Pubblichiamo il discorso che il Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, ha pronunciato ieri a Rimini nella giornata conclusiva del tradizionale Meeting di Comunione e liberazione.

Caro Presidente, cari amici,

le suggestioni e le provocazioni che mi avete consegnato consentono nella giornata conclusiva del Meeting di andare al cuore delle grandi questioni della contemporaneità. Vi ringrazio per l’invito e per avermi concesso la possibilità di riflettere ad alta voce sui tormenti e le speranze di questo tempo del nostro scontento. Sí, sentiamo tutti forte i pericoli a cui andiamo incontro e l’ansia di non essere all’altezza di sfide così impegnative. Vediamo anche molto chiaramente che alcune tendenze vorrebbero farci rinunciare ai valori sui quali è costruita la nostra convivenza. Sono le prove a cui è sottoposta la nostra generazione oggi, in questo momento, con domande inedite da parte di un mondo che si è trasformato sotto i nostri occhi e che spesso non siamo stati in grado di capire e di regolare.

Quando da ragazzo chiesi al professor Giorgio La Pira cosa intendesse per ‘escatologia del profondo’, lui mi rispose che la storia è come un Oceano in cui sei in grado di cogliere le correnti quando affiorano, ma in profondità altre si preparano, si gonfiano, e scoprirne la forza prima che si manifestino è opera della politica. Della grande politica.

I segni dei tempi ci dicono che le nostre società sono pervase da forti ondate di disgusto, immense delusioni, istituzioni che non vengono riconosciute come la casa comune in cui garantire le nostre libertà. Sono sentimenti che attraversano l’Europa, che ritroviamo in tutti i paesi dell’Unione e che nascono dal disagio, dall’esclusione, dalle ingiustizia ma che sono anche strumentalizzate da coloro che oggi hanno paura che l’Europa possa essere un competitor esigente perché legato a regole, valori, umanità.

Non è un caso che oggi in troppi scommettano sulla nostra debolezza e sulla nostra divisione. Se guardiamo al mondo fuori dallo spazio europeo vediamo quanto le dinamiche di potenza debbano essere temperate, regolate. E quante ingiustizie chiedano di noi. Per essere capaci di dare risposte dobbiamo caricarci sulle spalle l’ansia di cambiamento che contengono le domande che ci ha rivolto Papa Francesco, quando invita a lavorare per umanizzare i processi di globalizzazione. È la domanda cruciale del nostro tempo.

Ed è l’unica che può consentirci di riscoprire quella vocazione che in questi 70 anni ci ha portato a costruire uno spazio di democrazia in cui il diritto è il termine di riferimento con cui noi regoliamo i rapporti fra i nostri Stati membri, fra i nostri cittadini e domani con quegli Stati che aspirano a vivere con noi.

“Solo se l’Europa rimane e diventa sempre di più spazio di libertà – come ha di recente ricordato don Julian Carron – potremo condividere la ricchezza che l’uno o l’altro avrà trovato nella vita e potremo offrirla come risposta alle esigenze e alle sfide che abbiamo davanti”.

L’Europa, non dimentichiamolo, è il suo diritto. E anche quando le nostre Istituzioni si mostrano inadeguate o da riformare non dobbiamo dimenticare che, se anche imperfette, garantiscono comunque la convivenza possibile e custodiscono le nostre libertà. Non è un caso che le forze che vogliono dividerci ci raccontino di un sistema europeo le cui regole devono essere scardinate. Non chiedono riforme, ma ritorni indietro per impedire all’Unione di giocare il suo ruolo sulla scena mondiale, di essere capace di regolare l’uso della forza che non è solo militare, e per impedire ai nostri paesi di affrontare i loro problemi e di superare tante ingiustizie.

In questo momento assistiamo ad una insopportabile ingerenza nello spazio europeo da parte di forze esterne che ci fa dire che i nostri Paesi, dopo aver lottato per la propria indipendenza, oggi si trovano ad affrontare una fase nuova in difesa dell’indipendenza dell’Unione. La nostra autonomia ė garanzia per le libertà di cui godiamo e che ci fanno diversi da altri, non migliori, e a cui gli altri tuttavia spesso aspirano.

