A parole praticamente avevano esultato tutti, forse eccetto chi a scuola ci lavora veramente ed ha un minimo di esperienza didattica e di insegnamento: ritornerà l’educazione civica nelle scuole, si insegnerà per 33 ore all’anno con tanto di voto in pagella, dalla scuola primaria alle superiori ma anche a partire dalle scuole dell’infanzia sono previste “iniziative di sensibilizzazione alla cittadinanza responsabile”: puntualizzazione fondamentale e da chiarire bene prima dell’inizio delle attività didattiche perché in questa fattispecie si tratta di bambini dai tre ai cinque anni.

Aveva esultato il Ministro uscente del MIUR Bussetti che ha tolto il tema scritto di storia alla maturità ma avrebbe affidato l’insegnamento dell’educazione civica ai docenti dell’area storico-geografica nella scuola primaria e media e a quelli dell’area economico-giuridica nelle secondarie di secondo grado (peccato che detta area non esista in tutte le scuole superiori). L’annuncio era stato trionfale: “Oggi è una giornata storica! Finalmente ritorna l’educazione civica come materia obbligatoria nelle scuole. Un traguardo necessario per le giovani generazioni perché sono i valori indicati nella Costituzione a tenere unito il nostro Paese. Il compito della scuola è di educare alla cittadinanza attiva, al rispetto delle regole, all’accoglienza e all’inclusione, valori alla base di ogni democrazia”. Peccato che non se ne faccia nulla, per ora.

Poi – infatti – è stato tutto un confuso confermare e smentire.
Nonostante il ritardo di pubblicazione sulla G.U. della legge istitutiva di tale insegnamento (il 20 agosto u.s. anziché il 16) il Ministro Bussetti con Decreto del 27 agosto aveva bypassato l’ostacolo burocratico introducendo la materia dell’educazione civica come “sperimentazione nazionale obbligatoria” già a partire dall’a.s. 2019/20. Tuttavia il CNPI (Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione) ha severamente bocciato il provvedimento ministeriale, giudicandolo inadeguato, frettoloso e intempestivo.
Una brutta figura dopo tanto eccesso di annuncio, dunque.

Il CNPI ha sommessamente (ma mica tanto ) ricordato al Ministro uscente Bussetti la gerarchia normativa che esiste tra una legge del parlamento (non pubblicata per negligenza sulla G.U) e un decreto ministeriale.

Tutto rinviato al 2020/2021, dunque, con il placet del nuovo Ministro Fioramonti.
Diciamo, senza enfatizzare, che il MIUR proprio in materia di educazione civica ha dimostrato una grande confusione, con pasticcio finale: prima si, poi no, poi si, poi no.
L’iniziativa in se’ è lodevole ma il programma sarà piuttosto denso: dal 2020 dunque (a meno che un istituto non parta in via di autonomia sperimentale) si parlerà di bullismo e di cyberbullismo, con un’attenzione particolare all’educazione alla legalità, al contrasto delle mafie e alla tutela del patrimonio culturale.

Spazio inoltre per l’educazione stradale, considerato che proprio nell’età delle superiori ci si avvicina alla patente di guida sia per i motorini che per le auto. E questo dovrebbe convincere gli alunni recalcitranti: quelli dei 20 selfie all’ora, che usano gli smartphone per facilitarsi lo svolgimento dei compiti in classe o per fotografare le bravate e metterle in rete. Ma l’incipit restano sempre i fondamentali: Costituzione, istituzioni dello Stato italiano e dell’Ue, storia della bandiera e dell’inno nazionale, Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, educazione alla cittadinanza digitale, elementi di diritto, educazione ecologica, riscaldamento globale, tutela del patrimonio ambientale, educazione alla legalità, educazione stradale, educazione alla salute, educazione alla cittadinanza attiva, uso accorto delle tecnologie e raccolta differenziata dei rifiuti. “Vasto programma”, per usare un’espressione di De Gaulle.

Questo programmino tanto per gradire sarà compresso in 33 ore annuali ma c’è già chi auspica – applicando il principio dell’impenetrabilità dei corpi – un approccio interculturale della materia, in modo che sia spalmabile su tutto il programma didattico, creando intersezioni, sinergie, approcci multidisciplinari, insomma usando tutto l’armamentario della pedagogia della facilitazione e del chiacchiericcio inconcludente, compresi i soliti esperti esterni per costruire una specie di torre di babele dove tutto è sovrapponibile, intersecabile, correlabile e omnicomprensivo.

