Scuola: partenza in salita e rallentata

Una cosa è certa: bisogna reinventarsi e provarci.

La riapertura dell’anno scolastico dopo le vacanze estive è sempre stata una fase densa di criticità: l’edilizia scolastica sempre fatiscente, l’avvicendamento della dirigenza scolastica, l’insediamento dei docenti trasferiti e le nomine sui posti vacanti, l’eterno gap delle carenze di organico, in particolare sui posti di sostegno. Poi, dopo il cigolante abbrivio, con buona volontà e provvedimenti dell’ultima ora, quasi tutto si ricomponeva, mentre altri problemi si trascinavano irrisolti durante i mesi successivi.

Quest’anno la ripartenza sarà un unicum nella storia della scuola italiana: dopo il lungo lockdown per la pandemia in atto, la didattica a distanza, gli esami di licenza media e di maturità ridimensionati e rabberciati, la macchina scolastica riprende il cammino ma lo fa con il freno a mano tirato.

Nel momento in cui questo articolo viene scritto si dispone di un Documento elaborato dal comitato degli esperti della Protezione civile operanti presso la Presidenza del Consiglio e poi ci sono le “linee guida” elaborate dal gruppo di lavoro del Ministero Istruzione, presieduto dal Prof. Bianchi: ci sono alcuni punti fermi (le prescrizioni sanitarie sulle mascherine e il distanziamento di un metro “da bocca a bocca” ma sul piano operativo concreto della ripartenza le ipotesi sono molte, le decisioni da valutare scuola per scuola rimandate a settembre (proprio come capita ad un alunno che ha debiti formativi) mentre incombe l’estate delle incerte vacanze , tra lusinghe dei bonus  e previsioni di ricadute dell’epidemia. 

L’Italia è il Paese delle mance e dei bonus, delle promesse e dei rinvii, dei “gesti d’amore” e della burocrazia acefala e spietata: ma gli avvicendamenti ai vertici di Viale Trastevere non sono mai stati risolutivi ai fini della ottimizzazione delle risorse con direttive chiare e lungimiranti.

Per oltre 40 anni ho letto tante lettere di auguri e di proficuo lavoro con buona pace di tutti.

Quando invece sarà pubblicata – questa riflessione scritta a spanne e a lume di naso  – forse gli scenari saranno cambiati e il sistema scolastico italiano sarà magari riuscito a risolvere il problema di un regolare inizio delle lezioni, come in altri Paesi è già accaduto prima che finissero le attività didattiche del precedente anno scolastico. 

La pedagogia comparativa dovrebbe esse assunta come strumento di concertazione, almeno a livello di U.E.

Siamo invece un Paese speciale dove la responsabilità non è il motore che muove gli apparati e le istituzioni ma la rappresentazione simbolica di un timore, persino di una “paura”: quella di navigare a vista tra l’eccesso di zelo e l’omissione di atti d’ufficio, in un gioco di scaricabarile che scende fino ai gradini più bassi delle gerarchie. 

La responsabilità non è un valore che nobilita l’uso del pensiero critico nell’esercitarla ma una colpa da espiare per definizione nel momento di assumerla. 

E dove la competenza – l’altro pilastro delle democrazie moderne, diciamo da Max Weber in poi – si esprime in una incommensurabile proliferazione di norme, di distinguo,  una sorta di parcellizzazione di tutti gli accadimenti umani prevedibili, anziché l’espressione di una capacità di sintesi che consenta a chi esercita la sua parte di responsabilità di agire ‘cum grano salis’, semplificando le procedure anziché complicarle con disposizioni enciclopediche, farraginose e spesso contradditorie.

Allo stato attuale – come anticipato- si deve necessariamente partire dal “Documento tecnico sull’ipotesi di rimodulazione delle misure contenitive nel settore scolastico” licenziato il 28 maggio u.s. dal Comitato Tecnico scientifico della Protezione civile , operante presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Un documento che riguarderà le 8094 istituzioni scolastiche statali, che comprendono 40749 sedi distaccate o plessi che a loro volta ospitano 901.052 bambini di scuola dell’infanzia suddivisi in 42258 sezioni, 2.443.092 scolari di scuola primaria ‘spalmati’ su 128.143 classi, 1.628.889 alunni della secondaria di primo grado in 77.976 classi di scuola media e  2.626.226 alunni della secondaria di secondo grado in 121.392 classi di scuole superiore. In totale una popolazione scolastica di 7.559.259 alunni di cui 259.757 affetti da una disabilità certificata, ospitati in 369.769 classi.

A fronte di questi dati si consideri una disponibilità organica di 684.880 docenti su posti comuni e 150.609 su posti di sostegno (fonte MIUR – a.s. 2019/2020)

Senza contare la popolazione scolastica di 866.805 alunni che frequenta le scuole paritarie, troppo spesso dimenticate nelle statistiche e nei conteggi, che fanno invece parte a pieno titolo del sistema pubblico di istruzione.