Quante volte, andando fuori dallo spazio europeo siamo visti con occhi pieni di ammirazione per quello che abbiamo costruito e per i nostri modelli di vita?

Dico questo non solo per la risposta da dare a quanti cercano di insinuarsi e strumentalizzare le posizioni nazionaliste, ma anche per l’evidente interesse a non consentire agli europei di giocare un ruolo in un mondo globale che non ha regole ma deve trovare regole. Fuori dallo spazio europeo torneremo sudditi perché non saremmo in grado di affrontare nessuna priorità. Pensateci… pensiamo ai problemi che abbiamo, ai problemi che ha l’Italia… la sfida ambientale, la sicurezza, le questioni finanziarie, gli investimenti, la lotta alla povertà, l’immigrazione, il commercio internazionale, la politica agricola, industriale, la sfida tecnologica.

Quali di queste grandi questioni possono essere affrontate dai nostri paesi da soli? Nessuna. E per molte sfide lo spazio europeo è già troppo piccolo. Se dovessimo ritornare indietro, come molti vorrebbero, non avremmo possibilità di superare tante difficoltà, ma metteremmo in gioco il bene più prezioso costruito dal secondo conflitto mondiale: la pace fra le Nazioni europee. È un rischio molto concreto, perché quando gli Stati non sono in grado di affrontare i problemi che hanno di fronte è naturale che li scarichino sugli altri, alimentando tensioni e addirittura conflitti. È la storia dell’Europa moderna, è la storia delle generazioni precedenti alle nostre. È la storia che ci riporta esattamente a 80 anni fa, ieri, quando il 23 agosto1939 viene firmato il patto Molotov-Ribbentrop, un patto di non aggressione fra la Germania nazista e l’Unione sovietica.

Sei giorni dopo, inizierà la guerra. Pio XII capì subito che era il semaforo verde all’invasione della Polonia e mandò un radiomessaggio famoso perché conteneva una formula che noi dobbiamo continuare a proteggere: «Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra». Un messaggio che non impedì, di lì a sei giorni, lo scoppio della seconda guerra europea e dunque mondiale, con il suo peso di lutti e al suo interno la incancellabile vergogna europea della Shoah.

Dobbiamo ricordare questa data. E dobbiamo farlo senza più quasi la voce dei testimoni che l’hanno vissuta: il volgere delle generazioni ci obbliga a guardare a quegli eventi con la forza della ragione e senza più l’ausilio così prezioso di chi ha vissuto la devastazione, la strage, la ferocia, l’odio razziale, la forza seducente del demonio nazionalista. Ma dobbiamo anche ricordare che coloro che hanno vissuto quell’orrore ci hanno dato in custodia istituzioni democratiche ed europee.

Tutti noi europei viviamo la responsabilità di quella custodia: la custodia della democrazia e dell’Europa.

Il progresso tecnologico e la semplificazione barbarica dei linguaggi può talvolta farci pensare che della democrazia e dell’Europa possiamo fare e pensare qualsiasi cosa. Che possiamo consegnare ai sentimenti volubili e cialtroni che trasudano sui social quel che è costato caro, carissimo: macerie di carne umana, macerie di città, macerie morali di un mondo che oggi qualcuno osa dipingere come il tempo in cui vigevano principi morali e che si è rivelato capace di abissi di crudeltà che dobbiamo avere davanti agli occhi. Le donne sventrate di sant’Anna di Stazzema, i treni caricati di ebrei venduti a 5mila lire a Roma e mandati a morire in Polonia, i Rom catturati e gasati, le vittime delle stragi e dei bombardamenti.

Chi incendiò l’Europa trovò anche un cristianesimo spiritualmente impreparato, impegnato nella lotta alla modernità e illuso che la caduta dei regimi liberali fosse una rivincita della “cristianità” e non un orrore. Dico questo perché a me, a voi, interessa capire la lezione del Secolo breve e quanto sul dolore il mondo cattolico sia riuscito in un’opera di riscatto e rinascita.
Non vi è dubbio che toccherà proprio al cattolicesimo politico individuare nella democrazia e nei Parlamenti gli strumenti per invertire la rotta e metterci in sicurezza.

