Lo avevamo promesso: non ci fermeremo sino a quando non saremo ascoltati e oggi siamo qui per mantenere questa promessa e per dire, ancora una volta, che l’Italia è una e una sola.
Dopo le grandi manifestazioni di Roma a febbraio, di Bologna il 1° maggio e le tante iniziative delle nostre categorie ci siamo voluti dare appuntamento a Reggio Calabria, in questa città bellissima e piena di storia. Luogo simbolo di un Sud che fatica, ma che ha grande voglia di riscatto.

Lo abbiamo fatto per una ragione precisa. Per ribadire chiaro e forte, proprio da qui, che non si può più rinviare un radicale cambio di rotta delle politiche per il Mezzogiorno.
I nostri ragazzi, le donne e gli uomini del mezzogiorno, attendono da troppo tempo.
Non è un problema di oggi e nemmeno degli ultimi tempi, lo sappiamo bene. La “questione meridionale” è antica e ha accompagnato le vicende dello Stato unitario sin dall’inizio del suo cammino.

Ma il nostro tempo è “oggi”!
E oggi, il Mezzogiorno, invece di essere al centro dell’agenda politica, invece di essere la priorità assoluta, continua ad essere completamente dimenticato.
È stato così con la legge di Bilancio. È così con il “decreto crescita”, che dopo settimane e settimane di attesa ha partorito il classico topolino.

Sì, si recuperano o si prorogano alcune misure che sbagliando erano state eliminate proprio dalla legge di Bilancio. Ma al di là di questo c’è davvero poco. È proprio il Governo, nel Def, ad ammettere che la spinta aggiuntiva all’economia di questo decreto e del cosiddetto “Sblocca cantieri” non andrà, per quest’anno, oltre lo 0,1 per cento di Pil.
E un grande problema e lo è soprattutto per il sud. Chi fa il nostro mestiere è portato a confrontarsi e a fare i conti con la realtà, che è la vita concreta delle persone.
E la realtà è che il Mezzogiorno, nell’azione del Governo, continua ad essere il “grande assente”. È un fantasma.

Non basta minacciare di revocare gli incentivi o convocare i tavoli, bisogna indicare anche le soluzioni, avere una strategia di politica industriale, perché ci sono più di 160 grosse vertenze aperte al Mise e molte riguardano il destino di tante famiglie del sud. Qualcosa vorrà pure dire!
La situazione è grave, estremamente grave.
Per due grandi ordini di motivi.
IL PRIMO, è evidente, riguarda direttamente la situazione economica e sociale in cui si trovano intere aree del Sud e le condizioni di vita delle popolazioni che vi abitano.
Se infatti è il Paese intero che fa fatica a riprendersi dalla crisi e dalla recessione, resta il fatto che il ritardo del Mezzogiorno è aumentato e che qui tutte le difficoltà italiane sono amplificate. Ogni dato o statistica lo conferma!
Ma guardate, non servono nemmeno dati e statistiche.

Basta avere occhi e cuore, per sentire le tante ferite del Sud fatte di carenza di lavoro e di lavoro povero e sottopagato, di bassa crescita e deindustrializzazione, di disparità di genere, di povertà crescente, di elevata dispersione scolastica.
Di piaghe come il caporalato, che offendono la dignità della persona e del lavoro, che spezzano vite umane.
Degli infortuni e delle morti sul lavoro, che al Sud raggiungono le cifre più alte. Dietro ai freddi numeri, ci sono esistenze interrotte, sogni infranti, famiglie precipitate nel dolore, con il futuro che diventa assenza: di famigliari, di reddito e persino di speranza!
Dietro a tanti nomi di persone comuni: Massimo, Sabatino, Seferi, ci sono le tragedie di mariti e padri usciti la mattina per lavorare e che la sera non sono rientrati.
E non importa la nazionalità o il colore della pelle. Non ci sono gerarchie sulla vita delle persone. È questo il vero problema di sicurezza che abbiamo, non altri!

