Scuola: si prevede una ripartenza complicata

Non va dimenticato che la  scuola è un luogo di apprendimento non un ambulatorio sanitario.

L’avvio di ogni anno scolastico, da alcuni decenni, è sempre stato incerto e farraginoso: troppi problemi irrisolti e procedure non adeguatamente programmate lo hanno caratterizzato come fase densa di criticità.

La prossima riapertura delle lezione (prevista per il 14 settembre ma occorre tenere presenti i calendari  stabiliti dalle Regioni) avverrà dopo un lungo  lockdown per il Covid-19 e questo renderà le cose ancora più complicate poiché non possiamo prevedere un allineamento temporale tra fine della pandemia e successivo ritorno a scuola.

Attualmente tutto è da definire: c’è stato il lavoro della Commissione dei saggi istituita presso il M.I.: si fanno molte ipotesi, altre molto coreografiche (come l’inscatolamento degli alunni nelle cabine di plexiglass) sono state accantonate.

Restano per ora gli imperativi categorici delle mascherine e dei distanziamenti: prescrizioni che hanno messo a dura prova la diligenza degli adulti, possiamo immaginare quanto possa essere difficile conciliare questi vincoli con la vivacità degli alunni e le oggettive necessità di organizzare e gestire didatticamente i loro raggruppamenti.

Ci sono al momento due riferimenti che sarebbe utile considerare prima di decidere le linee guida del Ministero.

Innanzitutto valutare le soluzioni adottate in altri Paesi, molti dei quali per riaprire le scuole non hanno atteso il prossimo anno scolastico.

La pedagogia comparativa dovrebbe esse assunta come strumento di concertazione, almeno a livello di U.E.

Ci si chiede se far parte dell’Europa non possa offrire agli Stati membri opportunità di condivisione di azioni concordate al di fuori dei soliti ambiti di concertazione prevalentemente economica. 

L’altro indicatore ci viene offerto dal “Documento tecnico sull’ipotesi di rimodulazione delle misure contenitive nel settore scolastico” licenziato il 28 maggio u.s. dal Comitato Tecnico scientifico della Protezione civile , operante presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Un documento che riguarderà le 8094 istituzioni scolastiche statali, che comprendono 40749 sedi distaccate o plessi che a loro volta ospitano 901.052 bambini di scuola dell’infanzia suddivisi in 42258 sezioni, 2.443.092 scolari di scuola primaria ‘spalmati’ su 128.143 classi, 1.628.889 alunni della secondaria di primo grado in 77.976 classi di scuola media e  2.626.226 alunni della secondaria di secondo grado in 121.392 classi di scuole superiore. In totale una popolazione scolastica di 7.559.259 alunni di cui 259.757 affetti da una disabilità certificata, ospitati in 369.769 classi.

A fronte di questi dati si consideri una disponibilità organica di 684.880 docenti su posti comuni e 150.609 su posti di sostegno.

Senza contare gli 866.805 alunni che frequentano le scuole paritarie, troppo spesso dimenticate nelle statistiche e nei conteggi, che fanno invece parte a pieno titolo del sistema pubblico di istruzione.

E considerando infine le scuole private soggette comunque alle norme stabilite dallo Stato in materia di edilizia scolastica, locali, programmi di studio, dotazioni organiche del personale e relativi contratti di lavoro.

Il quadro dimensionale del sistema scolastico rende ragione alla complessità delle procedure che attendono le scuole. Tenuto conto che allo stato attuale la Commissione degli esperi sanitari ha espresso tre vincoli:

  1. a) il distanziamento sociale (mantenendo una distanza interpersonale non inferiore al metro); 
  2. b) la rigorosa igiene delle mani, personale e degli ambienti; 
  3. c) la capacità di controllo e risposta dei servizi sanitari della sanità pubblica territoriale e ospedaliera. 

Queste rigorose disposizioni vanno naturalmente commisurate e rapportate alle effettive possibilità di organizzare lo  svolgimento delle lezioni nelle scuole, dall’ingresso degli alunni negli edifici scolastici e poi nelle classi, le loro necessità di movimento, lo stare nei banchi, la ricreazione, l’uso dei servizi igienici, la frequentazione delle palestre e degli altri spazi agibili, gli spostamenti interni per motivi didattici e quant’altro, viene in mente ricordando o immaginando quanto sia vivace e movimentata  la vita scolastica Ciò rende evidente la difficoltà di gestione del rispetto delle regole.

