Articolo pubblicato sulle pagine dell’Osservatore Romano

l 15 luglio si celebra la memoria liturgica di san Bonaventura da Bagnoregio, frate minore, cardinale e dottore della Chiesa. Vissuto nel XIII secolo, è stato ministro generale del suo ordine francescano ed è l’autore della «Legenda maior» (che divenne la biografia ufficiale di san Francesco d’Assisi) e della «Legenda minor». L’insegnamento del “dottore serafico” ha avuto una profonda influenza sulla formazione teologica di Joseph Ratzinger, che proprio su san Bonaventura ha incentrato il suo studio di abilitazione per l’insegnamento universitario, approfondendone poi gli aspetti più significativi in diversi scritti e interventi. Da Pontefice, tra l’altro, il 6 settembre 2009 si è recato in visita a Bagnoregio, paese natale di Bonaventura — rivolgendo un discorso alla cittadinanza riunita in piazza Sant’Agostino — e al santo ha dedicato tre catechesi durante le udienze generali del 3, 10 e 17 marzo 2010. Di questi quattro testi del Papa emerito pubblichiamo di seguito alcuni passi.

Una fede amica dell’intelligenza

Fra’ Bonaventura, unisce il suo nome a quello di Bagnoregio nella nota presentazione che di se stesso fa nella Divina Commedia. Dicendo: «Io son la vita di Bonaventura da Bagnoregio, che nei grandi offici sempre posposi la sinistra cura» (Dante, Paradiso XII, 127-129), sottolinea come negli importanti compiti che ebbe a svolgere nella Chiesa, pospose sempre la cura delle realtà temporali (“la sinistra cura”) al bene spirituale delle anime (…).

Non è facile sintetizzare l’ampia dottrina filosofica, teologica e mistica lasciataci da san Bonaventura. In questo Anno Sacerdotale vorrei invitare specialmente i sacerdoti a mettersi alla scuola di questo grande Dottore della Chiesa per approfondirne l’insegnamento di sapienza radicata in Cristo. Alla sapienza, che fiorisce in santità, egli orienta ogni passo della sua speculazione e tensione mistica, passando per i gradi che vanno da quella che chiama “sapienza uniforme” concernente i principi fondamentali della conoscenza, alla “sapienza multiforme”, che consiste nel misterioso linguaggio della Bibbia, e poi alla “sapienza onniforme”, che riconosce in ogni realtà creata il riflesso del Creatore, sino alla “sapienza informe”, l’esperienza cioè dell’intimo contatto mistico con Dio, allorché l’intelletto dell’uomo sfiora in silenzio il Mistero infinito (…).

Nel ricordo di questo profondo ricercatore ed amante della sapienza, vorrei inoltre esprimere incoraggiamento e stima per il servizio che, nella Comunità ecclesiale, i teologi sono chiamati a rendere a quella fede che cerca l’intelletto, quella fede che è “amica dell’intelligenza” e che diventa vita nuova secondo il progetto di Dio.

(Visita a Bagnoregio, 6 settembre 2009)

Tra le grandi figure cristiane

Egli visse nel XIII secolo, un’epoca in cui la fede cristiana, penetrata profondamente nella cultura e nella società dell’Europa, ispirò imperiture opere nel campo della letteratura, delle arti visive, della filosofia e della teologia. Tra le grandi figure cristiane che contribuirono alla composizione di questa armonia tra fede e cultura si staglia appunto Bonaventura, uomo di azione e di contemplazione, di profonda pietà e di prudenza nel governo.

Si chiamava Giovanni da Fidanza. Un episodio che accadde quando era ancora ragazzo segnò profondamente la sua vita, come egli stesso racconta. Era stato colpito da una grave malattia e neppure suo padre, che era medico, sperava ormai di salvarlo dalla morte. Sua madre, allora, ricorse all’intercessione di san Francesco d’Assisi, da poco canonizzato. E Giovanni guarì.

Affascinato dalla testimonianza di fervore e radicalità evangelica dei frati minori, che erano giunti a Parigi nel 1219, Giovanni bussò alle porte del convento francescano di quella città, e chiese di essere accolto nella grande famiglia dei discepoli di san Francesco. Molti anni dopo, egli spiegò le ragioni della sua scelta: in san Francesco e nel movimento da lui iniziato ravvisava l’azione di Cristo (…). Pertanto, intorno all’anno 1243 Giovanni vestì il saio francescano e assunse il nome di Bonaventura (…).

Per rispondere a chi contestava gli Ordini mendicanti, compose uno scritto intitolato La perfezione evangelica. In questo scritto dimostra come gli Ordini mendicanti, in specie i frati minori, praticando i voti di povertà, di castità e di obbedienza, seguivano i consigli del Vangelo stesso (…).