E considerando infine le scuole private soggette comunque alle norme stabilite dallo Stato in materia di edilizia scolastica, locali, programmi di studio, dotazioni organiche del personale e relativi contratti di lavoro.

Questo breve riassunto offre uno spaccato dimensionale sulla consistenza e la complessità delle problematiche che riguardano il funzionamento delle scuole in relazione al rispetto di quegli accorgimenti che il Documento della Protezione Civile definisce i ‘principi cardine’ che sottendono ogni ipotesi organizzativa sul piano della esplicitazione e del  funzionamento delle attività didattiche:

  1. il distanziamento sociale (mantenendo una distanza interpersonale non inferiore al metro); 
  2. la rigorosa igiene delle mani, personale e degli ambienti; 
  3. la capacità di controllo e risposta dei servizi sanitari della sanità pubblica territoriale e ospedaliera. 

Principi più volte richiamati dal Documento citato e che comprendono tutte le misure di igiene e profilassi del personale scolastico (dirigente-docente-non docente) e degli alunni , non dimenticando precise indicazioni che attengono al comportamento da tenersi da parte dei genitori e familiari che accompagnano e ritirano i bambini a scuola e ciò riguarda direttamente per ovvi motivi le fasce di utenza di minore età.

Se si comparano le (necessariamente) rigorose misure previste dalla Commissione degli esperti e l’ordinario svolgimento delle lezioni nelle scuola, dall’ingresso degli alunni negli edifici scolastici e indi alle classi, le loro necessità fisiologiche e di movimento, lo stare nei banchi, la ricreazione, l’uso dei servizi igienici, la frequentazione delle palestre e degli altri spazi agibili, gli spostamenti interni per motivi didattici e quant’altro, viene in mente ricordando o immaginando quanto sia vivace e movimentata  la vita scolastica (che è fatta di interlocuzioni, incontri, didattica individualizzata e a classi aperte, accorpamenti e distanziamenti…) la difficoltà di gestione del rispetto delle regole.

A scuola, più che altrove, l’incidenza dei condizionamenti spazio-temporali è enorme, forse regolamentabile ma certamente non del tutto prevedibile.

Le raccomandazioni della Commissione di esperti operante sotto l’egida della Protezione civile hanno il pregio della pertinenza e della competenza: l’emergenza e i vincoli sanitari hanno priorità rispetto ai singoli  contesti umani di applicazione.

Tuttavia leggendole dalla parte di chi le riceve non possono far dimenticare che una scuola è un luogo di apprendimento non un ambulatorio medico.

Con quale stato d’animo le famiglie da un lato e i dirigenti scolastici, i docenti e i collaboratori scolastici  dall’altra affronteranno la necessità di rispettare le indicazioni profilattiche e igienico-sanitarie con l’imprevedibilità del contesto e delle situazioni?

Ho letto su una Rivista Scolastica la lettera di due docenti che pongono quesiti concreti e puntuali, noti forse solo a chi insegna davvero e non si limita a fare l’esperto di professione senza aver messo piede in un’aula dai tempi in cui era studente. Essi riguardano la vita quotidiana degli insegnanti che si troveranno a gestire una situazione organizzativamente e didatticamente complessa con i loro scolari: cosa fare se due alunni si strappano la mascherina, se uno dice di avere la febbre, come gestire i distanziamenti, di quali risorse umane di supporto (es. collaboratori scol.ci) avvalersi, come concretamente svolgere le lezioni, se esiste ancora la cd. “ricreazione”, come organizzare i piccoli gruppi, come contenere fisicamente i ragazzini in spazi angusti ecc. Sono due insegnanti di scuola secondaria di primo grado: immagino i problemi che potrebbero porre le loro colleghe della scuola dell’infanzia, dove gli alunni non indosseranno le mascherine, dove si fanno gli inserimenti dei bambini di tre anni che piangono e vogliono la mamma, dove è fisicamente impossibile rispettare le distanze perché alunni così piccoli non possono essere tenuti fermi, seduti al tavolino in un’aula spesso di minime dimensioni, come convincere i genitori a fermarsi sulla soglia senza entrare a scuola, come gestire i momenti dell’accoglienza e del sonno….come portare- loro, le maestre- la mascherina e la visiera.

Si è nel frattempo conclusa l’esperienza della DAD (didattica a distanza) con luci ed ombre, tenendo conto delle risorse tecnologiche disponibili, del fatto che al Sud il 25/30% delle famiglie non dispone di un terminale domestico e considerato che in molti si sono convinti che questo tipo di interfaccia con l’utenza è un metodo di rivedere e circoscrivere a situazioni di emergenza, appunto, o vale – solo se preventivamente organizzato- come supporto alla tradizionale didattica in presenza che ne esce ampiamente rimpianta e rivalutata.