Costituzione e Europa sono i termini della rinascita.

In Italia, i costituenti cattolici – Giuseppe Dossetti, e con lui Aldo Moro, Giuseppe Lazzati, Giorgio La Pira, Costantino Mortati, la professoressa Bianchini– seppero disegnare quel capolavoro che è la nostra Costituzione: intrisa di un personalismo che non ha l’odore di un incenso stantio e strumentale, ma il profumo di una passione di verità cristiana che i cattolici hanno il dovere di opporre a chi ancora oggi – in Polonia, in Ungheria, in Italia – osa agitare i simboli della nostra fede come amuleti, con una spudoratezza blasfema.

La Costituzione ma anche l’Europa: perché l’Europa nasce da tre signori che parlano una lingua materna comune, il tedesco, e pensano con categorie materne comuni, in cattolico. Sono loro a capire che non ci sarà nessuna garanzia di una pace duratura senza una Europa che sappia essere pacificata e pacificante: una grande potenza di pace, messa in mezzo fra l’Atlantico e gli Urali, messa sopra al grande Continente africano in cui proprio gli europei sono andati a rubare di tutto, con lo schiavismo e con il colonialismo, e al quale devono restituire una prospettiva di pace e di sviluppo.

In tutto questo anche oggi i cattolici giocano un ruolo decisivo, perché è sulla loro divisione che contano le destre neo-nazionaliste. Se guardate a come si è estesa l’onda nera del sovranismo, con i suoi rigurgiti antisemiti e il suo razzismo più o meno travestito, vedete che ha puntato ai paesi di più forte tradizione cattolica e alla divisione del loro cattolicesimo: Polonia, Ungheria, Slovacchia, Croazia, Italia sono stati territori nei quali si è puntato a spaccare il cattolicesimo, per spaccare il paese e spaccare l’Europa. Agitando fantasmi e paure non si è andati alla ricerca del voto cattolico (che è normale e ovvio), e neanche alla ricerca del voto conservatore (altrettanto normale): si è andati alla ricerca di frange e sette che rivendicano di essere la vera chiesa e che vengono chiamate a fischiare il Papa in una piazza italiana.

Anche questo non è inedito: quando Pio XI scomunicò i membri dell’Action française nel 1928, lo fece non perché gli desse noia il loro conservatorismo politico, ma perché volevano dividere la Chiesa. Ma oggi che la Chiesa, come diceva papa Giovanni, preferisce la medicina della misericordia alle armi della severità, bisogna essere non meno vigili e decisi di papa Ratti. E dire che il cattolicesimo non è un emporio dove si passa a prendere un rosario, un Vangelo, un santino, ma un popolo cristiano, legittimamente pluralista sul piano delle scelte politiche che sulla fedeltà alla Costituzione e nella difesa del sistema democratico non si lascia dividere. E che proprio nella Costituzione, intrisa di così profonda esperienza cristiana ed insieme intessuta del supremo principio di laicità (sentenza Casavola, un cattolico) trovano il loro punto di raccordo e la garanzia dei loro valori.

La stagione che viviamo non ci richiede partiti cristiani, ma forse ancor più ha bisogno di testimoni della radicalità evangelica e di interpreti dei segni dei tempi. Testimonianza: una parola molto cara alla vostra comunità.

Parola che richiama la forza generativa delle origini e che poi accompagna il cammino, anche nei cambiamenti necessari, come la vostra storia dimostra.

Tutto questo per dirvi che dobbiamo sentire il peso della nostra responsabilità – e su alcuni fondamentali non possiamo stare a guardare o essere neutrali – e dobbiamo sentirla in un momento come quello che vive il nostro Paese.

Se con tutta la fatica e le contraddizioni del caso, un cattolicesimo che sarà pure minoritario ma che domattina porterà a messa sette milioni di persone torna ad insegnare quelle virtù che la grazia fa ricevere come dono di Dio e che l’immagine di Dio impressa in ognuno fa scaturire da ogni coscienza, allora c’è una speranza che potrà rendere le formule politiche un viatico per raggiungere traguardi di partecipazione democratica che consentano davvero il “pieno sviluppo della personalità”, come la Costituzione indica come il bene repubblicano per eccellenza.