Ma il Governo cosa fa? Fa cassa con il decreto crescita diminuendo i contributi Inail che servono per la sicurezza, la prevenzione e il risarcimento degli infortuni sul lavoro. Il Governo fa cassa sulla pelle delle persone, mentre ogni giorno gli incidenti sul lavoro sembrano un bollettino di guerra.
E poi cosa dire, a proposito di ferite del Sud, di un’offerta socio-sanitaria che non riesce a garantire le fondamentali certezze alle persone:
a partire dagli anziani che come non bastasse si sono visti tagliare la pensione come fossero un bancomat e che per questo il 1° giugno hanno manifestato a Roma insieme a noi.
ma anche per i tanti costretti ai viaggi della speranza al nord per curarsi, lontano dai propri affetti e con disagi e costi elevati (proprio la Calabria è in testa alla classifica: paga al resto d’Italia più di 300 milioni l’anno).

Basterebbe avere buon senso e lungimiranza per comprendere le infinite potenzialità del nostro mezzogiorno. L’inestimabile patrimonio di bellezza e di forza che custodisce.
La voglia di crescere che lo anima, nonostante tutto.
La capacità di resistere di tanti imprenditori, degli uomini e delle donne del lavoro, di magistrati e amministratori eroici. Di uomini di fede che hanno scelto gli ultimi e di straordinari sindacalisti che rischiano la vita per testimoniare la loro missione e difendere i lavoratori e il lavoro.

IL SECONDO GRANDE ORDINE DI MOTIVI è questo: occuparsi del sud non è solamente un dovere, una questione di solidarietà nazionale e di equità, è una necessità! È interesse di tutto il Paese.
Come si fa a non capire, che siamo tutti sulla stessa barca? Che comprimere il potere d’acquisto di chi vive qui al Sud comporta una flessione economica pesante anche per il Nord?
Sappiamo che avremo bisogno dell’Europa unita, democratica, federale e solidaristica per reggere la sfida degli anni a venire, poi ci arrendiamo alla logica delle due Italie? Di chi sostiene che per ripartire basta sganciare i vagoni di coda? È pura follia! Arretreremo o avanzeremo insieme.

L’Italia crescerà davvero solo se crescerà il Sud. L’Italia è una e indivisibile come recita l’art 5 della nostra straordinaria costituzione!
La politica deve uscire finalmente dall’oblio, ma non basta. È arrivato anche il tempo di smetterla con le politiche a singhiozzo e ci circostanza.
Il mezzogiorno non ha bisogno d’interventi spot, ma di un progetto serio e di medio periodo, che tenga insieme il suo sviluppo e quello dell’Italia perché sono legati. Non ha bisogno di paternalismo il sud, ma di infrastrutture. Non ha bisogno di assistenzialismo, ma di legalità e lavoro!
Quando diciamo che una grande opera al nord come la TAV, non è per qualcuno ma per tutti, che non possono esistere diritti di veto locali, vogliamo dire questo: i porti e gli interporti del sud sul mediterraneo, gli snodi ferroviari, le grandi infrastrutture per collegare l’Italia al suo interno e con l’Europa sono per tutti, sono per l’Italia nel suo insieme.
E allora è chiaro che bisogna cambiare strategia. Anzi bisogna darsi una strategia e che non sia un semplice slogan! E non può essere né quella delle due Italie, né quella di continuare a creare debito per gonfiare la spesa corrente, per poi ingaggiare inutili battaglie con l’Europa.

Certo, dovrà cambiare anche l’Europa, ma non è l’Europa il problema.
Smettiamola di cercare capri espiatori attraverso armi di distrazione di massa.
Servono solo a non affrontare i problemi, che continuiamo ad accumulare: crescita zero, deficit, debito e disoccupazione in aumento, produzione industriale calante, crescita delle sperequazioni, blocco delle infrastrutture, blocco delle assunzioni nella Pubblica amministrazione, depauperamento della sanità.
Il Governatore della BCE Mario Draghi, in questi giorni, ha dichiarato che sosterrà una nuova fase espansiva e gli effetti positivi anche sullo spread, quindi sugli interessi che paghiamo sono stati immediati.
È la seconda volta che ci viene in soccorso, ma se l’Italia non farà la sua parte con la politica di bilancio degli investimenti, della crescita, dello sgravio del costo del lavoro, sarà tutto inutile. Il nostro Governo va a cercare improbabili alleati oltreoceano e non si accorge di quelli che ha in casa.

