Se il centro moderato organizza l’argine anti-Salvini…

A cosa dovrebbe servire tale nobile sussulto di autonomia?

Qualche precauzione bisogna prenderla. C’è un’idea di centro, inteso come nuovo soggetto politico, che ruota attorno alla rivendicazione di un metodo semplificato. Si applica al partito in via di identificazione il principio di Occam: “A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire”. In questo senso, di fronte alla disaffezione di un certo elettorato, si tende a equiparare le diverse istanze e a congetturare una risposta essenziale, quasi ridotta all’osso. Da essa si ricava che molti elettori, ancora riluttanti a manifestare appieno il loro pensiero, condividono identici fattori d’insoddisfazione e chiedono di conseguenza la perimetrazione di uno spazio autonomo: un’actio finium regundorum, con la quale in antico si provvedeva a tracciare il confine primigenio della città, tesa a totalizzare il momento dell’identità e dell’autoconservazione .

E dunque, a cosa dovrebbe servire tale nobile sussulto di autonomia? Qui la risposta sfuma e da semplice diventa eterea, senza la minima corporeità politica. Il concetto scivola nella tautologia, perché l’essere autonomo corrisponde all’essere indifferente, ben lungi da qualsiasi prospettiva di collaborazione con ipotetici interlocutori. Un partito anti-sinergico nella sua tetragona conformazione dottrinale dovrebbe pertanto esercitare un potere d’attrazione così robusto da rendere superflua ogni fatica a riguardo delle alleanze. Il centro non avrebbe bisogno che di se stesso, al punto di eliminare anche l’urgenza di un discrimine – chi rappresenta l’avversario da battere? – pur sempre incombente nella battaglia politica.

Da questo pregiudizio ambiguamente esibito muove la critica a una recente e per la verità non solitaria manifestazione di ricompattamento dell’area post-democristiana*. Eppure, nonostante la sensazione di un gioco al ralenti, con varie sigle allineate per fare un piccolo passo in avanti, una novità s’impone: dietro l’iniziativa di taglio neo-democristiano s’affaccia il netto distinguo dalla destra leghista. Non è ancora la ripresa del modello degasperiano, implicante la scelta preferenziale a sinistra come asse di riferimento politico, anche per espansione dell’ammonimento di Sturzo sulla necessità di separare i cattolici popolari dai cattolici conservatori – “fossili”, come lui li definiva; ma c’è l’assunzione della consapevolezza di quanto sia rischioso abbandonare il Paese nelle mani di Salvini, aprendo la strada all’avventura del sovranismo.

Non si può ignorare questa ritrovata volontà di stare in campo in funzione di un’autonomia che funge da baluardo all’offensiva di una destra pericolosa. Tanto più è importante, questa opzione dei centristi post-democristiani, quanto più la manovra di Salvini ora muove strumentalmente in direzione del dialogo con il PPE. Certo, ad altri sovviene, a conferma di una linea consolidata nella storia del cattolicesimo democratico, la suggestione di un’alleanza strategica con la sinistra. Sul punto rimane una significativa divergenza in seno alla galassia delle componenti che si richiamano alla politica d’ispirazione cristiana. Ciò non toglie che i segnali provenienti dal fronte dei democristiani ex berlusconiani meritino attenzione e rispetto. Oggi è tempo di ricomposizione, autentica e feconda, senza facili entusiasmi, ma senza neppure incongrue pregiudiziali

* Tra i sostenitori di questa operazione neo-democristiana ci sono: Giuseppe Gargani, Lorenzo Cesa, Gianfranco Rotondi, Mario Tassone, Ettore Bonalberti, Publio Fiori, Paola Binetti, Renato Grassi, Maurizio Eufemi.