A scuola, più che altrove, l’incidenza delle coordinate spazio-temporali è determinante, forse regolamentabile ma certamente non del tutto prevedibile.

Fermo restando il valore “esperto” delle raccomandazioni contenute nel Documento occorre anche considerare la necessità di organizzarne la “ricaduta” nelle singole, concrete realtà scolastiche 

Non va dimenticato che la  scuola è un luogo di apprendimento non un ambulatorio sanitario.

C’è molta attesa nelle famiglie, nei docenti, nei Dirigenti Scolastici e anche presso gli alunni, almeno dalla scuola primaria a quella superiore. 

Ma anche ai “piccoli” della scuola dell’infanzia farà piacere rivedere le loro maestre.

I bambini e i ragazzi hanno vissuto con interesse la fase della didattica a distanza, facilitati dall’essere parte della cosiddetta generazione dei nativi digitali.

Tuttavia è emersa anche in loro (oltre che negli operatori scolastici e presso le famiglie) la consapevolezza  della insostituibilità del rapporto umano diretto, non mediato dalle tecnologie.

Forse questa è la grande lezione che la DaD ha offerto: apparati, mezzi tecnici, strumentazioni digitali devono integrare con la didattica cd. tradizionale ma non possono sostituire l’empatia di una relazione vissuta de visu, in presenza.

E questo riguarda più l’aspetto metodologico che quello dei contenuti del programma.

Certamente le aspettative degli addetti ai lavori (praticamente tutto il personale scolastico) e quelle delle famiglie si intersecano e si sovrappongono.

C’è il pericolo che ai protocolli di profilassi sanitaria si aggiunga una presenza ipertrofica della burocrazia amministrativa.

In fondo questo appuntamento di settembre è una messa alla prova della capacità dei singoli istituti scolastici di gestire le situazioni di organizzazione scolastica, degli spazi e dei tempi, del raggruppamento degli alunni secondo le linee di indirizzo che arriveranno dal Ministero dell’Istruzione ma tenendo conto delle previsioni normative sull’autonomia scolastica di cui al DPR 275/1999. 

Prevedere come si metteranno le cose è arduo e difficile: si tratta di una fattispecie mai considerata o attuata nella storia della Scuola italiana.

Occorre riconsiderare il rapporto docenti/alunni (ma per farlo servono risorse umane in quantità), la sussistenza in alcune situazioni di classi piene “a tappo” , gli spazi a disposizione in ogni plesso, i modelli didattici preesistenti, la mobilità fisica degli alunni che può essere controllata ma non irreggimentata o compressa: tante situazioni  che non sfuggono a chi direttamente a scuola o di riflesso vive empaticamente le fisiologiche distonie del sistema, ma deve cimentarsi nell’impresa di realizzare un contesto di vita che contemperi bisogni e divieti, spontaneità e vincoli.

Urge dare il via ad una generosa operazione di ridimensionamento dei vincoli burocratici: lo deve fare il Ministero e ci devono provare i singoli Dirigenti Scolastici, non “presidi sceriffi” o “comandanti delle loro navi” ma professionisti dell’organizzazione della vita della scuola.

Serve, inutile dirlo , molto buon senso.

Partendo da una considerazione più attenta da parte della politica nei cfr. degli investimenti finalizzati all’istruzione e all’ottimizzazione dei risultati del pubblico servizio scolastico. Non dimentichiamoci che l’Italia occupa l’ultimo posto per investimenti nella formazione, tra i Paesi aderenti all’OCSE.

Sarò fondamentale – in situazione, in loco, in ogni contesto di interazione , riscrivere un patto tra scuola e famiglia: un patto fiduciario che parta dalle sofferenze emotive vissute – specie a livello domestico- nel periodo di sospensione delle lezioni per il lockdown.

Sarà necessario che le famiglie usino comprensione e fiducia nei confronti della scuola e degli insegnanti dei loro figli.

Anche i docenti sono chiamati ad una prova difficile, soprattutto loro: una cosa è certa,  bisogna reinventarsi e provarci.

Si dovrà creare le premesse per dare una cornice umana e praticabile all’idea di comunità educante.

Evitando la burocrazia autogenerata dal sistema e la diffidenza a priori.

Semplificare in sicurezza: questa dovrebbe essere la regola maestra.

Servirà sopra ogni cosa la capacità di usare il buon senso comune: la scuola deve restare scuola, non diventare la succursale improvvisata di un ambulatorio e nemmeno una sorta di “Fort Apache” che attende con ansia eccessiva l’assalto da un momento all’altro, del “nemico”.