Sono giornate importanti, piene di incognite e nelle quali serve grande fiducia nella capacità di convincimento, di dialogo, di incontro.

Le forze politiche sono utili se sono riconosciute utili dal paese. E l’importanza dei partiti è nel tenere sempre al centro del loro impegno l’interesse del Paese.

Condivido sillaba per sillaba ciò che il card. Bassetti è venuto a dirvi sulla crisi di visione di cui il paese soffre: ma sono venuto anche a dirvi che io e voi dobbiamo anche interrogarci sulla nostra quota di responsabilità in questa crisi. Perché c’è ed è inutile negarla.

Chi, nell’ultimo quarto di secolo ha educato che nel lavoro si avanza non per protezione ma per esemplarità, che la coscienza da esaminare non è quella degli altri ma la propria, che il rigore etico è un cristallo che non ammette fessurazioni, che il dovere democratico è uno spirito di sacrificio e non una bestia da social? Chi, ha prodotto anticorpi utili per fronteggiare una cultura individualista che con troppa facilità ha travolto i valori della solidarietà, dell’umanità, dell’uguaglianza?

Ed è da questo esame di coscienza che dobbiamo ripartire: perché le formule politiche e parlamentari hanno un senso se servono a creare le condizioni per un rinnovamento culturale che tocchi tutti, che interessi tutti.

La macchina della propaganda neo-nazionalista lascia gli italiani in un mare di guai.

In Europa le forze che hanno vinto le elezioni stanno cercando di dar vita a una legislatura che vuole essere un punto di riferimento anche per il nostro Paese.

Gli europeisti italiani hanno un solido punto di riferimento nell’alleanza che si è realizzata nel Parlamento europeo, e che intendo rafforzare. Questa dovrà essere una legislatura politica con un’agenda sociale di forte discontinuità col passato e gli impegni assunti dalla presidente von der Leyen sono le basi su cui costruire un vero manifesto per la nuova Europa.

Sappiamo che queste sono ore di riflessione e confronto nella politica italiana e ci auguriamo che dalla crisi arrivino parole chiare anche sulle politiche di cui abbiamo bisogno.

L’agenda europea è un buon punto di riferimento perché contiene obbiettivi ambiziosi e strumenti adeguati e imboccare la strada dello sviluppo sostenibile, salvaguardare la flessibilità nell’attuazione del Patto di stabilità e crescita, rilanciare gli investimenti, introdurre un bilancio della zona Euro, sviluppare una strategia contro la povertà con una direttiva quadro sul salario minimo e una sui piani di protezione sociale.

Avere cura del pianeta, è avere cura degli uomini.

Di fronte ai disastri che oggi devastano Siberia e Amazzonia, gli europei lancino un segno, una campagna simbolica.

Ogni sindaco di città grande o piccola d’Europa sia il motore di una nuova speranza e con un piccolo gesto, ma di grande impatto, pianti un albero sotto lo slogan: tu sei il mio respiro, YOU ARE MY BREATH.

Istituzioni e cittadini, persona e comunità responsabile.

Il nuovo governo italiano dovrà avere obbiettivi ambiziosi per una crescita sostenibile, come ieri ha ben spiegato qui il professor Giovannini…

Le idee non mancano e invitiamo le autorità italiane a sostenere la nascita di una Banca Europea per il Clima, l’eliminazione graduale dei combustibili fossili, l’introduzione di una tassazione per i “giganti tecnologici”. Su tutto questo il Parlamento europeo è già pronto a fare la propria parte.

D’altronde, abbiamo bisogno di un’Europa più forte per rispondere alla concorrenza di potenze economiche come la Cina e gli Stati Uniti ed avere nei rapporti con la Russia e la Turchia doti di dialogo e di fermezza basati sui valori della democrazia e dello stato di diritto.