Non si crea così il lavoro e per noi l’obiettivo è chiaro: lavoro, lavoro, e ancora lavoro.
Se qualcuno ha pensato di risolvere tutto con il Reddito di cittadinanza, ha sbagliato. Basta vedere il concorso di questi giorni per i navigator! 54.000 candidati di cui la metà è del sud e il 73 per cento è donna! Tutti in cerca di un posto di lavoro precario di due anni.
Il lavoro, prima di essere distribuito, va creato e noi siamo a crescita zero. L’unica percentuale che aumenta è quella dei poveri. Come lo dobbiamo ancora spiegare? I giovani disoccupati del Sud questo vogliono: non un assegno caritatevole, non un sussidio, ma un lavoro, dignitoso, vero e stabile. Quindi crescita.
Anche il salario minimo, come il reddito di cittadinanza non serve a fare ripartire il paese. Con la contrattazione copriamo l’85% dei lavoratori e delle lavoratrici: estendiamo quella e abbassiamo le tasse sul lavoro!

Non diritto di cittadinanza è mai quello:
che vale solo per qualcuno?  che premia fiscalmente le rendite rispetto al lavoro?
che ti penalizza se sei nato nel posto sbagliato pur nello stesso paese?  che trasforma i diritti in concessioni, l’opportunità in clientela e consente che si diffondono le reti basate sulla convenienza, la collusione, la corruzione, il profitto ad ogni costo?
E a proposito di “armi di distrazione di massa” da agitare nella continua ricerca di consensi, vogliamo parlare della flat tax?

La “tassa piatta” è iniqua, perché avvantaggia per definizione chi ha di più. Ma è anche sbagliata perché per sostenere i consumi bisogna creare lavoro e aumentare i salari. Non è dando più soldi a chi ne ha già che sosteniamo i consumi, ma dandone di più a chi ne ha meno e facendo pagare le imposte in proporzione al reddito, perché mantengono lo “stato sociale” che serve soprattutto ai bassi redditi.
E avrebbe anche una ricaduta territoriale molto sbilanciata. A svantaggio indovinate di chi? Ma del Mezzogiorno, è ovvio. Della parte del Paese dove i redditi sono più bassi.
Altro che “anno bellissimo”. Non sarà così per nessuno, non sarà così per l’Italia e per il Sud soprattutto senza un cambiamento radicale.

Sig. Presidente del Consiglio, l’Italia rimane un Paese con una sorta di frontiera interna che la divide, il sud dal nord, la penisola dalle isole. E la crisi iniziata nel 2008 ha peggiorato la situazione.
Non è più accettabile.
Possibile che non ci si renda conto che sono proprio al sud le maggiori potenzialità inespresse? Bisogna aiutarle a fare sistema fornendo servizi che le mettano in dialogo con i mercati nazionali e mondiali.

E questo, appunto, potrà avvenire solo all’interno di una visione e di una strategia complessiva che si dia delle priorità.
Noi le abbiamo individuate, sono quelle contenute nella nostra Piattaforma unitaria.
La prima è racchiusa in una parola chiave: INVESTIMENTI.
Il Governo è colpevole di inerzia, perché nulla ha fatto e nulla sta facendo.
Investimenti significa innanzitutto infrastrutture.

Il vero nocciolo della questione meridionale oggi, è proprio qui.
Moderne infrastrutture sono necessarie in tutto il Paese. Nelle regioni più forti, per aumentarne la competitività. E a maggior ragione in quelle più deboli, per rilanciarle.
Chi volete che venga altrimenti a investire nelle regioni del mezzogiorno se l’alta velocità si ferma a Salerno, se le autostrade sono vecchie e obsolete, se le scuole e gli ospedali cadono a pezzi, se basta un temporale per creare devastazione, se la criminalità imperversa?
Bisogna aprirsi, non isolarsi come ci propone l’Europa incoraggiando la realizzazione di grandi reti di collegamento. Bisogna potersi spostare; poter viaggiare, comunicare, sperimentare, innovare, creare avendo le scuole, la sicurezza, i servizi e le infrastrutture per farlo.