Conversando con lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet ho raccolto la sua avversione verso una ‘digital education’ che lui teme diventi esaustiva e totalizzante mentre il distanziamento sociale, supportato anche dalle nuove tecnologie potrebbe a lungo andare creare situazioni anaffettive  nei bambini e nei ragazzi.

Le linee guida prendono in considerazione una serie di variabili che rientrano nel gran calderone dei condizionamenti e delle regole spazio-temporali.

Forse di più il Ministero non poteva fare considerando che le indicazioni di carattere generale dovranno essere declinate nello specifico situazionale di ogni realtà, detto in soldoni l’organizzazione dei piccoli gruppi, il distanziamento, l’ingresso e l’uscita dai locali scolastici, l’utilizzazione di tutti gli spazi disponibili (assoggettati ad una continua sanitizzazione, che è compito assai più delicato della semplice sanificazione effettuata con l’uso dei soliti detergenti), la ricreazione, l’uso della palestra (rientra l’educazione civica come materia curricolare: uscirà forse l’educazione fisica per mancanza di locali utilizzati per gestire l’emergenza?).

Certamente le aspettative degli addetti ai lavori (praticamente tutto il personale scolastico) e quelle delle famiglie si intersecano e si sovrappongono.

Diciamo che osservando come si stanno mettendo le cose la difficoltà del compito è forse superiore alle motivazioni, agli sforzi di comprensione, alle risorse umane e materiali che si possono sperimentare.

Da un certo punto di vista, considerati i dati sopra riferiti e i rapporto docenti/alunni, il permanere di classi-pollaio, gli spazi a disposizione in ogni edificio scolastico, i tempi necessari alla didattica, l’imprevedibilità dei comportamenti umani specie nei soggetti destinatari della fruizione delle lezioni e molti altri aspetti che non sfuggono a chi direttamente a scuola o di riflesso vive empaticamente le fisiologiche e non irreggimentabili distonie del sistema,  l’impresa di realizzare un contesto di vita che contemperi bisogni e divieti, spontaneità e vincoli, alla fin fine  assomigli ad una sorta di quadratura del cerchio.

Si profila all’orizzonte il pericolo di un sovradimensionamento gerarchico e funzionale della burocrazia rispetto al buon senso, fino a limitare in senso oggettivo la stessa libertà di insegnamento.

Per questo motivo occorre che chi opera nella scuola adotti accorgimenti che – nel rispetto delle garanzie e della sicurezza postulata dalle indicazioni sanitarie – consentano una certa flessibilità di metodo.

Altrimenti non se ne esce e tutto va riscritto da capo, sub iudice rispetto a spazi e tempi ridotti.

In questa sede risultano molto interessanti e legittime le aspettative delle famiglie: esse escono dal lockdown portandosi dietro il ricordo di nuove abitudini, di stili di vita domestici modificati, di affetti e sentimenti conculcati.

Si chiede a loro di usare comprensione e fiducia nei confronti della scuola e degli insegnanti dei loro figli.

Lo scompenso emotivo vissuto lascia tracce ovunque, soprattutto in famiglia – nelle relazioni parentali, tra gli alunni stessi a partire dal gruppo dei pari, spontaneo o istituzionalizzato in una classe, nei docenti che dovranno conciliare il desiderio di fare con il dovere di rispettare norme restrittive e cogenti.

Per questo, per ragioni di necessità oltre al problema degli spazi, che andranno misurati con oculatezza e senso pratico, c’è anche quello di inventare nuove modalità di didattica breve, specie nel range che va dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di primo grado.

Una cosa è certa: bisogna reinventarsi e provarci.

La fiducia delle famiglie è un assist fondamentale per i docenti.

Dopo tutto questo coacervo di norme e prescrizioni, obblighi e divieti bisogna davvero, questa volta più di quanto sia accaduto in passato, creare le premesse per dare una cornice umana e praticabile all’ìdea di comunità educante.

Considerato che ogni istituto scolastico diventa centro di imputazione di scelte, decisioni e realizzazione di modelli flessibili di insegnamento/apprendimento, sarebbe utile allentare la morsa della burocrazia autogenerata, evitare di aggiungere norme a norme già scritte: in questo senso sarà determinante la competenza e la capacità che i dirigenti scolastici saranno in grado di esprime.

Non “presidi sceriffi” e neanche – mi scusi sig. Ministro- “comandanti delle navi” ma autorità scolastiche responsabili, comprensive e lungimiranti.

Senza bisogno di riscrivere gli stati giuridici del personale servirà la capacità di usare a piene mani il buon senso comune: la scuola deve restare scuola, non diventare la succursale di un ambulatorio improvvisato e nemmeno la “Fortezza Bastiani” che attende con ansia eccessiva l’arrivo da un momento all’altro, del “nemico”.

Francesco Provinciali – Articolo pubblicato sul n.° 3/2020 della Rivista INNOVATIO EDUCATIVA