tangente Eni), e anni addietro Orsi (tangente elicotteri). Danni di  immagine ed economici. Per il mondo si sono presentati grandi manager  italiani con la tara di essere inquisiti nel proprio Paese. In India abbiamo  pure perso una grande commessa di elicotteri. Altro ministro competente,  Enrico Giovannini, si dedicherà alle grandi infrastrutture. Speriamo di  vedere una riforma degli appalti che li renda trasparenti all’origine, con  norme chiare che implichino tempistica, qualità dei materiali, rispetto  degli stati di avanzamento, con controlli in corso d’opera e sanzioni per  ritardi anziché perizie suppletive e costi aggiuntivi. Si ricordi come e in  quanto tempo, e addirittura con risparmi, in situazioni in cui non ci si  poteva avvalere degli strumenti di oggi, fu completata l’autostrada del  sole, Milano-Roma.  

Cavour soleva ripetere che “le riforme compiute a tempo, invece di  indebolire l’autorità, la rafforzano”.

Il governo Draghi ha tempo fino alla primavera del 2023. Poi non si  possono ipotecare gli eventi, ma una riforma etica sarebbe dare  continuità istituzionale alle scelte avviate. 

Al Parlamento – non al governo – compete infine la riforma elettorale. Gli attuali eletti hanno l’occasione di recuperare un po’ di fiducia tra gli  elettori, perciò pongano mano ad una riforma che soddisfi il desiderio – ma è un diritto! – degli elettori di scegliere i propri rappresentanti. Tanto  la ruota gira e questa volta è bene non fare conto sul proprio… tornaconto, perché le ultime tornate elettorali hanno segnato la sconfitta  dei partiti che avevano creduto di vincere attraverso l’alchimia della legge  elettorale.