Siamo alle solite: è finita l’epoca dei docenti con competenze specifiche, padroni della loro materia di insegnamento. Si chiedono per loro concorsi selettivi e valutazione del merito mentre in politica si esercita da tempo la più sicura pratica dello spoil system. Erano docenti, poi sono diventati facilitatori ed ora si trasformeranno in influencer , una specie di navigator del bon ton, essendo chiamati a convincere gli allievi che si attraversa la strada sulle strisce e col semaforo verde, che non si fuma in classe, che i poteri dello Stato sono tre e non devono impiastricciarsi tra loro, come avviene di norma proprio tra i paladini dell’educazione civica, che il Sindaco non è un deputato, che non si strappano le foglie degli alberi, non ci si ubriaca in discoteca, non si assumono sostanze, non si bullizzano i compagni specie quelli con disabilità, non ci si fotografa sull’orlo del marciapiedi della stazione mentre arriva un Frecciarossa, che lo sviluppo ecosostenibile è incompatibile con i rifiuti tossici e le plastiche, l’estinzione delle specie viventi e il riscaldamento del pianeta, mentre ai piccoli alunni delle scuole d’infanzia occorrerà far passare il concetto della cittadinanza responsabile ma senza forzare tempi e modi di apprendimento perché nel frattempo saranno state installate le telecamere nelle aule.

Il rischio è quello di una deriva neo-nozionistica, dovendo far passare concetti, idee, elementi di diritto, regole che stanno alla base della convivenza civile, principi etici a cominciare dall’introiezione della correlazione tra diritti e doveri, norme ordinamentali, cittadinanza attiva (compresa quella digitale), rispetto degli altri, della vita come valore nelle sue declinazioni animali e vegetali e tutto quello che le inevitabili circolari esplicative illustreranno perché l’autonomia delle istituzioni scolastiche sarà pur fervida di illuminanti iniziative ma il Ministero eserciterà la sua dovuta funzione di controllo e di indirizzo.
Suggerisco – nell’attesa dell’entrata in vigore della legge, differita di un anno- di approfondire un tema poco trattato nel progetto didattico ministeriale: l’attivazione di relazioni di conoscenza e di scambio di input informativi-formativi tra la scuole la famiglia, per evitare che lo sforzo dei docenti nel far passare l’abbecedario dell’educazione civica possa naufragare al cospetto di genitori diffidenti o gelosi delle proprie prerogative in materia di vita individuale e sociale dei propri figli o semplicemente fautori di una formazione domestica basata sull’assenza di prescrizioni e quindi concessiva o viceversa su obblighi e divieti discendenti da tradizioni, usi e costumi di vita familiare.
Una soluzione ci sarebbe e riguarda tutti gli adulti che direttamente o indirettamente avranno a che fare con questa novità dell’educazione civica: quella di fornire buoni esempi a casa e a scuola.

Più per pratica che per grammatica questa strada avrebbe il pregio della praticità e concretezza e della coerenza comportamentale tra quello che si dice o si insegna e quello che si fa.
E ciò vale in ogni contesto di vita.

La manfrina infatti è questa: rendendosi conto che la società sta prendendo una brutta piega, che stiamo diventando rancorosi, egoisti, cattivi, incivili e afflitti da insicurezza cronica (lo certificano ISTAT e CENSIS) la politica ha trovato l’eureka: si partirà dalle scuole e in 33 ore all’anno ci si affiderà – come è sempre accaduto in passato, quando si riversavano sulla scuola tutti i mali del vivere sociale e tutte le colpe della maleducazione dilagante – alla paziente opera degli insegnanti che saranno docenti, mediatori culturali e familiari, sostituti vigili stradali, del fuoco e della protezione civile, esperti di stili di vita e di educazione agroalimentare, particolarmente attrezzati nel districare le competenze tra istituzioni, spiegando cosa deve fare un giudice, un legislatore e un buon amministratore, poiché il potere appartiene al popolo che lo esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Forse il busillis iniziale sarà proprio nel distinguere tra forme e limiti, impresa nella quale la politica dal dopoguerra ad oggi non è riuscita, essendo falliti tutti i tentativi di una seria riforma costituzionale.
Ma anche di mera applicazione di quella che c’è già.
Perché la Costituzione è sempre stata materia ostica per i legislatori, che hanno peraltro a più riprese dato pessimi esempi in fatto di civismo, senso civico ed educazione civica (ed anche educazione tout court).
Figuriamoci per gli alunni, impegnati ad interiorizzare un programma cosi vasto in 33 ore, appunto.

Comunque – in cauda venenum- l’incipit è rinviato al prossimo anno scolastico, con buona pace di tutti: di carne al fuoco, alla mensa scolastica ce n’è già abbastanza. A cominciare dalla vicenda dei panini vietati dalla Cassazione. Più tutto il resto che ciclicamente si ripropone ogni anno: caro libri, nomine in ritardo, carenza di posti di sostegno, concorsi non banditi ma … messi al bando.