Non è possibile che a parte qualche timido segnale per l’alta velocità Napoli-Bari, si resti nel campo degli annunci per la statale Jonica, per l’ammodernamento della Salerno-Reggio Calabria ferroviaria o la realizzazione dei grandi assi viari in Sicilia.
E non finisce qui, perché parliamo anche di porti, acquedotti, dighe, scuole, ospedali. Parliamo di servizi fondamentali e posti di lavoro, e parliamo delle condizioni per crearli.
Quelli che restano bloccati, con le infrastrutture ferme, sono almeno 400 mila. Che poi vuol dire 400 mila disoccupati in più. E per una volta non per mancanza di fondi, visto che ci sono decine di miliardi pronti per essere utilizzati. No, è per un ritardo ideologico di questo governo.

E non sarà il cosiddetto “Sblocca cantieri”, a segnare una svolta. Anzi.
Sospensione del Codice dei contratti e deregolamentazione, con il moltiplicarsi di affidamenti diretti, subappalti e appalti integrati, avranno ben altre conseguenze: indeboliranno il contrasto alla corruzione e alle infiltrazioni mafiose e peggioreranno qualità delle opere e tutela della sicurezza dei lavoratori.
“senza legalità non c’è sviluppo, lavoro, progresso”! Così affermava il Giudice Falcone. Ricordiamolo sempre!
Investimenti e infrastrutture, dunque, e un nuovo modello di politica industriale e di sviluppo che sia in forte discontinuità col passato e valorizzi la programmazione negoziata, la partecipazione del lavoro.

La chiave dell’innovazione tecnologica e della digitalizzazione può davvero aprire porte fondamentali per il Mezzogiorno, anche a livello di internazionalizzazione.
È una chiave, badate, che non è affatto sganciata dal territorio. Al Sud possono crescere poli industriali con un forte potenziale innovativo e con grandi capacità di attrarre investimenti, se si riuscirà a mettere in rete tutti i possibili attori:
le grandi imprese a trasferire tecnologie alle piccole e medie ad esse collegate;
i centri di ricerca pubblici e privati e le università a creare una sorta di “fabbrica delle conoscenze e delle competenze”.

È cosi che si mette in moto un circuito virtuoso. È così che si frena l’altro grande “esodo”, quello dei giovani, molti dei quali laureati. In 18 anni più di un milione e mezzo di italiani del sud, tra essi tante donne laureate, sono stati costretti ad emigrare.
Sembra di essere tornati tra la fine dell’800 e i primi del 900, quando tanti italiani migrarono verso altri paesi, accolti dagli stessi pregiudizi che oggi spesso noi riserviamo agli immigrati che arrivano nel nostro Paese. È inconcepibile!
Il Mezzogiorno, anzi tutti noi, tutta l’Italia non può chiudersi e rassegnarsi a vedere partire il proprio futuro per assenza di alternative. Sarebbe il nostro fallimento!
Energie che possono e devono trovare alternative. Qui, al Sud, dove sono le loro radici, i loro affetti e dove è più importante il loro contributo.

Prima di tutto la cultura allora, con tutto ciò che attorno ad essa può ruotare. Matera non deve diventare l’ennesima occasione sprecata per il Mezzogiorno.
E poi ancora il turismo, con tutte le possibilità legate al suo essere “industria di industrie” e ad un patrimonio naturale, culturale e storico che ha pochi uguali al mondo.
E ancora la green economy e le fonti rinnovabili, il solare, l’eolico, l’energia del mare. E la valorizzazione dell’economia circolare.

E l’agricoltura, che per il Mezzogiorno può essere un volano straordinario. La carta migliore, specie nelle aree interne, per evitare isolamento ed abbandono, per agganciarsi alle possibilità della crescita. A condizione che non si punti sulla quantità, ma sulla qualità della tipicità. Dell’eccellenza.
Le energie ci sono, vanno impiegate. A cominciare dall’enorme giacimento di energia e potenzialità femminile, ancora scarsamente valorizzato. Alzare il tasso di occupazione delle donne è una priorità per il Paese, e ancora di più per il Sud. Anche per questo servono servizi adeguati, per conciliare lavoro e responsabilità familiari.
Proviamo a pensare a quali risorse inespresse si potrebbero valorizzare in un paese come il nostro nel quale lavora solamente il 57,7 % della popolazione, mentre in Germania e Gran Bretagna siamo oltre il 75%.