Ma un’Europa più forte non può essere solo il risultato di interventi legislativi. Occorre investire sulle forze sociali, sulla loro autonomia, sul ruolo dei corpi intermedi. E al tempo stesso dobbiamo investire su persona e comunità, sulla libertà dell’individuo e dei corpi sociali. È la moderna frontiera su cui si gioca una parte importante del modello sociale europeo, perché tutto il corpo delle relazioni sociali, civili, solidali sono la spina dorsale della democrazia.

Anche questo è un portato della cultura cristiana che è diventato fondamenta della casa comune. E dobbiamo averlo chiaro perché la verticalizzazione dei poteri (economici, finanziari, anche geopolitici) sembra scoraggiare il protagonismo, l’autonomia e la responsabilità sociale.

A Bruxelles siamo riusciti a trovare convergenze importanti in Parlamento e si sono prese le misure alle forze antieuropee.

Costruire politiche senza le necessarie convergenze d’altronde risulta sempre sterile.

Confronto, dialogo, mediazione sono parole nobili per la politica che devono tornare nel vocabolario dei democratici.

Se la politica non è tutto, come avvertiva Aldo Moro, nella politica nessuno può sentirsi il tutto.

Seguiamo con passione quanto sta avvenendo in Italia e se la crisi sarà superata positivamente avremmo riconquistato un posto di primo piano per il nostro Paese in Europa. Sviluppare dialogo è sempre diventare più ricchi. E dobbiamo mettere nel conto che la storia non si costruisce senza difficoltà, senza ostacoli, o solo intuendo gli obbiettivi e dichiarandoli. Confronto sempre, ma non per ricercare alleanze per vampirizzare gli altri o trovare un compromesso di potere, ma concentrandosi sullo stato della nostra democrazia e sulle priorità del nostro paese.

D’altronde, non si governa con pieni poteri la settima potenza mondiale; non servono pieni poteri per governare società complesse.

Pieni poteri li chiedono coloro che si considerano autosufficienti e pensano che un uomo forte possa risolvere i problemi con la bacchetta magica o con l’uso della forza.

La prepotenza è una malattia che l’Europa ha conosciuto molto bene. Chi ama il proprio paese, invece, sa che l’Europa è un porto sicuro.

È come per coloro che amano l’umanità e sanno bene che i porti devono restare aperti, perché non è maltrattando la povera gente che si costruisce una politica per l’immigrazione. Impegniamoci a dare poteri all’Europa, invece, per affrontare il fenomeno migratorio e impegniamoci per una riforma del regolamento di Dublino, che il Parlamento europeo ha votato a grande maggioranza, e che stabilisce che chi arriva in Italia, Malta, Spagna, Grecia arriva in Europa ed è l’Europa a doversene occupare. Invito anche da qui, con voi, il Consiglio europeo a tirar fuori dai cassetti quella riforma ed approvarla.

“Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stata la sua ultima utopia”, ci ha ammoniti papa Francesco.

L’Europa spazio aperto, partecipato e solidale.

Cento anni fa, Mussolini in una famoso discorso ai Fasci di combattimento disse: “Dobbiamo riuscire a trasformare la paura in odio”. Noi, 100 anni dopo, dobbiamo trasformare la paura in solidarietà. Perché la solidarietà è moltiplicatore di benessere, e anche di sicurezza. Ma questo è possibile solo con una società viva, plurale, dialogante, sorretta da principi di umanità: non una società di monadi separate, ma di solide interrelazioni.

Chi, può continuare a dire, con fierezza, nel mondo di oggi che le libertà individuali sono un patrimonio inviolabile?

Se gli europei potranno continuare a dirlo, i cristiani potranno dire di aver fatto un buon lavoro.

Dobbiamo restare molto saldi.

E chi resta saldo? Solo colui – parafrasando Bonhoeffer – che non ha come criterio ultimo la propria ragione, il proprio principio, la propria coscienza, la propria libertà, la propria virtù, ma che è pronto a sacrificare tutto questo.

“Ma dove sono questi uomini responsabili?”, si chiedeva il teologo.

La domanda di Bonhoeffer è terribile e vale per ciascuno di noi. Portiamocela sempre con noi, non per angosciarci, ma per riempirci di coraggio e speranza attrezzandoci anche, come consigliava Emmanuel Mounier, ad avere sempre una grande immaginazione.