Per intervento personale del Papa Alessandro iv, nel 1257, Bonaventura fu riconosciuto ufficialmente come dottore e maestro dell’Università parigina. Tuttavia egli dovette rinunciare a questo prestigioso incarico, perché in quello stesso anno il Capitolo generale dell’Ordine lo elesse ministro generale. Svolse questo incarico per diciassette anni con saggezza e dedizione, visitando le province, scrivendo ai fratelli, intervenendo talvolta con una certa severità per eliminare abusi (…). Bonaventura volle presentare l’autentico carisma di Francesco, la sua vita ed il suo insegnamento. Raccolse, perciò, con grande zelo documenti riguardanti il Poverello e ascoltò con attenzione i ricordi di coloro che avevano conosciuto direttamente Francesco. Ne nacque una biografia, storicamente ben fondata, del santo di Assisi, intitolata Legenda Maior, redatta anche in forma più succinta, e chiamata perciò Legenda minor (…). Il Capitolo generale dei frati minori del 1263, riunitosi a Pisa, riconobbe nella biografia di san Bonaventura il ritratto più fedele del Fondatore e questa divenne, così, la biografia ufficiale del Santo.

Qual è l’immagine di san Francesco che emerge dal cuore e dalla penna del suo figlio devoto e successore, san Bonaventura? Il punto essenziale: Francesco è un alter Christus, un uomo che ha cercato appassionatamente Cristo. Nell’amore che spinge all’imitazione, egli si è conformato interamente a Lui (…).

(Udienza generale, 3 marzo 2010)

Fedele interprete di san Francesco

San Bonaventura, tra i vari meriti, ha avuto quello di interpretare autenticamente e fedelmente la figura di san Francesco d’Assisi, da lui venerato e studiato con grande amore (…).

San Bonaventura respinge l’idea del ritmo trinitario della storia. Dio è uno per tutta la storia e non si divide in tre divinità. Di conseguenza, la storia è una, anche se è un cammino e — secondo san Bonaventura — un cammino di progresso. Gesù Cristo è l’ultima parola di Dio — in Lui Dio ha detto tutto, donando e dicendo se stesso. Più che se stesso, Dio non può dire, né dare. Lo Spirito Santo è Spirito del Padre e del Figlio. Cristo stesso dice dello Spirito Santo: «… vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14, 26), «prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà» (Gv 16, 15). Quindi non c’è un altro Vangelo più alto, non c’è un’altra Chiesa da aspettare. Perciò anche l’Ordine di san Francesco deve inserirsi in questa Chiesa, nella sua fede, nel suo ordinamento gerarchico (…).

(Udienza generale, 10 marzo 2010)

Accanto a Tommaso d’Aquino

Egli è un eminente teologo, che merita di essere messo accanto ad un altro grandissimo pensatore, suo contemporaneo, san Tommaso d’Aquino. Entrambi hanno scrutato i misteri della Rivelazione, valorizzando le risorse della ragione umana, in quel fecondo dialogo tra fede e ragione che caratterizza il Medioevo cristiano, facendone un’epoca di grande vivacità intellettuale, oltre che di fede e di rinnovamento ecclesiale, spesso non sufficientemente evidenziata. Altre analogie li accomunano: sia Bonaventura, francescano, sia Tommaso, domenicano, appartenevano agli Ordini mendicanti che, con la loro freschezza spirituale, come ho ricordato in precedenti catechesi, rinnovarono, nel secolo XIII, la Chiesa intera e attirarono tanti seguaci (…).

San Tommaso e san Bonaventura definiscono in modo diverso la destinazione ultima dell’uomo, la sua piena felicità: per san Tommaso il fine supremo, al quale si dirige il nostro desiderio è: vedere Dio. In questo semplice atto del vedere Dio trovano soluzione tutti i problemi: siamo felici, nient’altro è necessario. Per san Bonaventura il destino ultimo dell’uomo è invece: amare Dio, l’incontrarsi ed unirsi del suo e del nostro amore. Questa è per lui la definizione più adeguata della nostra felicità. In tale linea, potremmo anche dire che la categoria più alta per san Tommaso è il vero, mentre per san Bonaventura è il bene (…).

Tutta la nostra vita è quindi per san Bonaventura un “itinerario”, un pellegrinaggio — una salita verso Dio. Ma con le nostre sole forze non possiamo salire verso l’altezza di Dio. Dio stesso deve aiutarci, deve “tirarci” in alto. Perciò è necessaria la preghiera. La preghiera — così dice il Santo — è la madre e l’origine della elevazione — “sursum actio”, azione che ci porta in alto — dice Bonaventura.

(Udienza generale, 17 marzo 2010)