Venti persone ogni cento in più, che lavorano e contribuisco al benessere, alla crescita e al welfare.
E poi resta fondamentale la capacità di utilizzare al meglio i Fondi strutturali europei, che sono determinanti e devono essere aggiuntivi rispetto alle risorse ordinarie, da portare finalmente al 34 per cento, rispecchiando in modo equo la percentuale della popolazione residente.
Oltre a questo, però, bisogna soprattutto cambiare mentalità: è importante spendere, ma è ancora più importante spendere bene.
E qui ovviamente c’è da fare un discorso, anzi due: uno sulla necessità di rafforzare le amministrazioni pubbliche in termini sia di personale che di competenze, con un piano straordinario di assunzioni che vada al di là di un semplice turn-over.  l’altro sul ruolo attivo che deve avere una classe dirigente diffusa sul territorio e capace di operare anche in contesti difficili con onestà, intelligenza e dedizione al bene comune.

Non nascondiamocelo: la cattiva qualità della spesa è anche dovuta alla cattiva amministrazione, con i finanziamenti che si disperdono in mille rivoli, alimentati da logiche particolaristiche quando non clientelari e illegali.
A tutto questo bisogna porre la parola fine altrimenti non si andrà lontano. Mafia, ‘ndrangheta e camorra si battono dotando di mezzi più efficaci le forze dell’ordine e la magistratura, che ogni giorno fanno un lavoro straordinario, ma anche prosciugando quello stagno di sottosviluppo in cui le organizzazioni criminali proliferano: quello nel quale i diritti diventano concessioni!
Lo ribadiamo al Governo e a tutte le forze sociali: facciamolo assieme questo cambiamento, noi ci siamo!

È tempo di un grande Patto per lo sviluppo del Mezzogiorno, che coniughi politiche industriali e sostegno sociale, tutela del lavoro e crescita produttiva, investimenti e buona qualità della spesa, formazione e innovazione, efficienza e legalità.
Perché resta vero quel che diceva un grande meridionalista come Don Luigi Sturzo, quando osservava che “il risorgimento meridionale non è opera momentanea e di pochi anni, o che dipenda da una qualsiasi legge, o che venga fuori dalla semplice volontà di un governo; è opera lunga e vasta, di salda cooperazione nazionale; e che come spinta, orientamento, convinzione, parta dagli stessi meridionali”.
È così. È quel che serve oggi. Solo così si potrà finalmente dare il via ad un “nuovo inizio”.
È la sfida più grande. È il fronte su cui si scontrano due impostazioni culturali e politiche, contrapposte. Lo sappiamo: Da un lato chi ancora considera il Sud come una palla al piede, come un impaccio utile solo quando servono i voti in campagna elettorale.
Dall’altro chi ritiene che invece sia una leva fondamentale per far ripartire il nostro Paese, chi crede sia davvero arrivato il tempo di un nuovo “rinascimento meridionalista” che al centro abbia il lavoro, l’impresa, l’innovazione, la legalità, la qualità della spesa, i diritti e servizi ai cittadini.

CONCLUDO RIPETENDOLO ANCORA UNA VOLTA.
Siamo qui per cambiare. I giovani, le donne gli uomini del sud chiedono occupazione, non assistenzialismo. Troppi annunci, parole, promesse e slogan. Serve programmazione, fatti concreti e investimenti veri.

Basta spargere paura e diffidenza in questo clima perenne da campagna elettorale, che ha sempre bisogno di un nemico, che divide e disgrega, che mette i figli contro i padri, i cittadini contro altri cittadini, persone contro altre persone.
Così si frantuma la società, si alimenta una inutile guerra tra poveri. Noi queste logiche le rifiutiamo, le rifiuteremo sempre.

Il sindacato Confederale sa bene da che parte stare:delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, dei giovani e del loro diritto al futuro, delle famiglie indigenti, degli ultimi e di chi ha bisogno, delle persone per bene qualunque sia la loro etnia e la loro provenienza, degli italiani che credono nel loro paese, nella sua unità e nella solidarietà, nell’equità, nella giustizia, nella legalità, nell’accoglienza e nel bene comune.
Oggi, siamo qui per testimoniarlo e per ribadire il nostro impegno da questa parte, dalla vostra parte.

Il futuro e il progresso o saranno di tutti o non saranno. Il Governo ascolti il popolo del lavoro, che ancora una volta, a testa alta, è sceso in piazza democraticamente, per chiedere dignità e sviluppo.
Grazie a tutti voi. Viva il lavoro, viva l’Italia: una e indivisibile.